Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Lo scorso 26 febbraio il Tribunale cantonale di Lucerna ha emanato una sentenza che, se confermata dal Tribunale federale, implica un’importante modifica del calcolo delle indennità per il lavoro ridotto.
In effetti, statuendo su un ricorso presentato da un esercizio pubblico, i giudici lucernesi hanno ridefinito la base di calcolo per determinare tali indennità. Rifacendosi all’art. 34 della Legge federale sull’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e l’indennità per insolvenza (LADI) hanno ricordato che determinante, fino al limite massimo valido per il calcolo dei contributi è il salario, convenuto contrattualmente, dell’ultimo periodo salariale prima dell’inizio del lavoro ridotto. Sono compresi le indennità per vacanze e gli assegni contrattuali periodici, purché non continuino ad essere versati durante il periodo di lavoro ridotto o non costituiscano indennità per inconvenienti connessi al lavoro.
Partendo da questa norma di legge, il Tribunale ha accolto le richieste della ricorrente, nel senso di considerare nella base di calcolo anche le indennità per vacanze, elemento che fino ad allora nessuna cassa di compensazione aveva tenuto in linea di conto. Il Consiglio federale e la Seco, nella gestione della crisi pandemica, avevano infatti escluso questo aspetto dal calcolo delle indennità.
I giudici nel motivare la loro sentenza hanno sottolineato che la regola dell’art. 34 LADI non può essere modificata da una semplice ordinanza del Consiglio federale (di rango inferiore) o da direttive della Seco. Ne consegue che le indennità per lavoro ridotto vanno aumentate come sopra indicato.
Stando a quanto sopra le aziende possono pertanto chiedere un riesame del calcolo per le indennità di loro spettanza. Considerato che l’ultima parola spetterà al Tribunale federale, d’intesa con l’Unione svizzera degli imprenditori, è stato suggerito alle aziende di presentare una richiesta di riconteggio delle indennità e di sospendere contestualmente, in attesa di una decisione definitiva, la stessa procedura di riesame (cfr. newsletter Cc-Ti del 16 aprile 2021).
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-05-10 06:51:002021-05-04 13:52:15Indennità per lavoro ridotto: importante sentenza del Tribunale cantonale di Lucerna
Sfide e opportunità per le aziende e i professionisti in una scheda informativa ricca di riflessioni.
La parola “LPD” è da alcuni mesi sulla bocca di tutti. LPD è l’acronimo ufficiale della Legge (federale) sulla protezione dei dati, normativa adottata dall’Assemblea federale, dopo un lungo periodo di gestazione, il 25 settembre 2020.
Si tratta di una revisione di legge complessa che avrà un impatto notevole sulla società e sulle imprese.
Il nuovo paradigma impone di rivalutare aspetti fondamentali della propria azienda, quali l’organizzazione interna, la gestione del personale, la tecnologia utilizzata, i fornitori di beni e servizi, la sicurezza e la trasparenza dei trattamenti. Il “giro di vite” a livello normativo è la “naturale” conseguenza della digitalizzazione e dei rischi sistemici che ne derivano (si pensi ai disastri informatici, ai furti di dati personali e ai casi di estorsione tramite “ransomware”), come pure degli abusi emersi nell’ambito di scandali internazionali, quali “Cambridge Analytica” (profilazione e manipolazione delle masse tramite fake news) oppure il caso Snowden.
La nuova LPD si prefigge di proteggere le persone fisiche e, indirettamente, l’intera comunità, dai trattamenti illeciti dei dati, affinché le informazioni possano essere utilizzate per creare una società digitale sicura, efficiente e non discriminatoria. Più romanticamente, si tratta di tutelare il bene più prezioso: la libertà e la dignità di ciascuno come essere umano.
Parlando di responsabilità, a conferma che l’adeguamento alla LPD non è un “optional”, saranno i consiglieri di amministrazione e i manager ad essere ritenuti responsabili penalmente per le violazioni della LPD riconducibili alle loro aziende (con multe fino a CHF 250’000.-). Ciò includerà la mancata implementazione degli standard minimi di sicurezza che saranno stabiliti dal Consiglio federale. Diversamente dal diritto europeo, che istituisce pesanti sanzioni amministrative pecuniarie a carico delle società, il diritto svizzero ha dunque optato primariamente per la responsabilizzazione dei dirigenti in quanto detentori del potere decisionale. Parallelamente, permane la responsabilità (civile) dei dirigenti verso la società, i suoi azionisti e i creditori per aver omesso di impedire il proliferare di atti illeciti, rispettivamente per aver omesso di implementare un’organizzazione conforme alla legge, come pure la responsabilità (civile) della società per la lesione della personalità delle persone interessate.
La data di entrata in vigore della LPD non è ancora stata decretata, considerato che mancano le norme attuative. Il termine per il referendum è scaduto infruttuoso, per cui, sotto questo profilo, non vi è alcun ostacolo giuridico alla messa in vigore. Gli esperti del settore ritengono che la data più realistica sia metà 2022. Essendo tale data relativamente lontana, si potrebbe essere tentati di rinviare la questione nel tempo. Sarebbe un errore di valutazione grave, tenuto conto della complessità degli adempimenti, dei tempi tecnici per la loro messa in opera e del fatto che la nuova LPD non prevede un termine generale di adeguamento dopo la sua entrata in vigore. È pertanto di fondamentale importanza avviare senza indugio il processo di messa a norma.
Trovandoci in un periodo di transizione, è bene sottolineare l’opportunità di implementare sin da ora le previsioni della futura LPD. In effetti, salvo rare eccezioni, tali previsioni non si pongono assolutamente in contrasto con il diritto attuale.
Vediamo concretamente come procedere e quali sono i principali adempimenti. Sia chiaro: non si tratta di uno sterile esercizio di “produzione cartacea” (come molti pensano), bensì di una vera e propria “ristrutturazione” dell’azienda, che comporta sia un ripensamento del rapporto con le persone interessate, i dati personali e la tecnologia, sia un cambiamento radicale di mentalità che tocca tutti, dai dipendenti fino al top management.
Innanzitutto, occorre creare un Team di progetto autorevole, dotato di risorse adeguate, competenze tecniche, operative e legali, nonché obiettivi chiari. Il Team deve godere del pieno sostegno della Direzione generale e del CdA. In mancanza di know-how specialistico interno, la guida del Team può essere affidata a uno specialista esterno. Le soluzioni completamente esterne (in cui lo specialista pretende, dopo alcune interviste, di mettere a norma l’azienda) sono illusorie e pericolose: nessuno conosce l’azienda meglio di chi ci lavora, per cui il coinvolgimento degli interni, in un cantiere “serio”, è imprescindibile.
Una volta costituito il Team, occorre stabilire il programma di lavoro con relativo scadenziario in base alle risorse disponibili, agli obiettivi e alle priorità d’intervento. In questo ambito, due questioni preliminari devono essere necessariamente affrontate:
(i) l’esigenza di considerare / implementare nel processo, data l’attività dell’azienda, anche normative estere (ad esempio, il GDPR)
e
(ii) l’individuazione di attività che necessitano di particolare (e prioritaria) attenzione (in ragione, ad esempio, delle responsabilità penali che ne scaturiscono oppure di aspetti “visibili” esternamente, come nel caso delle informative sui cookies, oppure perché i rischi per le persone interessate sono elevati).
La prima attività da svolgere è quella di “mappare” i trattamenti di dati personali, inserendo in un apposito registro i seguenti elementi: quali dati vengono trattati, da chi, come, dove, per quali scopi, chi ne è destinatario e sulla base di quale motivo giustificativo avviene il trattamento (legge, consenso o interesse preponderante pubblico o privato). Per lo svolgimento di tale compito è utile dotarsi di un gestionale informatico (nelle aziende medio – grandi la scelta è obbligata).
In secondo luogo, occorre definire ruoli e responsabilità di ciascuna persona che tratta dati personali, sia essa interna (dirigente, collaboratore) o esterna (data processor) all’azienda. La situazione va rappresentata in un organigramma di immediata fruibilità. Tali persone devono ricevere istruzioni chiare e complete sui trattamenti da effettuare (direttive e regolamenti interni) e, nel caso degli esterni, una volta accertata l’affidabilità dei singoli fornitori e dei loro prodotti e/o servizi, la delega del trattamento deve essere regolamentata tramite una convenzione scritta. Nell’ambito di tale fase, occorre valutare se sia opportuno (oppure obbligatorio, se si è confrontati con il GDPR) nominare un Data Protection Officer (DPO), il quale può essere interno o esterno all’azienda, onde presidiare il rispetto delle norme e offrire un supporto costante all’azienda e alle persone interessate nell’ambito di attività informative, ispettive e di consulenza. In base alla nuova LPD, che non prevede l’obbligatorietà della figura del DPO, la nomina comporta (a determinate condizioni) l’esclusione dell’obbligo di consultazione preventiva dell’Incaricato federale in presenza di trattamenti a rischio elevato. In terzo luogo, occorre attuare i principi per il trattamento dei dati personali (sicurezza, proporzionalità, correttezza, privacy by design e by default ecc.) in relazione ai trattamenti svolti e alla scelta degli strumenti (fisici e informatici) e delle modalità di trattamento, nonché identificare e bloccare eventuali attività illecite (in attesa di adeguamento o distruzione dei dati). In quarto luogo, occorre dare seguito agli obblighi di informare le persone interessate (inclusi i dipendenti, gli utenti delle risorse online e i clienti) circa i trattamenti svolti dall’azienda (o delegati a terzi) fornendo tutte le informazioni previste dalla legge. In quinto luogo, occorre identificare i motivi giustificativi alla base di ogni categoria di trattamento, raccogliendo ove necessario il consenso degli interessati (in maniera valida e comprovabile in giustizia), rispettivamente giustificando in modo documentato il ricorso all’interesse preponderante pubblico o privato (“LIA”). In sesto luogo, occorre creare un Team e delle regole per la gestione efficace e tempestiva dei “data breach” (violazioni della sicurezza), come pure per la gestione delle richieste delle persone interessate (rettifica dei dati, blocco dei trattamenti, revoca del consenso, accesso ai dati, portabilità ecc.). In settimo luogo, occorre identificare i trattamenti a rischio accresciuto che impongono lo svolgimento di una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati (nel gergo, “DPIA”) e svolgere correttamente tale valutazione (in genere con l’ausilio di un tool informatico). Ove necessario, occorre effettuare la consultazione preventiva dell’Incaricato federale. In ottava posizione troviamo un punto essenziale: le attività di sensibilizzazione e di formazione dei dipendenti sui rischi, sui diritti e sugli obblighi di ciascuno in materia di protezione dei dati personali, nonché sulle responsabilità collegate.
Quale ultima riflessione, credo sia importante rilevare come le nuove norme non debbano essere viste come una rigida e onerosa imposizione, bensì come l’occasione per fortificare il rapporto di fiducia con clienti e dipendenti, promuovendo un’immagine aziendale positiva, socialmente responsabile e rispettosa delle regole e dei diritti fondamentali delle persone. Investire nella protezione dei dati personali significa operare in un contesto nuovo con coscienza e padronanza dei rischi e delle opportunità, sfruttando pienamente vantaggi competitivi e strumenti innovativi nel campo della digitalizzazione. Deludere le aspettative (sempre più elevate) degli utenti riguardo alla tutela della sfera privata e personale (caso WhatsApp docet) è una strategia dannosa non solo dal profilo giuridico, bensì commerciale. In definitiva, la strada è tracciata, per cui non resta che avviarsi con buona volontà, determinazione e con la migliore compagnia possibile verso la meta.
Articolo redatto da
Gianni Cattaneo, Avv., LL. M., FCI Arb
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2021/02/ART21-lpd.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-02-08 08:15:592021-02-09 11:44:24La nuova Legge federale sulla protezione dei dati
Una scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti. Scopriamo i dettagli.
Lo scorso 23 dicembre Svizzera e Italia hanno concluso il “nuovo” Accordo relativo all’imposizione fiscale dei frontalieri. Si tratta di uno dei vari capitoli già contemplati nella cosiddetta Roadmap sottoscritta da Svizzera e Italia nel 2015, che elencava i temi aperti tra i due Paesi che necessitavano di una soluzione. Dopo diversi anni di negoziati le parti sono dunque arrivate ad una soluzione condivisa in questo ambito. L’accordo, a causa dei tempi tecnici di ratifica, sia sul versante svizzero che su quello italiano, entrerà verosimilmente in vigore nel 2023. Cosa cambia rispetto alla situazione attuale?
Attualmente i rapporti tra Svizzera e Italia in materia di fiscalità dei frontalieri si basano sul relativo accordo del 1974 che prevede l’imposizione esclusivamente in Svizzera. Concretamente un lavoratore frontaliere paga le imposte in Svizzera, la quale riversa una compensazione fiscale ai Comuni italiani di residenza pari al 38,8% dell’ammontare lordo delle imposte pagate dai frontalieri. È il cosiddetto sistema dei “ristorni”.
Il nuovo accordo non prevede sostanziali modifiche per gli attuali frontalieri. In effetti i lavoratori frontalieri residenti in Italia che alla data di entrata in vigore svolgono oppure che tra il 31 dicembre 2018 e la data dell’entrata in vigore hanno svolto un’attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera in Svizzera per un datore di lavoro ivi residente, una stabile organizzazione o una base fissa svizzere, resteranno imponibili soltanto in Svizzera, che, fino al 2033 continuerà a versare i ristorni ai Comuni italiani. In seguito la Svizzera, per questi lavoratori, non verserà più alcuna compensazione all’Italia e terrà per sé tutti gli introiti fiscali.
La categoria maggiormente toccata dal nuovo sistema sarà per contro quella dei nuovi frontalieri, ossia coloro che otterranno tale statuto dopo l’entrata in vigore dell’accordo firmato lo scorso dicembre. Essi saranno imposti fiscalmente in Svizzera con una quota parte dell’80%. In altre parole, l’imposta prelevata in Svizzera non potrà eccedere l’80% dell’imposta risultante dall’applicazione dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Lo Stato di residenza, l’Italia (ed è questa la grande novità), potrà assoggettare a sua volta ad imposizione i lavoratori frontalieri. Il lavoratore frontaliere verrà quindi assoggettato in Svizzera (all’80%) ed in Italia (come soggetto fiscale italiano). L’accordo prevede il divieto della doppia imposizione, nel senso che l’Italia deve riconoscere al lavoratore italiano un credito d’imposta per quanto dovuto a titolo fiscale in Svizzera. Nel nuovo accordo è definito come frontaliere chi è fiscalmente residente in un Comune il cui territorio si trova, totalmente o parzialmente, nella zona di 20 km dal confine e ritorna, in linea di principio, quotidianamente al proprio domicilio.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2019/01/ART19-Michele-Rossi-ufficiale.jpg20193166Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2021-02-04 08:35:422021-02-04 14:36:22Nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri: i punti principali
Il 23 dicembre 2020 la Svizzera e l’Italia hanno firmato a Roma un nuovo accordo sull’imposizione dei lavoratori frontalieri e un Protocollo che modifica la Convenzione per evitare le doppie imposizioni.
Il nuovo accordo sostituirà quello attualmente in vigore, risalente al 1974, migliorerà sensibilmente l’attuale dispositivo di imposizione dei frontalieri e contribuirà a mantenere le buone relazioni bilaterali tra i due Paesi.
Il nuovo accordo è stato firmato dalla segretaria di Stato per le questioni finanziarie internazionali, Daniela Stoffel, e dal viceministro italiano dell’economia e delle finanze, Antonio Misiani. Verificata l’impossibilità di firmare il testo così come parafato nel 2015, quest’anno sono ripresi i colloqui tra la Svizzera e l’Italia che hanno portato, negli ultimi mesi, a modifiche del precedente progetto di accordo che rappresentano una soluzione soddisfacente per entrambe le parti.
Il processo di definizione dell’accordo è stato accompagnato da consultazioni con le autorità dei Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese, nonché con le organizzazioni sindacali e l’Associazione dei comuni italiani di frontiera. L’entrata in vigore del nuovo accordo richiede la ratifica dei Parlamenti di entrambi i Paesi.
Gli aspetti principali sono i seguenti.
Regime ordinario: l’imposta che lo Stato in cui viene svolta l’attività lavorativa applicherà sul reddito da lavoro dipendente per i nuovi frontalieri passerà all’80 per cento, contro il 70 per cento previsto inizialmente nel progetto di accordo parafato nel 2015. I nuovi frontalieri saranno assoggettati ad imposizione in via ordinaria anche nello Stato di residenza, che eliminerà la doppia imposizione. Coloro i quali entrano nel mercato del lavoro come frontalieri a partire dalla data di entrata in vigore dell’accordo saranno considerati come “nuovi frontalieri”.
Regime transitorio: coloro i quali lavorano o hanno lavorato nei Cantoni dei Grigioni, del Ticino o del Vallese nel periodo compreso tra il 31 dicembre 2018 e la data di entrata in vigore del nuovo accordo rientrano nel regime transitorio applicabile agli “attuali frontalieri”. Gli attuali frontalieri continueranno a essere assoggettati ad imposizione esclusivamente in Svizzera. La Svizzera verserà fino alla fine del 2033 una compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine pari al 40 per cento dell’imposta alla fonte prelevata dalla Svizzera. Dopo questa data, la Svizzera conserverà la totalità del gettito fiscale.
Definizione di frontaliere: il nuovo accordo fornisce una definizione di “lavoratore frontaliere” che include i lavoratori che risiedono entro 20 km dalla frontiera e che, in linea di massima, rientrano ogni giorno al loro domicilio. Essa si applica a tutti i frontalieri (nuovi e attuali) a partire dall’entrata in vigore dell’accordo.
Clausola antiabuso: il nuovo accordo contiene una disposizione finalizzata a impedire i potenziali casi di abuso in relazione allo status di “attuale frontaliere”.
Reciprocità: l’accordo si fonda sul principio di reciprocità.
Riesame: l’accordo sarà sottoposto a riesame ogni cinque anni. Inoltre, una clausola dispone che siano previste consultazioni ed eventuali adeguamenti periodici in materia di lavoro agile/telelavoro.
In occasione della firma dell’accordo, la Svizzera e l’Italia hanno anche effettuato uno scambio di lettere, inteso a precisare l’interpretazione di determinate disposizioni del nuovo accordo sui frontalieri e a garantirne la corretta applicazione. In particolare si conferma che il prelievo alla fonte è il solo metodo di imposizione applicabile ai lavoratori frontalieri.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/12/Stretta-di-mano-IT-CH-shutterstock.jpg15752362Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-12-23 14:16:172020-12-23 14:16:18La Svizzera e l’Italia firmano un nuovo accordo sull’imposizione dei lavoratori frontalieri
Con l’inizio del nuovo anno, tra qualche giorno, entrano in vigore normative diverse.
Rendiconto IVA easy: con l’apposita applicazione i contribuenti possono allestire a partire dal 1° gennaio 2021 i rendiconti dell’Imposta sul valore aggiunto
Obbligo di annuncio dei posti vacanti: novità: dal 1° gennaio 2021 sarà più consistente l’elenco dei generi di professioni soggetti all’obbligo di annuncio dei posti vacanti agli Uffici regionali di collocamento (URC).
Qui di seguito trovate i link alle decisioni del Consiglio federale del 20 marzo 2020 e del Consiglio di Stato ticinese del 21 marzo: Confederazione – Cantone.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/04/ART20-misure-cdscf.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-12-21 07:28:002021-01-04 13:56:40Misure del Consiglio Federale e del Consiglio di Stato
Il 31 dicembre 2020 scadrà il periodo transitorio della Brexit. Dal nuovo anno cesseranno di applicarsi nei confronti del Regno Unito gli accordi bilaterali che la Svizzera ha concluso con l’UE. Approfondimento curato dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.
In effetti la maggior parte delle regole concordate ed applicabili tra Berna e Londra sono contenute negli accordi stipulati con l’UE essendo il Regno Unito, o meglio essendo stato fino al recente passato, uno stato membro a tutti gli effetti. Ma a partire dal 2021 Londra uscirà dal mercato unico europeo e dalla relativa unione doganale. La Svizzera deve pertanto fondare le proprie relazioni economiche su nuove basi.
Proprio per colmare tale lacuna determinata dall’effettività della Brexit, Berna e Londra avevano concluso già nel 2019 un accordo commerciale. Questo accordo riprende gran parte dei diritti e doveri rilevanti ai fini commerciali contenuti negli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’UE: l’accordo di libero scambio, l’accordo sugli appalti pubblici, quello sulla lotta contro la frode, l’accordo sul reciproco riconoscimento in materia di valutazione della conformità (MRA), l’accordo agricolo e l’accordo sulle agevolazioni doganali e sulla sicurezza doganale.
Ma alcuni aspetti ai quali eravamo abituati nelle nostre relazioni con Londra non sono stati ripresi dall’accordo commerciale, come ad esempio la libera circolazione delle persone. In effetti dal mese di gennaio tra Svizzera e Regno Unito si applicheranno nuove regole in ambito di migrazione. Da un lato i cittadini britannici che intenderanno entrare nel mercato del lavoro svizzero dovranno presentare una relativa domanda e dovranno adempiere alle disposizioni della legge federale sugli stranieri che prevede contingenti e preferenza per i lavoratori svizzeri e dell’UE. Per contro per i cittadini britannici già in Svizzera prevarranno i loro diritti acquisiti e non saranno tenuti, in linea di principio, ad avviare alcuna nuova procedura.
E per gli Svizzeri che vogliono lavorare nel Regno Unito?
Anche qui bisogna distinguere tra chi è già attualmente inserito nel mercato del lavoro britannico da chi invece intende trasferirvisi dopo il 31 dicembre 2020. I cittadini svizzeri attualmente già nel Regno Unito dovranno semplicemente richiedere alle autorità britanniche un nuovo statuto di residenza, ma saranno comunque esclusi dal sistema a punti (Points-Based System PBS) in vigore dal 1 gennaio 2021 per i nuovi arrivi. In base al PBS, chi vorrà essere ammesso nel mercato del lavoro inglese dovrà raggiungere un livello di 70 punti, calcolati sulla base di distinti criteri. Al candidato potranno essere assegnati 20 punti per un’adeguata offerta di impiego da parte di un datore di lavoro approvato dalle autorità, altri 20 punti per un lavoro sufficientemente qualificato, 10 punti per la conoscenza della lingua inglese e ulteriori 20 punti per il raggiungimento di un minimo salariale (25’600 sterline/anno). Altre specifiche qualifiche o situazioni permetteranno di ottenere punti supplementari che potranno eventualmente compensare lacune della candidatura riscontrate altrove. I punti supplementari potranno essere assegnati ai titolari di un dottorato, o a chi viene assunto in settori in cui scarseggia la manodopera indigena.
In materia di prestazione di servizi il 14 dicembre è stato concluso uno specifico accordo (Services Mobility Agreement/ SMA) che prevede concrete agevolazioni. Da un lato in Svizzera continuerà ad applicarsi la semplice procedura di notifica per i servizi in provenienza dal Regno Unito di durata inferiore a 90 giorni/anno, come già in vigore attualmente. Da parte di Londra è stato concesso l’accesso al mercato ai prestatori svizzeri in una trentina di settori. I fornitori svizzeri non saranno tenuti a provare la conoscenza dell’inglese e la necessità economica di attingere a partner esterni in questi settori. I fornitori di servizi potranno restare nel Regno Unito fino a dodici mesi sull’arco di due anni. L’accesso verrà limitato a persone con livello universitario o equivalente.
Non è escluso che in futuro ci possano essere adeguamenti di questi regimi sulla base di eventuali accordi che il Regno Unito concluderà nei prossimi mesi con l’UE.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/12/ART20-brexit-Accordo-sulla-mobilita-dei-prestatori-di-servizi.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-12-14 14:09:532020-12-14 14:09:54Brexit e libera circolazione delle persone
La Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) è stata recentemente oggetto di una modifica, entrata in vigore il 1° luglio 2020, che mira, da un lato, a sensibilizzare i datori di lavoro sul problema della discriminazione salariale e, dall’altro, ad aggiornare ed eliminare ogni discriminazione salariale sistematica in ragione del sesso, per mezzo di analisi regolari sulla parità dei salari.
Concretamente, le nuove disposizioni prevedono tre tappe: un’analisi della parità salariale dalla parte del datore di lavoro entro il 30 giugno 2021; una verifica di questa analisi da un organo indipendente entro il 30 giugno 2022; una comunicazione ai propri dipendenti ed eventuali azionisti sul risultato dell’analisi entro il 30 giugno 2023.
Analisi della parità salariale: datori di lavoro toccati e metodo
Il nuovo obbligo di analisi della parità dei salari concerne i datori di lavoro che occupano un effettivo di almeno 100 lavoratori, questo indipendentemente dal tasso di attività. Gli apprendisti non sono conteggiati in questo effettivo. Le aziende devono aver effettuato la prima analisi al più tardi entro il 30 giugno 2021. L’obbligo di analisi entro questo termine concerne non solo i datori di lavoro che occupavano all’inizio del 2020 almeno 100 lavoratori, ma anche quelli che occuperanno almeno 100 collaboratori all’inizio del 2021.
Di principio, l’analisi della parità salariarle dev’essere ripetuta ogni quattro anni. Se però l’analisi effettuata dimostra che la parità salariale è rispettata, il datore di lavoro è dispensato dall’obbligo di ripeterla.
Sono dispensati dall’effettuare l’analisi salariale le aziende che sono oggetto di un controllo del rispetto dell’analisi in questione nell’ambito di una procedura di attribuzione di un appalto pubblico o di una concessione di sussidi, o che sono già stati oggetti di una verifica simile tra luglio 2016 e giugno 2020 e che hanno dimostrato di soddisfare i requisiti.
L’analisi della parità salariale dev’essere effettuata secondo un metodo scientifico e conforme al diritto. A tal fine la Confederazione mette a disposizione gratuitamente alle aziende uno strumento d’analisi standard (Logib) disponibile online a questo indirizzo: https://www.ebg.admin.ch/ebg/it/home/servizi/logib.html
Verifica dell’analisi da parte di un organo indipendente
I datori di lavoro che sottostanno al Codice delle obbligazioni devono far verificare la loro analisi della parità salariale da un organo indipendente. Possono far appello, a scelta: a una società di revisione riconosciuta al senso della Legge federale del 16 dicembre 2005 sulla sorveglianza dei revisori; a un’organizzazione al senso dell’articolo 7 della LPar, costituita da almeno 2 anni e che ha per compito, in virtù del suo statuto, di promuovere la parità tra uomo e donna o di difendere gli interessi dei lavoratori e lavoratrici (per esempio un sindacato); a una rappresentanza di lavoratori al senso della Legge federale del 17 dicembre 1993 sull’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese (Legge sulla partecipazione).
Le persone che dirigono la revisione e verificano l’analisi della parità salariale a richiesta di un datore di lavoro devono aver seguito una formazione specifica che deve permettere di garantire che la verifica rispetti i requisiti minimi di qualità e che tutti i datori lavoratori sottomessi a l’obbligo di analisi siano trattati in egual misura. Le persone o entità che desiderano ottenere il riconoscimento di un corso di formazione devono depositare domanda presso l’Ufficio federale per la parità dei sessi che può rilasciare un riconoscimento valido per 4 anni e rinnovabile. L’organo indipendente deve redigere, nel termine di un anno dall’analisi salariale, un rapporto sull’esecuzione dell’analisi della parità salariale ad uso della direzione dell’azienda in verifica.
Comunicazione ai lavoratori e agli azionisti
Una volta ricevuto il rapporto dell’organo indipendente, i datori di lavoro devono informare per iscritto i lavoratori sul risultato dell’analisi della parità salariale, al più tardi un anno dopo la verifica. Le società le cui azioni sono quotate in borsa devono allegare il risultato dell’analisi della parità salariale al loro rapporto annuale.
Per contro, a meno che una legge specifica non lo preveda, i risultati non devono essere comunicati a un’autorità.
Quanto ai datori di lavoro del settore pubblico, devono pubblicare i risultati dettagliati dell’analisi e della verifica.
Conseguenza in caso di non-rispetto dell’obbligo di analisi
Tenuto conto che l’obbligo di analisi della parità salariale mira a sensibilizzare i datori di lavoro sulla questione della parità salariale e che numerose aziende effettuano volontariamente l’analisi, il legislatore ha rinunciato a prevedere una sanzione per le aziende che si sottraggono a questo obbligo. Una violazione della parità salariale tra uomo e donna però può comportare delle conseguenze pecuniarie, avere delle conseguenze sulla gara di un appalto pubblico o l’ottenimento di sovvenzioni dello stato, o ancora avere ripercussioni sull’immagine o la reputazione del datore di lavoro.
Fonte: articolo adattato e tradotto dal francese dalla rivista DEMAIN, edizione del 09.2020
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/02/ART20-pari-opp..jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-12-07 06:52:202020-12-01 09:54:34Parità salariale: l’obbligo di effettuare un’analisi
Lo scorso 27 settembre 2020 è stata accettata in votazione popolare l’introduzione in Svizzera di un congedo paternità. Le nuove regole entreranno in vigore il 1° gennaio 2021. Una scheda informativa a riguardo.
Un riassunto schematico:
La durata del congedo è di due settimane, ossia dieci giorni lavorativi. È possibile beneficiare del congedo in blocco o in singole giornate.
Ne hanno diritto i padri che esercitano un’attività lucrativa (dipendente o indipendente).
Devono inoltre essere stati assicurati obbligatoriamente ai sensi della LAVS durante i nove mesi che precedono la nascita del figlio e durante tale periodo aver esercitato un’attività lucrativa per almeno cinque mesi.
Valgono gli stessi principi applicabili al congedo maternità.
Il diritto al congedo va comunque esercitato entro sei mesi dalla nascita del figlio.
Si riferisce ai figli nati dopo il 31 dicembre 2020.
Il diritto è concesso a condizione che il neonato sia in grado di vivere.
Copre l’80 per cento del reddito medio conseguito prima della nascita del figlio, ma non può superare i 196 franchi al giorno.
L’indennità di paternità non sarà versata automaticamente, ma andrà espressamente richiesta alla cassa di compensazione competente.
L’indennità è versata direttamente al lavoratore oppure al datore di lavoro, se questo continua a versare il salario durante il congedo.
Per finanziare il congedo di paternità, il 1° gennaio 2021 il tasso di contribuzione IPG passerà dallo 0,45 allo 0,5 per cento. Il 50% dei costi è a carico dei datori di lavoro.
Contattare il Servizio giuridico Cc-Ti Il nostro Servizio giuridico è a disposizione delle aziende affiliate per consulenze puntuali. Nell’Area soci sono pubblicate diverse schede giuridiche con informazioni mirate e aggiornate su temi in ambiti quali diritto del lavoro, HR, diritto commerciale, accordi bilaterali, proprietà intellettuale, fiscalità, assicurazioni sociali, ecc.. L’accesso a questa sezione del sito è destinata esclusivamente ai soci.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/11/ART20-congedo-paternita.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2020-12-02 06:26:002020-11-30 16:27:32Congedo paternità: breve scheda informativa
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