Il lavoro ridotto e la disdetta del contratto di lavoro

Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli.

In queste settimane si è molto parlato del lavoro ridotto. Si tratta di una possibilità già da tempo prevista dalla nostra legislazione, ma che è diventata di estrema attualità a seguito dell’emergenza sanitaria. A cosa serve?
Tramite il lavoro ridotto è possibile mantenere in essere i contratti di lavoro, in un momento di riduzione o sospensione temporanea dell’attività aziendale. In un tale regime il datore di lavoro percepisce dallo Stato le cosiddette indennità per lavoro ridotto a favore dei dipendenti assicurati. Le indennità ammontano all’80% del salario ordinario. In altre parole, le indennità statali permettono all’azienda di non separarsi dai lavoratori temporaneamente senza attività, o con attività ridotta, e di essere quindi pronta con i contratti in essere al momento della ripartenza.

Durante il regime di lavoro ridotto è possibile notificare una disdetta del contratto? Esiste un periodo di protezione come, ad esempio, in caso di malattia o di assenza per servizio militare? Durante questo regime valgono le regole generali sulle disdette. Non esiste quindi alcun periodo di protezione e le disdette possono essere notificate. Attenzione però che dal momento della disdetta del contratto lo Stato non verserà più le indennità e il salario durante il periodo di preavviso sarà pertanto interamente a carico del datore di lavoro.

L’Assemblea generale ai tempi del Covid-19 – nuova formula fino al 30 giugno

Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli!

È in questo periodo dell’anno che le società anonime organizzano di regola le proprie assemblee generali. La tempistica è dettata dall’art. 699 cpv. 2 CO secondo il quale l’assemblea generale ha luogo ogni anno, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale. L’esercizio dei diritti dei soci si svolge normalmente con la presenza fisica degli azionisti o dei loro rappresentanti.

Ora, come purtroppo sappiamo, l’attuale stato di emergenza ha notevolmente limitato le nostre libertà alle quali siamo abituati. Tra le misure di protezione adottate a livello federale vi è il divieto di tutte le manifestazioni pubbliche o private, comprese le attività associative.

Fino all’8 giugno le assemblee generali con presenza fisica dei soci sono vietate in quanto considerate eventi ai sensi dell’art. 6 cpv.1 Ordinanza Covid-19. Per questa ragione l’autorità federale ha previsto quindi una nuova possibilità per potere tenere le assemblee e di considerare al contempo le esigenze sanitarie. In effetti l’art. 6b dell’Ordinanza Covid-19 permette lo svolgimento delle assemblee in una forma speciale fino al prossimo 30 giugno.

L’art. 6b recita che in caso di assemblee di società, l’organizzatore può disporre, a prescindere dal numero previsto di partecipanti e senza osservare il termine di convocazione, che i partecipanti esercitino i loro diritti soltanto per scritto o in forma elettronica, oppure mediante un rappresentante indipendente designato dall’organizzatore. La disposizione deve essere comunicata per scritto o pubblicata in forma elettronica al più tardi quattro giorni prima della manifestazione.

Ma all’assemblea non partecipano solo gli azionisti. Sono presenti anche il Presidente e il segretario, eventualmente un notaio in caso di decisioni particolari, i membri del Consiglio di amministrazione e a volte l’ufficio di revisione. Questi partecipanti possono essere presenti fisicamente o devono essere coinvolti anche loro nella forma sopra indicata? Stando alle direttive federali, questi partecipanti “residui” non costituiscono un’assemblea vera e propria è possono pertanto riunirsi fisicamente. Devono comunque rispettare le regole in materia di igiene e di distanza sociale e il numero di partecipanti deve essere limitato al minimo necessario.

Una situazione particolare è rappresentata dalle società con un’azionista unico. Ora, l’assemblea generale dell’azionista unico non è considerata un evento vietato dall’Ordinanza Covid-19 e può svolgersi pertanto con la sua presenza fisica e quella degli altri partecipanti residui (segretario, notaio, ufficio di revisione).

In tutti i casi, devono sempre essere rispettate le disposizioni federali riguardanti l’igiene e la distanza sociale e se tra i partecipanti vi sono delle persone a rischio è raccomandato far capo a soluzioni che evitano nella misura del possibile la loro presenza, per esempio tramite l’intervento di un rappresentante.

Si tratta quindi di una facoltà a disposizione delle società per potere assolvere ai loro compiti statutari senza la necessità di riunirsi fisicamente in questi tempi particolarmente complicati.

Il nostro Servizio giuridico è a disposizione delle aziende affiliate per consulenze specifiche. Nell’Area soci sono pubblicate diverse schede giuridiche con informazioni mirate e aggiornate su temi d’interesse in ambiti quali diritto del lavoro, HR, diritto commerciale, accordi bilaterali, proprietà intellettuale, fiscalità, assicurazioni sociali, ecc.. L’accesso a questa sezione del sito è destinata esclusivamente ai soci.

Il divieto della discriminazione basata sull’orientamento sessuale entra in vigore il 1° luglio

Un’informativa su una modifica del Codice penale svizzero, che entrerà in vigore da inizio luglio 2020.

A partire dal 1° luglio 2020 sarà punito chiunque discrimina una persona in base all’orientamento sessuale. Nella seduta del 3 aprile 2020, il Consiglio federale ha posto in vigore per tale data le relative modifiche del Codice penale e del Codice penale militare. Nella votazione popolare del 9 febbraio 2020, l’elettorato svizzero ha chiaramente confermato la decisione del Parlamento di estendere la norma penale antirazzismo.

Il diritto penale svizzero protegge le persone da varie forme di discriminazione, per esempio punisce chi denigra pubblicamente una persona o un gruppo di persone per l’appartenenza a una determinata razza, etnia o religione. Il 14 dicembre 2018 il Parlamento aveva deciso di estendere all’orientamento sessuale la norma penale antirazzismo, il che consentirà di proteggere anche le persone discriminate a causa della loro omo-, etero- o bisessualità. Contro tale estensione era stato lanciato il referendum. Il 9 febbraio 2020, l’elettorato ha accettato chiaramente la norma penale modificata con il 63,1 per cento dei voti.

L’attuazione dei due articoli modificati del Codice penale e del Codice penale militare non richiede provvedimenti specifici né a livello federale né a livello cantonale. La modifica dei due codici entrerà in vigore il 1° luglio 2020.

Fonte: portale della Confederazione

Vita privata e vita lavorativa: una linea sottile

Il datore di lavoro è tenuto a regolamentare l’utilizzo, da parte dei propri collaboratori, delle infrastrutture aziendali per uso privato.

Se all’inizio degli anni ’90 pochi possedevano un telefono cellulare, oggigiorno siamo tutti (poche le eccezioni) detentori di uno smartphone. Sempre raggiungibili e ovunque; posta elettronica, social media, chiamate e messaggini, i canali di comunicazione sono molteplici e agibili ininterrottamente. Il tempo dedicato alla vita in rete ci occupa in media pressappoco tre ore al giorno, che sommate nell’arco di un anno corrispondono a quasi 35 giorni. Un mese e poco più di istanti passati interamente sugli schermi dei nostri smartphone (non si contano le ore al computer o altri dispositivi elettronici). Nei momenti d’attesa, al mattino mentre si fa colazione, la sera al rientro dal lavoro; momenti in cui la nostra concentrazione è completamente assorbita dai touch-screen dei nostri cellulari.

I principi di buona condotta sul posto di lavoro suggeriscono di spegnere o mettere in modalità silenziosa gli strumenti elettronici personali. Cosa succede però quando questo principio non viene rispettato? È corretto o permesso ricevere chiamate e messaggi personali durante gli orari di lavoro?

Diversi datori di lavoro hanno deciso per la consegna di un apparecchio smartphone all’impiegato, da usare per necessità strettamente legate all’impiego, prassi che delimita così l’uso del cellulare privato.

Quando non vi è questa possibilità bisogna distintamente fissare cosa è permesso in ambito di comunicazione personale e in materia d’uso di dispositivi informatici di proprietà dell’azienda.

Nello spazio degli orari di impiego, non è possibile utilizzare i propri telefoni cellulari per uso privato. I telefoni dati in dotazione dai datori di lavoro non devono contenere documenti privati o applicazioni scaricate dal collaboratore. L’adopero di questi apparecchi, deve considerarsi ad uso strettamente professionale.

I lavoratori beneficiano di momenti di pausa durante le ore di attività. Pause che non sono considerate tempo di lavoro e quindi, durante le quali si può dunque fare uso dei propri apparecchi.

Ha fatto scalpore, il caso di un’impiegata di Zurigo, che avendo installato l’applicazione di chat WhatsApp per uso personale sul telefonino aziendale e si è vista presentare la lettera di licenziamento ad effetto immediato da parte dell’azienda. Il Tribunale Federale ha preso le parti dell’impiegata, ma riferendosi alla legge sulla privacy, in quanto il datore di lavoro non avrebbe avuto diritto di leggere i messaggi personali sull’applicazione scaricata.

La legge sulla privacy protegge in tal senso i singoli, ma allo stesso tempo non dà il diritto ai singoli stessi, di infrangere le regole concordate con il datore di lavoro in materia d’utilizzo di dispositivi elettronici. Questo vale al tempo stesso per tutti gli altri apparecchi forniti dal datore di lavoro. Per esempio, l’uso di stampanti, computer fissi o portatili, telefoni fissi, devono essere adoperati per compiti lavorativi. Un chiaro accordo tra impiegato e datore di lavoro può acconsentire ad un uso privato di tali sistemi operativi. Senza un accordo fissato e convenuto all’unisono, non vi è diritto d’utilizzo per scopi privati.

Uno dei procedimenti comuni per perimetrare l’uso dei servizi di internet è il blocco di certe pagine web, al fine di evitare che i collaboratori accedano a siti d’intrattenimento durante il tempo d’impiego.

Limitare la navigazione in Internet per scopi privati è possibile bloccando i siti indesiderati (indici di borsa, siti erotici ecc.) o stabilendo un periodo di tempo in cui la navigazione privata sia consentita (p. es. durante le pause o a partire dalle ore 18.00).

L’adozione di tali misure di protezione permette al datore di lavoro di neutralizzare precocemente eventuali pericoli per la sicurezza e la funzionalità del sistema elettronico. L’effetto preventivo di queste misure sostituisce ampiamente l’impiego di sistemi repressivi quali la sorveglianza. Tra le misure tecniche di protezione più importanti si annoverano le password e l’accesso protetto, i programmi antivirus e le limitazioni della memoria, i backup e le firewall. Inoltre, i programmi di navigazione e di posta elettronica devono essere installati secondo le tecniche più recenti, configurati in base a standard di sicurezza e aggiornati periodicamente.

La linea è sottile, tra la volontà di rispettare la personalità dell’impiegato, e l’auspicare a garantire un livello di professionalità ed efficienza sul posto di lavoro. Entrambe le parti devono accordarsi sui termini e le condizioni in materia di uso ed utilizzo degli spazi e dei mezzi elettronici. È responsabilità delle aziende di comunicare e di chiarire esplicitamente quali siano i comportamenti accettati e quali non, anche per quanto riguarda l’utilizzo dell’infrastruttura informatica e multimediale. È responsabilità del collaboratore di rispettare e avvalorare un livello di autorevolezza professionale. Ambedue le parti hanno il dovere di mantenere vivi i principi della proporzionalità, il buonsenso e della trasparenza, al fine di sostenere una proficua collaborazione. La fiducia in entrambi i sensi resta il fondamento di un rapporto benefico e sano.

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Modifica della legge sulle pari opportunità (disposizioni sulla parità salariale)

Il 1° luglio 2020 entrerà in vigore la modifica della legge sulla parità dei sessi. Un’informativa in merito.

Essa è tesa a migliorare l’applicazione della parità salariale. Le imprese che contano 100 o più collaboratori dovranno effettuare la prima analisi interna entro la fine di giugno 2021.

La modifica della legge sulla parità dei sessi è stata adottata dal Parlamento il 14 dicembre 2018 e dal Consiglio federale il 21 agosto 2019. Le nuove disposizioni impongono alle imprese con oltre 100 collaboratori di effettuare un’analisi interna sulla parità salariale. Un ufficio di revisione indipendente dovrà verificare l’analisi effettuata, del cui esito vanno informati i collaboratori. Fintanto che la legislazione rimarrà in vigore, la parità salariale andrà analizzata regolarmente ogni quattro anni, a meno che la prima analisi non riveli l’assenza di differenze salariali sistematiche inspiegabili tra donne e uomini. In tal caso non occorre effettuare ulteriori analisi.

Il Parlamento ha limitato a dodici anni la durata dell’obbligo di analisi (clausola di caducità). Ecco perché la modifica della legge sulla parità dei sessi e la relativa ordinanza saranno automaticamente invalidate al 1° luglio 2032.

La Confederazione mette a disposizione gratuitamente uno strumento d’analisi: Logib, che potrete trovare a questo link. Mediante questo programma le datrici e i datori di lavoro possono controllare se nella loro impresa la parità di salario fra donne e uomini è garantita.
La Cc-Ti organizzerà a breve un evento informativo per le aziende che saranno toccate dalle nuove disposizioni in materia di parità salariale.

Per maggiori dettagli, Chiara Crivelli, è a vostra disposizione.

Opposizione al trasferimento aziendale: una disdetta contrattuale?

Una scheda giuridica redatta dall’Avv. Michele Rossi. Scopriamo i dettagli!

Il codice delle obbligazioni prevede (art. 333) che in caso di trasferimento di un’azienda i contratti di lavoro in essere passano automaticamente e con tutti i diritti e gli obblighi all’acquirente, a meno che il lavoratore non vi si opponga. Il passaggio dei rapporti di lavoro avviene in contemporanea al trasferimento aziendale.

Per trasferimento di azienda si intende ad esempio la relativa vendita, donazione o permuta oppure una fusione o una scissione di più aziende. Per contro il semplice trasferimento di un pacchetto, minoritario o maggioritario, di azioni non rientra del campo di applicazione dell’art. 333 CO.

La legge prevede l’obbligo di informare tempestivamente la rappresentanza dei lavoratori sul motivo del trasferimento e sulle relative conseguenze. Nel caso in cui fossero previste misure concrete i lavoratori vanno preventivamente consultati.

Ora, cosa significa che il lavoratore si può opporre al trasferimento? Deve dare la disdetta? O è il datore di lavoro che, preso atto dell’opposizione, deve agire con un licenziamento ordinario? Niente di tutto questo. La fine del contratto è una conseguenza legale dell’opposizione. Il dipendente entro un congruo termine deve quindi manifestare la sua volontà di non volere acconsentire al trasferimento del suo contratto. La dottrina ritiene che un termine di un mese, di regola, possa essere adeguato. Se il lavoratore non dovesse reagire entro questo congruo termine si reputa che il trasferimento sia stato tacitamente accettato. In caso di opposizione il contratto termina comunque entro il termine di disdetta legale (anche se non si tratta di disdetta). Infine, non trattandosi di una disdetta, il lavoratore che si oppone al trasferimento non è tutelato dalle disposizioni contro le disdette abusive o date in tempo inopportuno (artt. 336 ss. CO).

Adeguamenti salariali CNL 2020

Un’informativa sulle modifiche salariali relative ai contratti normali di lavoro.

La Commissione tripartita in materia di libera circolazione delle persone ha pubblicato sul Foglio ufficiale no.102/2019 del 20 dicembre 2019 gli adeguamenti salariali 2020 dei contratti normali di lavoro (CNL).

I CNL ex-art. 360a CO decretati dal Consiglio di Stato su proposta della Commissione tripartita prevedono un adeguamento agli eventuali aumenti salariali decisi dalle parti dei rispettivi CCL di riferimento oppure, laddove non vi è un CCL di riferimento, l’adeguamento al rincaro in funzione dell’evoluzione su base annua dell’indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC del mese di novembre).

In breve, dal 1° gennaio 2020:

  • sono stati adeguati, in base all’aumento deciso dalle parti contraenti del CCL per gli impiegati di commercio nell’economia ticinese, i minimi salariali orari previsti dagli 11 contratti normali di lavoro (CNL) attualmente in vigore per la professione di impiegato/a di commercio, con un aumento da 19.85 a 20.06 franchi per un impiegato generico, da 21.45 a 21.67 franchi per un impiegato operativo e da 24.40 a 24.64 franchi per un impiegato responsabile;
  • è stato adeguato ai nuovi minimi del rispettivo contratto collettivo di riferimento (CCL Swissmem) anche il CNL per il settore della fabbricazione di macchinari e apparecchiature, con l’aumento da 21.10 a 21.25 franchi per il personale non qualificato e da 22.95 a 23.12 per il personale qualificato;
  • il CNL per gli operatori di call center è stato adeguato in base agli adeguamenti decisi dalle parti contraenti del CCL Contact e Call center con l’aumento da 19.25 a 19.62 per il livello 1, da 20.90 a 21.30 per il livello 2 e da 23.90 a 24.38 per il livello 3;
  • per quanto riguarda il settore dell’informatica, i minimi delle 3 categorie salariali degli informatici previsti nel CNL sono stati adeguati in linea con gli aumenti previsti per le tre categorie di impiegati di commercio, ossia da 19.85 a 20.06 franchi per la categoria a, da 21.45 a 21.67 franchi per la categoria b e da 24.40 a 24.64 franchi per la categoria c.

Non essendosi verificato un rincaro su base annua nell’indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC novembre) non vi è invece stato nessun adeguamento dei salari minimi per i rimanenti CNL.

Nuova Legge cantonale sulle Aperture dei Negozi (LAN)

Da inizio gennaio 2020 il settore del commercio al dettaglio dispone di nuove regolamentazioni.

Il 1° gennaio sono entrati in vigore la Legge cantonale sulle Aperture dei Negozi (LAN) e il Contratto Collettivo di Lavoro per il settore della vendita, dichiarato di forza obbligatoria. Per la gestione del CCL è stata istituita una Commissione paritetica, la cui sede è a Lamone.

La legge si applica a tutti i negozi ed esercizi di vendita.

È considerato negozio ai sensi della legge ogni locale o impianto accessibile al pubblico e utilizzato per la vendita al dettaglio di prodotti di ogni genere, compresi gli stand di vendita, le strutture mobili o i commerci che si trovano all’interno dei locali di un’impresa di genere diverso o di un appartamento.

Basi legali

Le principali disposizioni

Il quadro normativo regola in particolare:

  • L’orario di apertura e di chiusura dei negozi in tutto il Cantone
    – dal lunedì al venerdì tra le ore 06.00 e le ore 19.00,
    – il giovedì tra le ore 06.00 e le ore 21.00,
    – il sabato tra le ore 06.00 e le ore 18.30.
  • Il principio della chiusura domenicale e festiva dei negozi.
  • La possibilità di chiedere deroghe puntuali agli orari di apertura nei giorni feriali, nelle domeniche e giorni festivi, in occasione di esposizioni, manifestazioni culturali, sportive o popolari, inaugurazioni, ricorrenze e anniversari.

L’introduzione di deroghe di legge:

  • per determinati negozi nei giorni feriali tra le ore 06.00 e le ore 22.30.
  • per l’apertura generalizzata dei negozi tra le ore 10.00 e le ore 18.00 per un massimo di tre domeniche all’anno, nelle domeniche che precedono il Natale dopo l’Immacolata, definite annualmente dal DFE.
  • per l’apertura generalizzata dei negozi tra le ore 10.00 e le ore 18.00 nelle feste infrasettimanali non parificate alla domenica, escluso il primo maggio.
  • per determinati negozi durante le domeniche e nei giorni festivi ufficiali tra le ore 06.00 e le ore 22.30.
Per maggiori informazioni il Segretariato di Federcommercio è a disposizione. Altri utili riferimenti sul sito dell’Ispettorato del lavoro del Canton Ticino, all’indirizzo www.ti.ch/negozi

Testo tratto da www.ti.ch/negozi

Obbligo di annunciare i posti vacanti: novità dal 2020

Vi proponiamo maggiori dettagli sull’aggiornamento dal 1° gennaio 2020.

Dal 1° gennaio 2020 il valore soglia per l’assoggettamento all’obbligo di annuncio sarà abbassato al tasso di disoccupazione medio del 5% come previsto per legge. I generi di professione assoggettati sono determinati in base alla nuova nomenclatura svizzera delle professioni.

Cliccando qui, è possibile trovare maggiori informazioni.

L’elenco dei generi di professioni soggetti all’obbligo di annuncio per il 2020 è consultabile su www.lavoro.swiss.

Necessitate di maggiori informazioni? Il nostro Servizio giuridico è sempre a disposizione degli associati per maggiori dettagli.

Prendersi una pausa

Ci sono collaboratori che anelano un attimo di pausa, altri invece che preferiscono “tirare dritto” e finire prima. Cosa rispondere?

Partiamo da alcune indicazioni di base. La settimana lavorativa per i singoli lavoratori non può eccedere i 6 giorni. I 6 giorni lavorativi nei giorni feriali da lunedì a sabato sono seguiti dal giorno di riposo settimanale. Quest’ultimo deve comprendere la durata di 24 ore della domenica e un tempo di riposo giornaliero di 11 ore.
I lavoratori chiamati a prestare lavoro domenicale, conformemente all’art. 21 OLL 1, non possono essere impiegati per più di 6 gironi consecutivi.
Non vi è nessun obbligo di ripartire le ore di lavoro dei singoli lavoratori in modo uniforme sull’arco della settimana lavorativa. Queste possono anche essere concentrate in singoli giorni lavorativi, sempreché siano osservate le prescrizioni sulla durata massima della giornata lavorativa nonché sulla durata del lavoro e del riposo.
È considerato posto di lavoro ai sensi della legge sul lavoro qualsiasi luogo nell’azienda o fuori della stessa ove il lavoratore deve rimanere per eseguire il lavoro assegnatogli. Un veicolo o tutti gli altri mezzi di trasporto ai sensi dell’articolo 13,2 e 15,2 OLL 1 sono di conseguenza considerati posti di lavoro, ma evidentemente non locali di pausa.

La pausa è un tema ricorrente e fonte di discussione, o meglio, d’interpretazione. Il collaboratore ritiene, spesso, di poter gestire questo tempo a suo piacimento, magari senza fermarsi per finire in anticipo la propria giornata. Il datore di lavoro ha un’idea ben precisa, spesso diversa, in merito alla concessione e all’utilizzo del “tempo aziendale”.

La base dalla quale partire è necessariamente la regolamentazione legale che varia notevolmente da settore a settore. La legge ci aiuta a identificare una prima linea (Legge sul lavoro e ordinanze 1 e 2 della SECO):

 Sezione 2: Pause e periodi di riposo  Art. 18 Pause (art. 15 e 6 cpv. 2 LL)

1 Le pause possono essere stabilite in modo uniforme o differenziato per i singoli lavoratori o gruppi di lavoratori.
2 Le pause devono essere fissate in modo da dividere a metà il tempo di lavoro. Un periodo di lavoro di una durata superiore a cinque ore e mezzo prima o dopo una pausa dà diritto a pause supplementari conformemente all’articolo 15 della legge.
3 Le pause di una durata superiore a mezz’ora possono essere frazionate.
4 Nel caso di orari di lavoro flessibili, la durata delle pause è calcolata sulla base della media della durata giornaliera del lavoro.5 È posto di lavoro ai sensi dell’articolo 15 capoverso 2 della legge, qualsiasi luogo nell’azienda o fuori dell’azienda, ove il lavoratore deve stare per eseguire il lavoro assegnatogli.

Ai sensi delle indicazioni sulla legge del lavoro, si recita quanto segue:

“Ai sensi del diritto del lavoro, qualsiasi interruzione del lavoro che consenta al lavoratore di riposare e mangiare ha validità come pausa”. Le interruzioni del lavoro dovute a problemi tecnici che, quindi per loro natura, non contemplano il riposo non sono considerate una “pausa”. Alla stessa stregua i tempi concessi all’inizio e alla fine di un turno di lavoro non possono essere considerate pause in senso stretto.          

Possiamo quindi riassumere asserendo che non possiamo valutare una qualsiasi interruzione del lavoro una pausa (v. Legge sul lavoro).
È buona abitudine che i datori di lavoro consultino i lavoratori o i loro rappresentanti in azienda in merito alla regolamentazione delle pause prima che queste siano fissate in modo definitivo.
Le pause possono essere fissate in modo uniforme a un determinato orario per l’intera azienda, o in modo differenziato per singoli lavoratori o gruppi di lavoratori.

Cosa ci indica il diritto del lavoro

La legge sul lavoro prevede norme molto concise su questo tema. Resta inteso che i lavoratori hanno diritto a fare delle pause.        
Le pause servono a nutrirsi e a riposarsi, perciò devono essere fissate in modo da dividere a metà le durate del lavoro (indicate nell’articolo 15 LL).
Anche se la pausa principale dura più a lungo di quanto prescritto dalla legge (es. pausa di mezzogiorno di un’ora tra le 12.00 e le 13.00) un periodo di lavoro di una durate superiore a cinque ore e mezzo prima o dopo questa pausa dà diritto a pause supplementari conformemente all’articolo 15 della legge.

Tempo secondo le indicazioni di legge:

  • un quarto d’ora, se la giornata lavorativa dura più di cinque ore e mezza;
  • mezz’ora, se la giornata lavorativa dura più di sette ore;
  • un’ora, se la giornata lavorativa dura più di nove ore.

Solo le pause di una durata superiore a mezz’ora possono essere frazionate. Questa mezz’ora rappresenta il tempo minimo necessario per potersi nutrire e riposare se il lavoro giornaliero dura più di 7 ore.È dato accertato che più pause brevi permettono di riposarsi meglio di una sola pausa lunga (. art. 17°cpv. 2LL). In generale: Nel caso di orari di lavoro flessibili, nei quali la durata giornaliera del lavoro può essere compresa fra meno di sette ore a più di nove ore, la durata della pausa principale è calcolata sulla base della media della durata giornaliera del lavoro convenuta. Anche in questo caso vale la disposizione secondo cui un periodo di lavoro di una durata superiore a 5 ore e mezzo da diritto a una pausa di un quarto d’ora.

Le pause non sono orario di lavoro

Il tempo di pausa, in generale, non conta come orario di lavoro. Le pause non dovrebbero essere pagate. Tuttavia, ci sono eccezioni: quando i lavoratori semplicemente non possono lasciare il luogo di lavoro (art. 15, 2 LL). Qualsiasi luogo in cui il lavoratore deve essere in grado di svolgere il lavoro affidatogli, all’interno o all’esterno del luogo di lavoro, è considerato un luogo di lavoro (art. 18, 5 OLL). Questo è il caso, ad esempio, quando è necessario garantire la permanenza del telefono. Il tempo ad esso dedicato viene quindi conteggiato come orario di lavoro e deve essere compensato.

Pausa sigaretta

Il datore di lavoro è libero di concedere o meno ai propri dipendenti pause supplementari, ad esempio le pause per il fumo di sigarette. I lavoratori che desiderano fare brevi pause per questo scopo devono compensare questo periodo: le pause sigaretta non vengono conteggiate come orario di lavoro.
Si consiglia pertanto di impostarlo in modo trasparente e dall’inizio. Questa concessione può anche portare rapidamente a tensioni e discussioni se, per esempio, i non fumatori si sentono discriminati da questo “favore”.

Riposo giornaliero

È necessario rispettare i requisiti di riposo giornaliero contenuti nel diritto del lavoro, ma essere anche attenti alle diverse esigenze dei nostri collaboratori a dipendenza della funzione e del tipo di lavoro assegnato.
Le interruzioni sono formalmente prescritte dalla legge e, a seconda della durata degli impegni, il datore di lavoro deve concedere almeno un’interruzione al minimo come prescritto dalla legge. Il datore di lavoro deve anche assicurarsi che i suoi dipendenti prendano le loro pause. Pause, di regola, non prevalgono come orario di lavoro e non dovrebbero essere, in orario normale, compensate.
Anche colazioni e pause pomeridiane non vengono conteggiate come orario di lavoro.
Sebbene i lavoratori debbano normalmente compensare le pause caffè, la maggior parte dei datori di lavoro concede loro volontariamente questo tempo come libero, senza richiedere alcun compenso per l’orario di lavoro.
Questa è un’ottima idea che contribuisce alla buona atmosfera del clima lavorativo.
Questo atteggiamento di “complicità” con i propri dipendenti non dovrebbe mai essere trascurato ed è il cemento di tutti i buoni rapporti di lavoro.

Fonti: SECO, Indicazioni relative alla legge sul lavoro e alle ordinanze 1 e 2 
WEKA, “Temps de pause: ni plus, ni moins”, 7.8.19