Entrata in vigore del nuovo Accordo Svizzera-Italia sulla fiscalità dei frontalieri

INFORMATIVA

In questi giorni è avvenuta la formale notifica da Roma a Berna necessaria all’entrata in vigore del nuovo Accordo firmato dalla Svizzera con l’Italia sulla fiscalità dei frontalieri.

Di conseguenza, come comunicato dalle autorità federali, il nuovo Accordo è entrato in vigore il 17 luglio 2023.

Ciò significa che a partire dal 18 luglio 2023 ogni persona che richiedesse il permesso G dal punto di vista fiscale verrà imposta in base al nuovo regime, che verrà applicato dal 1° gennaio 2024.
 
Qui trovate ulteriori informazioni.



Una decisione certa, nell’incertezza?

Quando non c’è nulla di certo come decidere? Nella confusione esistono delle strategie per sapere in quale momento procedere, prendere tempo per analizzare, mantenere un punto o cambiarlo. In un tempo storico che vede guerre in grado di cambiare gli equilibri in poche ore, anzi secondi, la strategia di compiere scelte più che mai corrette, è imposta dalle contingenze.

Attendere o esitare può produrre conseguenze importanti e vedere finestre di opportunità chiudersi inesorabilmente e velocemente. Ovviamente quando il clima di confusione sovrasta la realtà, decidersi diventa impegnativo, ma non impossibile.

E allora come comportarsi? Pragmaticamente per arrivare a decidere nel migliore dei modi, il nostro approccio deve smettere di essere deterministico e optare per una linea probabilista, e osservare con attenzione come il ventaglio di probabilità potrebbe evolversi. Uscire dalla narrazione bianco o nero e “permettersi” di cambiare idea, porta verso una decisione certamente più pertinente.

Si tratta basare le decisioni come se ci si trovasse davanti a più possibili condotte: una via da seguire in caso di confusione, ma almeno due vie quando la confusione è veramente imponente. La seconda variante promuove l’opportunità fondamentale di poter fare “marcia indietro” e prendere in considerazione “l’altra” alternativa, con uno sforzo relativamente basso e non appena il contesto lo imponga. In altre parole, possiamo affermare che non bisogna seguire semplicemente le nostre intuizioni, ma “testare” le nostre intuizioni.

Siccome siamo inclini a credere a ciò che vogliamo credere, dovremmo guardare agli indizi opposti, proprio quelli in grado di farci eventualmente cambiare idea.

Questa “filosofia” da acquisire si può attuare semplicemente anche all’interno dalla propria impresa, costituendo, in un clima di collaborazione e integrazione, un gruppo di colleghi ai quali ci rivolgiamo con la richiesta di esprimere, in base alle nostre considerazioni generali e puntuali, di trovare punti deboli, difetti o forza. Proprio sul loro riscontro rivalutiamo, quindi, più precisamente la situazione e le sue derivazioni.

In questo modo saremo facilitati nel rivedere i fatti con maggiore flessibilità e testare davvero la nostra intuizione. “Dipanare” il processo in atto aiuta, a poco a poco, a gestire la confusione.

In un contesto geopolitico ed economico instabile, di fronte a sfide complesse e inedite, gestire la propria impresa non può riconoscere posizioni di certezza. Le crisi recenti, pandemia, guerra in Ucraina e i loro effetti collaterali continuamente mutevoli, sono un invito chiaro a mettere in atto tutti gli strumenti nelle nostre disponibilità che possano portarci a prendere le migliori decisioni.

Come Voltaire scriveva già nel 1767 al Re di Prussia, Federico II: “il dubbio non è una sensazione gradevole, ma la certezza è assurda”.

L’atto di fare una scelta cambia il modo in cui ci sentiamo riguardo alle nostre opzioni.

Per approfondire: Prof. IMD di Losanna, Arnaud Chevallier autore di “Strategic Thinking in Complex Problem Solving” – Oxford University Press – e recentemente di “Solvable: A Simple Solution to Complex Problems” coautore Albrecht Enders – Pearson Education Limited –.

Fonte: Testo Fanny Oberson, CVCI, “Demain”, nr. 04.2022, traduzione e adattamento Cc-Ti

Così Linkedin ha cambiato (e continua a cambiare) l’HR

di Manuela Cuadrado, Account Manager in Breva Digital Communication Sagl

Linkedin si conferma uno dei social media più amati. In un panorama mutevole come quello digitale, ha saputo evolversi senza mai venire meno alla sua “mission” originale: fornire a chi lavora uno strumento di networking in grado di supportare gli utenti nella ricerca di un nuovo lavoro e le aziende nella ricerca di personale. Un mondo virtuale in cui domanda e offerta di lavoro possano incontrarsi direttamente, rompendo le tradizionali barriere gerarchiche. Una felice intuizione per l’epoca: Linkedin è infatti nato ufficialmente il 5 maggio del 2023.
Sì, avete fatto bene i conti: quest’anno, le candeline sulla torta saranno 20. Due decadi di crescita solida e costante, che hanno portato le funzionalità della piattaforma ad espandersi: oggi imprese e privati utilizzano Linkedin per la ricerca attiva di clienti, il rafforzamento della propria reputazione online, la formazione, o semplicemente per restare aggiornati su quanto accade nella propria sfera di interesse professionale.
Tuttavia, la vocazione HR di Linkedin non è certo venuta meno. Al contrario: si è arricchita di nuove, interessanti funzionalità.

Anche la ricerca di personale ha la sua brand awareness.

Oggi più che mai, la ricerca di lavoro da parte dei candidati tiene conto di fattori che vanno oltre l’inquadramento o la retribuzione: non cercano più solamente un impiego, ma un’esperienza di lavoro che consenta loro un accrescimento personale, oltre che professionale. Vogliono poter sposare i valori dell’azienda in cui lavorano e trovare un ambiente positivo e accogliente, in cui il loro talento venga valorizzato. Per questo, sono più portati che in passato a fare ricerche sull’azienda e chi ci lavora. Ricerche che avvengono al 99% online… le aziende che vogliono attrarre i candidati migliori trovano in Linkedin un’eccezionale opportunità di comunicare le proprie attività, missione e valori, avendo la certezza di trovarsi già su sulla piattaforma social più adatta per ottenere la visibilità che gli serve. I dipendenti e i collaboratori dell’azienda possono essere chiamati direttamente a contribuire a questa visibilità attraverso le funzionalità di Employee Advocacy; l’engagement da parte di chi già lavora in azienda, è senza dubbio il miglior biglietto da visita agli occhi di un candidato. Pubblicare e condividere contenuti interessanti sulle attività aziendali può stimolare molti professionisti a contattarvi per primi, con una candidatura spontanea.
Ma… cosa accade se abbiamo bisogno di una ricerca di personale mirata, magari con una certa urgenza?

Job posting e Job ADS: pubblicare e sponsorizzare gli annunci di lavoro

È risaputo che le aziende possono pubblicare e diffondere annunci di lavoro su Linkedin. È meno noto che per farlo non occorre necessariamente pagare: basta avvalersi della funzionalità “Pubblica un’offerta di lavoro” dal menù aziendale e una procedura guidata ci permetterà di redigere e pubblicare l’annuncio perfetto per noi, che verrà pubblicato sulla pagina aziendale e da lì potrà essere ricondiviso. Questo, in alcuni casi, potrebbe già essere sufficiente ad attirare l’attenzione di candidati interessanti, ma solo a patto diaver nutrito nel tempo la nostra rete con contatti qualificati e in target (questo ovviamente, vale per tutti quelli che condivideranno l’annuncio). È anche possibile arricchire la propria foto profilo con la dicitura “I’m hiring” – “Sto assumendo”, per ottenere ulteriore visibilità presso la nostra rete.
Se però vogliamo accelerare i tempi o abbiamo necessità di raggiungere velocemente un pubblico più ampio, potremo avvalerci della possibilità di sponsorizzare l’annuncio: grazie alla capacità di selezione capillare del target della piattaforma pubblicitaria di Linkedin, potremo mostrare il nostro annuncio solo a candidati che corrispondono il più possibile al nostro candidato ideale: tra i filtri troviamo, ad esempio, gli anni di esperienza, il titolo di studio, ma anche le lingue conosciute o determinate conoscenze tecniche e/o particolari skill (ad esempio, la competenza nell’utilizzo di determinati software o macchinari). I termini e condizioni del servizio di Linkedin non permettono di inserire criteri discriminanti quali sesso, età, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità etc. (anche in accordo alle leggi e normative vigenti nel Paese di riferimento).
Altro spunto da tenere presente: grazie a un codice di tracciamento da inserire sul sito web (pixel) è possibile fare pubblicità retargeting a tutti i potenziali candidati che sono atterrati sul nostro sito web per approfondire l’annuncio o conoscere meglio l’azienda, andando così a colpire un pubblico non solo idoneo, ma anche
fortemente interessato.

Più forza alla ricerca di personale con Linkedin Recruiter

Per chi lavora nel campo delle Risorse Umane o le imprese che hanno bisogno di molto personale, è nato Linkedin Recruiter, una soluzione tailor-made per venire incontro alle specifiche necessità di ogni azienda. Grazie a Recruiter, non è necessario aspettare che il candidato giusto venga da noi: possiamo essere noi a
trovarlo e contattarlo per primi! I responsabili della selezione hanno a disposizione una ricerca attiva che permette di impostare diversi filtri e trovare gli utenti con il profilo più adeguato: tra gli oltre 690 milioni di iscritti nel mondo, c’è sicuramente il candidato giusto! L’HR manager potrà quindi contattarlo direttamente attraverso i messaggi InMail.

Assegni Familiari & AUUF

Italia: Assegno Unico Universale 2023-2024

Dal 2023 inviano la domanda soltanto i nuovi aspiranti beneficiari, mentre chi già riceveva l’Assegno unico non deve fare nulla a meno che non siano intervenute variazioni che richiedono un’integrazione tempestiva della vecchia domanda sul sito INPS, per consentire di adeguare la prestazione alla nuova situazione reddituale o familiare.
I beneficiari attivi a febbraio 2023, da marzo ottengono il rinnovo automatico alle medesime condizioni, rapportate all’eventuale ISEE in corso di validità.


INFORMATIVA

Informativa aggiornata a marzo 2023

Frontalieri e fiscalità-1° febbraio 2023

IMPORTANTE INFORMATIVA

Lo scorso 23 dicembre vi abbiamo informati che l’Accordo amichevole concluso con l’Italia nel giugno 2020 sul telelavoro dei frontalieri non verrà prorogato e che il regime speciale in materia fiscale decadrà quindi il prossimo 1° febbraio 2023.
Ieri l’Autorità fiscale italiana ha precisato che i frontalieri italiani che continueranno in modalità di telelavoro perderanno lo statuto fiscale di frontaliere. Il regime dei frontalieri viene riservato ai soggetti che quotidianamente (e non, quindi, in modo saltuario) si recano all’estero per svolgere il proprio lavoro.
Per mantenere tale statuto è quindi necessario che la persona non lavori nemmeno un giorno completo dal proprio domicilio.
In caso contrario il frontaliere rischia di essere tassato in Italia per l’intero reddito conseguito in Svizzera.
Per quanto riguarda le aziende, inoltre, rimane aperta pure la questione relativa all’assoggettamento al fisco italiano, a determinate condizioni, quale stabile organizzazione.

INFORMATIVE PRECEDENTI:
www.cc-ti.ch/calendario/frontalieri-e-fiscalita/
www.cc-ti.ch/normative-diverse-in-vigore-dal-2023/
www.cc-ti.ch/info-veicoli-aziendali/

Illusione o prospettiva?

Settimana lavorativa ridotta a quattro giorni ma con salario invariato, maggiore produttività e tutti felici e contenti. È davvero così? Il tema lanciato in Ticino in occasione del 1° maggio e ripreso con sempre più insistenza dalla parte sindacale anche nelle ultime settimane non è nuovo e la Cc-Ti se ne è già occupata più volte negli scorsi mesi. In Svizzera la discussione ha avuto origine lo scorso anno dopo la pubblicazione di uno studio islandese che magnificava i risultati dell’esperimento della durata di tre anni svolto all’interno dell’amministrazione pubblica. Ecco le riflessioni sul tema del Presidente Cc-Ti Andrea Gehri.

La proposta di ridurre l’orario lavorativo settimanale mantenendo inalterato lo stipendio dei dipendenti è indiscutibilmente una prospettiva allettante basata su buone intenzioni e nobili principi. Nulla da eccepire!

Ma, come spesso accade in situazioni del genere, le buone idee possono rivelarsi spesso non ottimali e illusorie, come ben dicono i francofoni con l’espressione “une fausse bonne idée”. È evidente che il mondo del lavoro ha conosciuto e sta conoscendo profonde trasformazioni, basti pensare allo sviluppo del telelavoro durante il periodo pandemico. Tuttavia, un’attenta analisi della questione della settimana di quattro giorni a salario invariato mette chiaramente in risalto gli aspetti più ostici e l’effettivo costo dell’eventuale provvedimento.

“Risultati sorprendenti” e “successo travolgente” in termini di salute e rendimento, queste le espressioni usate da alcuni ricercatori in merito all’esperimento islandese che ha coinvolto circa 2’500 lavoratori i cui orari d’impiego sono stati ridotti a parità di retribuzione tra il 2015 e il 2019. Esiti positivi, rivisitazione dei modelli esistenti, ecc..

Partiamo da una riflessione che è un fatto. lo studio ha valutato solo il settore pubblico, le cui peculiarità non sono certamente migliori né peggiori dell’economia privata, ma senza dubbio molto, ma molto differenti. Basti solo pensare che il pubblico non è ovviamente confrontato con la logica di mercato e della concorrenza e pertanto il costo del lavoro non rappresenta un criterio di confronto fortemente rilevante.  Quindi poco probante, tanto più, e qui vi è un secondo punto critico, che la struttura economica della repubblica nordica (basata in modo preponderante sulla pesca) difficilmente può fungere da diretto confronto per la Svizzera.

Se è vero che diverse nazioni stanno seguendo la scia di sperimentazioni analoghe, ogni caso va giudicato in maniera individuale. Evitiamo di prendere ad esempio la Francia, che dall’introduzione delle 35 ore settimanali obbligatorie ha dovuto inventarsi artifici legislativi per gestire in modo differente quelle che sono diventate numerose ore supplementari (con costi maggiorati per le aziende e una burocrazia spaventosa). Citiamo la Spagna, che ha adottato il progetto pilota delle 32 ore, ma per incentivare le imprese a parteciparvi lo Stato interviene assumendosi parte dei costi. Non propriamente una idea brillante!

In alcuni Paesi, fra cui anche la Svizzera, la settimana di quattro giorni è stata introdotta da singole aziende o determinate categorie di professioni. Qui sta il punto. Chi può adottare nuovi modelli di lavoro creativi lo fa senza esitare. È il caso di un ufficio di progettazione di software svizzero, sempre citato quale esempio, ma che per la natura della sua attività e del suo prodotto può permettersi una settimana di quattro giorni senza riduzione di salario. Anche perché i margini di guadagno e il valore aggiunto generato lo permettono, aspetti questi non scontati per altri settori economici.

Ipotizzare quindi un obbligo generalizzato è semplicemente fuori dalla realtà economica. Ognuno deve avere la facoltà di decidere, tenendo conto della realtà in cui opera. Le molte considerazioni su benessere, produttività e competizione con datori di lavoro più attrattivi ecc., vanno lasciate alle singole imprese o eventualmente alle categorie. Un diktat statale non avrebbe alcun senso e illuderebbe i lavoratori a pensare che lavorando meno si guadagna di più. Tutt’altro, lavorando meno si spenderebbe di più, senza peraltro averne le necessarie risorse o maggiorate.

Questo non significa assolutamente sminuire l’importanza del fattore salute e benessere sul posto di lavoro. Anzi! È sempre più un fattore di competitività e pragmatismo.

Ma la questione è ben più complessa e delicata di quanto alcuni abbiano interesse a dipingerla e il rovescio della medaglia poco positivo. In sostanza, misure generalizzate non sono applicabili a tutte le realtà professionali e il rischio poi che si vada incontro ad una riduzione dei giorni lavorativi ma non delle ore settimanali complessive è altrettanto elevato. Il già citato esempio francese è illuminante, visto che il cospicuo numero di straordinari rendono di fatto le 35 ore d’impiego una mera clausola formale, senza peraltro aver generato il benessere auspicato. Inoltre, la maggiore flessibilità cercata oggi da molte persone non è necessariamente legata ad uno schema fisso come quello offerto dalla settimana lavorativa ristretta. Senza dimenticare che il mantenimento intatto della rimunerazione a fronte di un tempo d’impiego ridotto porta inevitabilmente all’insorgere di un problema di costo del lavoro e al bisogno di assumere personale aggiuntivo, fattore non banale data l’attuale e ormai cronica carenza di manodopera qualificata.

Non dobbiamo poi dimenticare le origini del benessere costruito in Svizzera nel corso dei decenni, bene che tutti ci riconoscono e che molti Stati prendono come esempio. Il successo del modello svizzero è senza dubbio costituito da principi sacrosanti quali, passione nel lavoro, attitudine al sacrificio, serietà e dedizione. Vogliamo veramente metter in dubbio principi che hanno favorito il benessere generale di cui la nostra società beneficia?

Grazie alla proverbiale attitudine positiva al lavoro e alla capacità di creare valore aggiunto della sua economia, la Svizzera non teme confronti al mondo e assicura una ridistribuzione della ricchezza equilibrata e capillare a sostegno delle fasce della popolazione meno fortunate.

È quindi fondamentale lasciare ad ogni azienda la libertà di scelta in base alle proprie esigenze e disponibilità piuttosto che imporre indistintamente un rigido piano che non tiene conto minimamente delle situazioni individuali e per il quale pagheremmo tutti conseguenze importanti, al momento non quantificabili.

L’illusione della settimana lavorativa di 4 giorni con il miraggio di una maggiore produttività, migliore qualità di vita e benessere psicologico si scontra inevitabilmente con la realtà dei fatti.

Il costo del lavoro aumenterebbe sostanzialmente attraverso l’assunzione di maggior personale (ammesso che lo si trovi) e l’azienda si troverebbe inevitabilmente confrontata con costi di produzione che, in un mercato come il nostro, rischierebbe di penalizzarla fatalmente.

Se le aziende non integrassero nuovo personale, perché non ne hanno le risorse, il rischio consisterebbe nella riduzione delle attività e servizi offerti, che applicando un nuovo ritmo di lavoro si tradurrebbe in un maggiore carico di lavoro per i dipendenti, favorendo l’insorgere di ansia, stress e rischio di burnout. L’esatto contrario di quanto atteso.

Dulcis in fundo …. Il mondo d’oggi, non solo per le aziende che affrontano un mercato globale, richiede, flessibilità disponibilità e reperibilità continua, indipendentemente dall’orario. L’aspettativa del cliente si scontra innegabilmente con una settimana lavorativa ridotta, soprattutto quando viene richiesta l’interazione con un unico referente. Lavorare meno e guadagnare di più è quindi una pia illusione!

Non esistono domande inutili

Chi fa domande conduce, questo è indiscutibile. Ma ciò che i dipendenti raccontano dei loro superiori durante le sessioni di formazione e coaching spesso sembra a mille miglia da questa verità.

Il Signor H. parla del suo capo, che fa costantemente domande, ma spesso H. ha l’impressione che non vengano strutturate in modo propositivo e quindi non portino a nessun esito costruttivo, per nessuno dei due.
Allora, forse, porre le “giuste” domande può rivelarsi più difficoltoso di come si possa pensare.
Facciamo un passo indietro e vediamo come si pongono i giornalisti, questi professionisti che vivono dell’arte di porre domande. Durante la loro formazione, imparano prima a porre domande e a far “aprire” le persone. Sanno che devono assolutamente trovare le informazioni chiave e che le troveranno nelle risposte degli interlocutori. Possiamo trarne ispirazione.

Essere preparati

Non basta, però, imparare a memoria un elenco di domande. Prima di lanciarsi, i giornalisti si preparano accuratamente sull’argomento che tratteranno e sullo scopo finale del loro colloquio. Sanno anticipatamente quali domande porre per mettere il loro interlocutore a suo agio, mostrano interesse per lui: l’intervistato si trova in un approccio corretto e rispettoso e collabora volentieri.

I giornalisti sanno anche come giocare sui punti interrogativi per mettere all’angolo qualcuno quando presumono, ad esempio, che ci sia uno “scheletro nell’armadio” (cioè informazioni importanti) e vogliono saperne di più (per i loro lettori). Bisogna affinare questo sesto senso, mostrare tatto, altrimenti l’interlocutore sfugge e si chiude.

Domande poste in modo scoordinato o non serio, senza empatia e con poca preparazione posso addirittura effettuare l’effetto contrario. Il nostro interlocutore mente, inventa, o porta il tema nella direzione a lui più affine, rendendo vano tutto il colloquio. Peccato!

Raccogliere informazioni? Sostenere? Controllare?

In qualità di dirigente e collaboratore all’interno dell’azienda, si combinano più funzioni e spesso vengono esercitate contemporaneamente. Le informazioni corrette sono alla base di una strategia vincente… tante occasioni per porre domande in modo mirato.

In qualità di responsabile gerarchico, porre domande aiuta ad assicurarsi che le informazioni circolino. La gestione di professionisti che spesso sono molto più preparati di voi nei propri campi di competenza, e che, attraverso le vostre domande, forniranno informazioni importanti, aggiornamenti sullo stato di avanzamento di un progetto, informazioni sul “polso di soddisfazione / critica” dei collaboratori, vi aiutano a verificare che gli obiettivi raggiunti siano in linea con quelli pianificati…

In qualità di specialista, potete, ponendo domande, verificare che la qualità di un prodotto soddisfi le aspettative e garantire l’efficienza del processo.

In qualità di mediatore, potete dimostrare il vostro interesse ponendo domande e quindi sottolineare l’identificazione e l’investimento riversato o percepito dai membri del team; le domande sono anche un valido strumento di gestione dei conflitti.

In qualità di coach, fare domande porterà a supportare lo sviluppo individuale dei collaboratori o colleghi. Chiedere informazioni sulle reciproche risorse personali e poi dare i giusti consigli, il giusto feedback, condividere una riflessione tempestiva.

In qualità di imprenditore, il quadro generale dell’organizzazione risulta più delineato. Un occhio più attento sul mercato e quindi più rappresentativo per la vostra azienda all’esterno. Le domande permettono di guadagnare la fiducia degli altri, sia internamente che esternamente, di rilevare aspetti fino ad allora sconosciuti all’interno dell’azienda e di stimolare il senso di responsabilità dei dipendenti.

In qualità di dipendente, fare domande consente, ad esempio, di assicurarsi che i passi siano in linea con gli obiettivi dell’azienda e di conoscere il margine di manovra rispetto ai processi innovativi e all’evoluzione della propria posizione.

Ognuno è chiamato a rivestire tanti ruoli in diversi contesti, funzioni e responsabilità: per ognuno di essi può essere molto utile porre la domanda giusta al momento giusto. È quindi essenziale prendersi il tempo necessario e adottare un atteggiamento aperto per ottenere risultati a volte anche inattesi.

Anche nella nostra pratica professionale dobbiamo esercitarci a porre le domande (anche a sé stessi) che ci permetteranno di raggiungere i nostri obiettivi nel rispetto dei nostri differenti interlocutori.

L’altro

Chi di noi potrebbe negare che non tendiamo a pensare di conoscere i dettagli delle cose prima ancora di porre le nostre domande? Sicuramente interroghiamo i nostri interlocutori, ma crediamo di conoscere già le risposte. Ascoltiamo prima noi stessi e poi gli altri… forse, e non con attenzione.

Tuttavia, in un mondo sempre più specializzato, non potremmo mai essere dei “tuttologi. Un collaboratore, un dipendente del servizio esterno, un conoscente persino, può rivelarsi la giusta persona di riferimento. In breve: scoprite cosa ha da dire ogni persona sul vostro cammino.

Apprezzare le risposte

Vedendo i giornalisti al lavoro sul piccolo schermo, possiamo chiederci se sarebbe possibile per noi fare lo stesso nella nostra pratica professionale. Alcuni giornalisti sono freddi e distanti. Il nostro sangue si congela nelle vene solo a vederli. Altri mostrano più calore umano e sembrano sinceramente interessati alla persona che stanno intervistando.
Dobbiamo aggiungere che ogni intervista ha le sue funzioni (vedi sopra). Sta a ognuno di noi definire l’obiettivo della conversazione. In generale, bisogna trovare un equilibrio tra prova di interesse e distanza professionale, tra cordialità e missione. Se avete imparato a porre davvero domande e domande reali, otterrete risposte più o meno utili. Considerate le risposte che vengono date come doni. Considerateli come una prova di fiducia da parte del vostro interlocutore. Non reagire alle risposte con delle critiche o rifiutandole (anche se a prima vista sembrano spiacevoli o diverse da quelle che vi attendevate).

Quando il tempo sta per scadere

Con l’aiuto di esercizio e autocritica, le persone sono in grado di destreggiarsi poi, tra le domande. La preparazione è la chiave per raggiungere questo obiettivo. Ma a volte dobbiamo condurre un’intervista sul posto, senza essere davvero in grado di rifletterci sopra e scandire una dinamica precisa. Oppure nuove informazioni cambiano il gioco proprio durante l’intervista. In questi casi, ci saranno molto utili alcune domande basilari e generali, purché ci limitiamo ad esse.

Un esempio:

  • Chiedi informazioni sull’obiettivo
  • Chiedi un aggiornamento
  • Chiedi (e ascolta) il parere del tuo interlocutore

Lo scopo di queste tre domande è quello di permettervi di avere successo anche in un territorio sconosciuto e poter comunque usufruire al meglio della situazione. In questo caso, ancora più che in altri contesti, è fondamentale ascoltare con attenzione.

Già gli antichi cinesi…

Già gli antichi cinesi dicevano che chi fa una domanda è stupido per cinque minuti, mentre chi non chiede rimane stupido per il resto della sua vita.


Fonte: WEKA, Equipe de rédaction, 13.6.22, adattamento Cc-Ti

L’arte della critica costruttiva e della “buona” comunicazione

Lo spirito critico, dal greco κριτικός (“che discerne”), è un atteggiamento riflessivo proprio di chi non accetta nessuna affermazione senza interrogarsi sulla sua validità e che considera una proposizione come vera solo quando è stata verificata, dove possibile, o quantomeno attentamente considerata. Quando pensiamo a una “critica”, però, spesso, questa parola assume con una connotazione negativa non considerando le sue diverse valenze: la critica può essere anche costruttiva (anzi lo dovrebbe essere) e volgere al miglioramento.

Cominciamo con un esempio: il vostro capo si avvicina chiedendo di preparare una presentazione per un incontro con un cliente. La consegnate. Poco dopo vi viene fornito un feedback, in cui si dice che non avete affrontato un punto che era considerato importante.

La critica

Se la mancanza sollevata nel feedback non è chiara o non la condividete, diventa costruttivo per entrambe le parti, cercare di comprendere con domande puntuali e condivisione di pensiero le reali priorità che dovevano venire espresse nel compito che era stato affidato.
Attuare poi quanto appreso renderà il lavoro più confacente alle esigenze aziendali.
Allo stesso tempo, il dirigente è tenuto ad esprimersi con modalità proattive chiare. Solo un reciproco rispetto e obiettivo comune potranno dare il risultato sperato.

Una “cattiva” gestione della critica può portare rapidamente alla nascita di un conflitto. Accettare le critiche è difficile per la maggior parte delle persone, sia professionalmente, sia socialmente. Occorre focalizzare la critica in un’ottica positiva. Spesso, permette di imparare e crescere.
François de La Rochefoucauld (scrittore e filosofo francese, 1613 – 1680) affermò: “pochi sono tanto saggi da preferire un benefico biasimo a una lode traditrice”.

Oltre a presentare il problema in modo propositivo, la critica costruttiva dovrebbe essere formulata quale spunto di miglioramento alla persona alla quale è rivolta.
Accade di frequente che le persone si sentano attaccate, anche se la critica voleva essere costruttiva, e considerano ogni osservazione come un attacco personale.
Un ottimale scambio di opinioni tiene conto di tutte queste, appunto, criticità.

Come accettare la critica costruttiva?

  • La persona e l’azione: la critica non è diretta contro di voi, ma riguarda un fatto o una situazione specifica. Quindi si consiglia di cambiare prospettiva e guardare il problema in modo obiettivo.
  • Ascoltare attentamente ciò che viene detto dal vostro interlocutore prima di reagire.
  • Essere riconoscenti: ringraziate l’interlocutore per i suoi suggerimenti e considerate quanto esposto come un supporto alla risoluzione di un problema comune.
  • Chiedere precisazioni: porre domande. Verificare di aver compreso correttamente la critica. Spesso i problemi sorgono solo a causa di incomprensioni.
  • Non difendersi: non giustificare il vostro punto di vista, ma spiegare con calma perché si è agito in un determinato modo.

La buona notizia: si può imparare

Quando si ricevono delle critiche, è consigliabile assicurarsi che “il linguaggio del corpo” non manifesti un rifiuto a priori. Evitate di incrociare le braccia sul petto e di alzare le ciglia, ancora prima di porvi in ascolto.
Se le argomentazioni del vostro interlocutore saranno comprensibili e convincenti, si potranno accettare con più facilità le critiche enunciate e attuare la proposta di miglioramento, qualora si presenti l’opportunità. Il confronto tra i metodi di gestione del problema/compito consentirà di trovare la soluzione ottimale per entrambi le parti.

Come formulare la critica costruttiva?

  • Non lasciarsi trasportare dalle emozioni: anche se qualcosa vi infastidisce, prendere tempo prima di criticare.
  • Restare obiettivi: rivolgere sempre le critiche alla situazione e non all’interlocutore.
  • Evitare i tormentoni: quando si esprime una valutazione, evitare parole come: sempre, spesso, ogni volta.
  • Mostrare comprensione: nella critica, occorrerebbe tener conto dell’altra persona, esprimendosi in modo appropriato (dicendo, ad esempio, “capisco il tuo punto di vista/argomento/approccio)”.
  • Presentare la critica in modo positivo: invece di affermare “non mi piace la tua idea“, si potrebbe cambiare prospettiva affermando: “grazie per averci esposto la tua idea. Non abbiamo ancora approfondito questo aspetto e quanto detto ci permette di abbracciare altri punti di vista”.

Relativizzare e difendersi dalle critiche ingiustificate

Può accadere che le critiche siano ingiustificate, quindi prive di fondamento. È possibile che la persona criticata accetti comunque la critica, come pure che affronti attivamente e, se necessario, vi si opponga. Ad esempio, se una persona è criticata ma non è la causa del problema, la critica è ingiustificata e questa forma di critica non è produttiva.
Chi accetta tacitamente tali situazioni rischia di diventare il “capro espiatorio” per tutte le problematiche future che possono occorrere.

Accettare una critica significa chiarire i punti erroneamente messi in discussione. È importante restare sempre al livello dei fatti e frenare le proprie emozioni. Difendersi o difendere la propria posizione, però, non significa “contrattaccare” nello stesso verso di chi ha mosso la critica.
Alcuni punti di cui tener conto:

  • Respirare: non reagire immediatamente ed emotivamente alle critiche, ma cercare di calmarsi per un momento.
  • Cercare un interlocutore: si può risolvere la discussione con chi ha mosso la critica o è meglio rivolgersi a una terza persona? Essa potrebbe fungere da mediatore.
  • Giustificare la decisione: spiegare in dettaglio e oggettivamente perché la critica è giunta al destinatario sbagliato.
  • Non essere ostinati: se si è arrabbiati a seguito di una critica, non è opportuno bloccare tutto ciò che l’interlocutore ha da dire sulla sua giustificazione.
  • Reagire in tempo: un chiarimento rapido può prevenire ulteriori critiche ingiustificate. In una situazione del genere, la gestione della critica è messa a dura prova, soprattutto se la capacità critica del proprio interlocutore non è particolarmente sviluppata.
  • Non portare rancore: la capacità di critica è caratterizzata anche dal fatto che si continui a lavorare con qualcuno, anche se si sono ricevute critiche in maniera ingiustificata.

Ma allora… è una questione di comunicazione?

La maggior parte delle persone si considera un buon ascoltatore. In realtà, gran parte delle persone non sanno ascoltare. L’entusiasmo per le proprie idee e la voglia di comunicarle non permette un vero ascolto e, quindi, non migliora la conversazione. Osservate se, in una conversazione, mostrate più entusiasmo per ciò che sentite o per i vostri pensieri. La maggior parte delle volte la voglia di parlare impedisce un ascolto attento. Seguire attivamente una conversazione è faticoso, richiede concentrazione e non porta una soddisfazione così immediata rispetto alla reazione immediata delle parole dette a fiume su di un argomento che ci sta a cuore.

Per diventare buoni ascoltatori, occorre sapere come porsi e come prestare attenzione. Uno dei metodi che si possono mettere in atto consiste nel non reagire immediatamente a ciò che viene detto, ma creare uno spazio di riflessione. Ciò impedirà ai pregiudizi o ad altre abitudini di pensiero di determinare una reazione impulsiva, che magari potrà rivelarsi errata per l’occasione. Allo stesso modo, una breve pausa può offrire l’opportunità di estrapolare dal discorso informazioni preziose, che altrimenti potrebbero andare perse. Superare le abitudini che si fossilizzano nella comunicazione interpersonale richiede degli sforzi. Quindi provate ad ascoltare attentamente il vostro interlocutore.

È utile porsi domande: sto davvero ascoltando per imparare qualcosa di nuovo o sto solo cercando una conferma della mia opinione?
Un buon indizio è la volontà di conoscere posizioni opposte. Se non si mostra una predisposizione all’ascolto attivo, almeno in linea di principio, la nostra comunicazione risulterà imparziale e chiusa.
Anche in azienda valgono gli stessi principi, per migliorare la comunicazione interna con i dipendenti occorre sviluppare ed “allenare” l’ascolto attivo.

Manifestare partecipazione per la vita dei collaboratori, valorizzare i loro interessi, renderli partecipi: 3 azioni di ascolto e coinvolgimento che incrementano la motivazione e la soddisfazione del team.

Fortunatamente si può affermare l’arte dell’ascolto può essere appresa. Un primo passo è chiedersi, durante una conversazione, se si è attenti all’interlocutore dinnanzi a noi. Se ci stiamo pensando… la risposta è: non abbastanza!
È utile iniziare dal contesto privato ed “osservarsi” quanto si ascolta durante un pasto con amici. Stabilire un primo obiettivo, come, ad esempio, cercare di ascoltare per almeno l’80% del tempo. In questo modo ci si esercita prestando attenzione all’impulso di intervenire interrompendo l’altra persona, restando in ascolto, appunto.
Anche se si affrontano temi seri (problemi personali, ecc.) è importante restare concentrati sull’altro: si tende, spesso, a imporre le proprie esperienze su quelle degli altri e poi a dare consigli frettolosamente.
Tre termini fondamentali sono compassione e comprensione, ma anche moderazione: ciò si traduce nel mettersi sullo stesso piano dell’interlocutore, porre domande se qualcosa non è chiaro, mantenere il contatto visivo, non prendere sul personale le critiche, osservare le emozioni.

Attenzione al multitasking!

Il multitasking (ossia lo svolgere più attività più o meno contemporaneamente) non solo può rendere meno efficienti, ma danneggia anche il ruolo di uditore. Per restare concentrati sul soggetto, si comincia in modo progressivo, come ad esempio non rispondendo insieme a un’e-mail mentre si parla al telefono. Si dovrebbe prestare sempre attenzione al proprio interlocutore, per valorizzarlo, per mostrare empatia, per comprendere a fondo il suo messaggio.

Panoramica delle critiche positive e negative

Fonte: WEKA 3-4.2022, adattamento Cc-Ti

Certificato medico online

Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, molte aree sono in continua evoluzione. Il settore medico, e di conseguenza i certificati medici, non fanno eccezione. È diventato possibile richiedere un certificato medico online compilando un modulo sulla piattaforma, tramite applicazioni di videoconferenza, o anche semplicemente telefonando.

La particolarità della telemedicina è che il medico non incontra fisicamente il suo paziente, il che può porre un certo numero di problemi, sia etici che legali.

Telemedicina e certificato medico online

La telemedicina gode di un ampio sostegno da parte degli assicuratori nella misura in cui può ridurre il costo di una consulenza fino a tre volte. Se questa pratica ha i suoi vantaggi, presenta anche svantaggi, a cominciare dal fatto che il medico non può esaminare il paziente personalmente, condizione importante, anzi indispensabile per stabilire una diagnosi. Pertanto, il problema più grande con tali certificati è la loro affidabilità.

Per analogia con le norme applicabili alle consultazioni telefoniche, alcuni datori di lavoro considerano ammissibile un certificato medico online solo:

  • se è rilasciato dal medico curante del collaboratore;
  • se il paziente ha ripetutamente bisogno della stessa cura.

Il certificato medico è invece molto più difficile da accettare se è rilasciato da un medico che non conosce il paziente (come in linea di principio è il caso dei certificati online) o che il paziente non consulta da molto tempo.

La dottrina ritiene che tali certificati medici, rilasciati anche per un breve periodo, debbano ritenersi nulli e quindi privi di valore.

Sulla piattaforma soignez-moi.ch, ad esempio, il paziente risponde a un questionario online, poi viene richiamato da un medico che determina con lui la diagnosi e gli rilascia una ricetta per un importo di CHF 59.-.
Attualmente, questo tipo di piattaforma viene utilizzata principalmente per ottenere una prescrizione. Il rilascio di un certificato medico di congedo per malattia rimane l’eccezione ed è ancora molto restrittivo.

Un certificato medico è accessibile su Soignez-moi.ch solo tramite la piattaforma. Il paziente deve autenticarsi ed eseguire una doppia autenticazione oltre ad un login con password per potervi accedere (identica all’e-banking). Secondo le nostre informazioni, questa piattaforma è attualmente l’unica in Svizzera ad essere certificata OCPD (rispettando quindi l’ordinanza sulla protezione dei dati) nonché GoodPriv@cy, che garantisce una certa sicurezza per quanto riguarda i documenti emessi.
Soignez-moi.ch non comunica deliberatamente in modo proattivo la possibilità di sospendere la propria occupazione professionale. Non ci sono nemmeno domande sull’attività professionale. Al fine di limitare gli abusi, Soignez-moi.ch afferma, da un lato, di essere restrittivo per quanto riguarda il rilascio di certificati medici e dall’altro di rilasciarne in linea di principio solo uno all’anno e solo per interruzioni del lavoro brevi (fino a tre o eccezionalmente cinque giorni); si consiglia ai pazienti che ritengono di necessitare di una pausa più lunga di consultare il proprio medico.
Soignez-moi.ch prevede che ogni documento trasmesso sulla piattaforma venga firmato elettronicamente utilizzando un’identità SwissSign e che il documento venga crittografato. Queste funzionalità dovrebbero impedire la modifica digitale di tale documento e consentire ai datori di lavoro di confermare la veridicità del certificato.

Il datore di lavoro ha la possibilità di chiedere a soignez-moi@hin.ch se un documento è autentico. L’indirizzo e-mail è sicuro e crittografato.
Gli ospedali della Svizzera romanda utilizzano già Soignez-moi.ch per le loro semplici emergenze.

Medgate recita:

Certificato d’inabilità lavorativa dopo una teleconsultazione
Estratto delle linee guida di Medgate

• Il medico di Medgate può certificare solo fatti che ha valutato in maniera scrupolosa e competente e che reputa veri.

• Si certifica un’inabilità lavorativa del 100%. Un’inabilità lavorativa parziale non è valutabile al telefono o via video.

• Medgate rilascia un certificato semplice d’inabilità lavorativa, usando il formulario edito dalla Comunità d’interessi svizzera medicina assicurativa (Swiss Insurance Medicine).

• Se il paziente sottostà ad un rapporto di lavoro impiegatizio, tale rapporto di lavoro deve essere non disdetto.

Certificato medico online nell’ambito dei rapporti di lavoro

Certo, la telemedicina è una buona alternativa al tradizionale consulto con il medico curante, che risulterebbe più costoso. Tuttavia, nell’ambito dei rapporti di lavoro, un certificato medico rilasciato al lavoratore tramite telemedicina presenta un rischio concreto di essere impugnato dal datore di lavoro, il quale a sua volta chiederà una visita medica da parte del suo medico di fiducia, che potrà, alla fine, essere controproducente e portare conflitti.
Si segnala che durante l’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, la FMH ha ritenuto eccezionalmente accettabile il rilascio di un certificato medico previo consulto telefonico purché espressamente menzionato nel suddetto certificato. Ciò aveva lo scopo di evitare che i pazienti si recassero personalmente dal medico solo per ottenere un certificato medico, in un contesto in cui i medici erano particolarmente sollecitati e i contagi da tenere sotto strettissimo controllo.

Tuttavia, questa dichiarazione della FMH non vincola i datori di lavoro, che rimangono liberi di rifiutare tali certificati.

Consigli per i datori di lavoro

A causa dell’aumentato rischio di abuso, allo stato attuale si consiglia al datore di lavoro di inserire nel contratto di lavoro una clausola secondo la quale il certificato medico rilasciato da un medico che non ha visitato il paziente faccia a faccia non viene ritenuto valido.
Ciò può essere specificato, ad esempio, per:

  • certificati medici rilasciati a seguito di una telefonata;
  • certificati medici rilasciati sulla base di informazioni trasmesse per corrispondenza;
  • certificati medici rilasciati dopo una semplice consultazione on-line.

NOTA BENE: in questo articolo vengono citate solo due delle piattaforme presenti in Svizzera e prese quindi ad esempio, non per scelta interna, ma per struttura d’articolo e fonte dello stesso.
Fonte: WEKA, 21/03/2022 – Pierre Matile
Vedi anche:
https://www.swisscom.ch/it/magazine/digitalizzazione/ecco-perche-la-telemedicina-e-migliore-di-dottor-google/
e
https://www.soignez-moi.ch/

Il congedo sabbatico

Il concetto di “congedo sabbatico” è sempre più diffuso in Svizzera. Il datore di lavoro beneficia del ritorno al lavoro di dipendenti riposati e motivati. Di norma, il rapporto di lavoro è sospeso durante il periodo sabbatico, il che significa che il reddito e l’obbligo di contribuzione agli istituti assicurativi e pensionistici vengono meno.

Ciò influisce sulla copertura assicurativa e sulla pensione del dipendente. Mentre gli anni sabbatici pagati non sono quasi un problema, gli anni sabbatici non pagati pongono sempre problemi legali per il datore di lavoro. Questo articolo si occupa quindi degli obblighi del datore di lavoro in termini di congedo sabbatico non retribuito, con particolare attenzione agli enti previdenziali competenti. È possibile che durante il periodo di congedo sabbatico il datore di lavoro accetti di versare lo stipendio per intero o in parte. Ma non è affatto tenuto a pagare, né a concedere l’aspettativa che il dipendente richiede. Spetta sempre al datore di lavoro decidere, in base alla policy aziendale. Non si maturano ulteriori ferie e non sia ha neanche diritto a una parte della tredicesima.

Situazione iniziale

Accordo
Il congedo sabbatico ha lo scopo semplicemente di “sospendere” e non di interrompere i rapporti di lavoro. Il datore di lavoro dovrebbe annotare i dettagli in un contratto con il dipendente come le date, la durata e le conseguenze in termini di assicurazione sociale per motivi probatori.

Il periodo di congedo non retribuito è un periodo protetto?
Art. 335c172

La cessazione del rapporto di lavoro può essere pronunciata durante il congedo non retribuito. I principali obblighi contrattuali di entrambe le parti (es. pagamento della retribuzione contro prestazione di lavoro) sono sospesi durante il periodo sabbatico, ma resta il contratto di lavoro per gli altri diritti e doveri. Di conseguenza, il licenziamento può essere pronunciato anche durante il congedo non retribuito.

Attenzione:
Ma occorre invece verificare se è stato consegnato in conformità con le norme di legge e qual è l’inizio del periodo di risoluzione in tal caso. A seconda della data di notifica, ci si deve interrogare sull’inizio del periodo di preavviso. Deve dare alla persona licenziata il tempo di cercare un nuovo lavoro. La lettera di licenziamento è stata inviata dal datore di lavoro con la consapevolezza dell’assenza, per esempio dalla propria abitazione o dal Paese. Potrebbe, il collaboratore, solo venirne a conoscenza al suo ritorno e non avere tempo ragionevole per cercare un nuovo lavoro prima di quella data. Poiché il datore di lavoro ne è a conoscenza, il termine di preavviso dovrebbe decorrere solo dalla fine del congedo non retribuito. Il rapporto di lavoro prosegue quindi durante il periodo di preavviso per i mesi di disdetta e il datore di lavoro è tenuto a corrispondere la retribuzione per il lavoro svolto in tale periodo.

Pronunciando un licenziamento durante il congedo sabbatico di un dipendente, il datore di lavoro eviterebbe di pagare lo stipendio durante il periodo di preavviso e la certezza data di ritrovare il proprio posto di lavoro al termine, sono motivi di litigio molto spesso riconosciuti e il licenziamento può essere ritenuto abusivo.

Obbligo di informazione

In tema di copertura assicurativa, il flusso di informazioni si svolge in due fasi: nella prima fase, l’assicurato è tenuto ad informare il datore di lavoro; in secondo luogo, il datore di lavoro è tenuto a informare il lavoratore dei diritti che può vantare presso un istituto di previdenza o una compagnia di assicurazioni. Se il datore di lavoro non adempie al suo dovere di informazione, può subire conseguenze: se è certo che il lavoratore avrebbe, ad esempio, esteso un’ulteriore aggiuntiva assicurazione contro gli infortuni non professionali per la durata del congedo sabbatico avrà la stessa valenza allo stesso modo come se il datore di lavoro avesse stipulato questa assicurazione in caso di infortunio. In altre parole, il datore di lavoro sarà finanziariamente responsabile delle perdite subite dal lavoratore. Lo stesso vale se il datore di lavoro ha fornito informazioni false o incomplete. Per motivi di prova, si raccomanda pertanto di fornire per iscritto informazioni sufficientemente precise sulla copertura assicurativa o sulle possibilità di prosecuzione della stessa durante il congedo sabbatico, idealmente con una ricevuta di ricezione e comprensione da parte del dipendente, al fine di prevenire eventuali difficoltà riscontrabili nel caso di controversia.

Assicurazione infortuni non professionale

Il dovere alla continuazione del pagamento del salario da parte del datore di lavoro cessa dall’inizio del congedo sabbatico per l’intero periodo. La copertura assicurativa contro gli infortuni, invece, scade (solo) il 31° giorno dopo il quale cessa il diritto alla corresponsione della metà dello stipendio.

Per beneficiare della copertura assicurativa durante il congedo sabbatico, il lavoratore ha la possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale presso l’assicuratore del datore di lavoro per un massimo di 6 mesi. Unitamente alla proroga della copertura di 31 giorni, questa concede una copertura per 7 mesi dopo la scadenza del diritto allo stipendio. Tuttavia, un congedo sabbatico raramente dura più di 7 mesi. I premi devono essere pagati dal lavoratore entro la fine del periodo di 31 giorni di estensione della copertura, pena la decadenza dalla possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale. In alternativa a questa assicurazione convenzionale, l’assicurazione contro gli infortuni può essere inclusa nell’assicurazione sanitaria del dipendente. I dipendenti part-time il cui orario di lavoro settimanale è inferiore alle 8 ore non beneficiano della possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale. Se il lavoratore è impossibilitato a lavorare al termine del congedo sabbatico, viene ripristinato il diritto alla continuazione del pagamento della retribuzione da parte del datore di lavoro. Lo stesso vale per l’indennità giornaliera dell’assicurazione contro gli infortuni se l’infortunio è avvenuto durante la copertura integrativa di 31 giorni o se è stata stipulata un’assicurazione convenzionale con l’assicuratore entro 180 giorni dall’inizio del congedo sabbatico.

Consigli pratici: il datore di lavoro deve informare immediatamente per iscritto il lavoratore della possibilità di stipulare un’assicurazione convenzionale all’inizio del congedo sabbatico. Trascorso il termine di 31 giorni, il lavoratore non potrà più beneficiare dell’assicurazione convenzionale.

Assicurazione indennità giornaliera in caso di malattia

Durante il periodo del congedo sabbatico il lavoratore non ha più diritto alla prosecuzione del pagamento della retribuzione da parte del datore di lavoro né alle prestazioni dell’indennità giornaliera in caso di malattia. Se è stata concordata la data di rientro al lavoro e in tale data il lavoratore è impossibilitato a lavorare per malattia, viene ripristinato l’obbligo di continuare a pagare la retribuzione. Se il datore di lavoro ha stipulato un’assicurazione collettiva d’indennità giornaliera di malattia per i propri dipendenti, è possibile continuare la copertura assicurativa durante il periodo sabbatico. Di norma, in caso di malattia esiste il diritto al trasferimento all’assicurazione l’indennità giornaliera individuale. I premi sono a carico del lavoratore. I dettagli possono essere trovati nelle disposizioni della rispettiva polizza assicurativa. A seconda dell’assicuratore, il diritto al passaggio all’assicurazione individuale deve essere esercitato entro 30-90 giorni dall’uscita dall’assicurazione collettiva per l’indennità giornaliera di malattia. Se il datore di lavoro non informa il lavoratore di tale termine, può essere ritenuto responsabile per i danni. Il datore di lavoro è inoltre tenuto a informare il lavoratore di eventuali limitazioni alle prestazioni assicurative.

2° pilastro

Mentre la regolamentazione del primo pilastro è uniforme, le condizioni del secondo pilastro dipendono dall’istituto di previdenza del datore di lavoro. Per legge, la copertura assicurativa per invalidità e decesso termina un mese dopo l’ultimo pagamento dello stipendio. A seconda delle disposizioni dell’istituto di previdenza, durante il congedo sabbatico può essere assicurata la prosecuzione della copertura previdenziale, ovvero la copertura assicurativa in caso di decesso o invalidità continua senza interruzione e possono continuare a essere versati anche i contributi. La questione di chi paga i contributi è chiarita nel regolamento: a seconda dei casi, il datore di lavoro e il lavoratore continuano a versare i contributi al fondo pensione come prima oppure i contributi possono essere interamente a carico del datore di lavoro. Se, invece, non è prevista la prosecuzione dell’assicurazione, decorso il termine legale di un mese di copertura non è più prevista alcuna tutela in caso di decesso o invalidità.

Consiglio pratico: il datore di lavoro è obbligato a informare la cassa pensione dell’imminente congedo sabbatico. Le compagnie di assicurazione mettono a disposizione online i moduli di comunicazione. Questi devono essere presentati alla cassa pensione il prima possibile.

1° pilastro (AVS)

Con l’inizio del periodo sabbatico il rapporto di lavoro è solo sospeso; pertanto, nessun annuncio dovrebbe essere fatto alla cassa AVS. Se il periodo sabbatico non si estende per un intero anno solare, non ci sono importanti conseguenze sulla rendita pensione AVS. Sebbene la perdita di stipendio riduca il reddito soggetto all’AVS, non comporta lacune contributive. Se il congedo sabbatico si estende su un intero anno solare, ciò significa che il dipendente viene considerato inattivo durante il periodo del congedo sabbatico e deve dunque versare i cosiddetti contributi AVS per persone senza reddito. In caso contrario, ci saranno delle lacune nei contributi, che ridurranno la pensione di vecchiaia. Tale divario non può essere colmato in seguito, nemmeno con contributi AVS molto elevati; quindi, deve essere evitato a tutti i costi.

Nota: è contestato l’obbligo del datore di lavoro di informare in materia di 1° pilastro sulle conseguenze del congedo sabbatico, che, come spiegato, vale per la cassa pensione nonché per l’assicurazione contro gli infortuni e l’indennità giornaliera in caso di malattia. Contrariamente alle suddette assicurazioni, il fatto che i regolamenti della copertura AVS siano chiari e strutturati argomentano in modo inequivocabile. Tuttavia, si consiglia al datore di lavoro di informare il dipendente se il periodo sabbatico è di un anno o più lungo o (nel caso di un anno sabbatico più breve ma con reddito basso) se c’è il rischio di inadempienza contributiva.

Assegni familiari
Il godimento di un congedo non pagato è rilevante ai fini del salario e influisce quindi sul diritto agli assegni familiari. Nel caso di un congedo non pagato gli assegni familiari vengono ancora erogati nel mese in corso e per i tre mesi successivi, se:

• viene comunque raggiunto un salario annuale di CHF 7’170
• dopo il congedo non pagato si riprende il lavoro presso lo stesso datore di lavoro.

Cosa succede al termine del mese in corso e dei tre mesi successivi? Il diritto agli assegni familiari decade. L’altro genitore deve richiedere al proprio datore di lavoro la presentazione di una nuova richiesta di assegni familiari alla rispettiva cassa d’assegni familiari.


Conclusione


Un congedo sabbatico pone problemi legali al datore di lavoro in termini di obblighi di informazione così come la cessazione del rapporto di lavoro – soprattutto perché disposizioni legali diverse si applicano ai diversi istituti di previdenza sociale. Si consiglia pertanto ai datori di lavoro di adempiere agli obblighi di legge di informare il dipendente per iscritto e di chiedergli di firmare i documenti presentati. In caso di congedo sabbatico, una corrispondente lettera informativa dovrebbe essere assolutamente la norma per evitare ulteriori oneri finanziari evitabili.


Fonte: Weka, 01/02/2022, Melda Semi