Over the rainbow… ovvero la pentola d’oro del team

Una riflessione a 360 gradi sui team e sul lavorare in modo efficiente e concertato in essi.

Un team: insieme nella stessa direzione

Esco da una riunione di Direzione in cui abbiamo speso 2 ore per decidere che…non eravamo pronti a decidere. Amo lavorare in team.
Vibra il cellulare, è un messaggio sulla chat del Project team. Durante la riunione sono arrivati 23 messaggi. Tranne due gli altri sono inutili commenti su commenti…bla bla bla… Amo lavorare in team.
Vibra il cellulare, è un collega che si preoccupa perché un’altra collega sarebbe secondo lui (lei non ha parlato) demotivata e gli sembra (sic!) che gli altri componenti del team non se ne curino abbastanza (si concentrano “solo” sulle attività operative!). “Che team è quello che non si prende cura dei suoi membri?” si chiede. La discussione prende la piega del gruppo psicoterapeutico. Amo lavorare in team. O forse no.
A pensarci bene certe volte non amo lavorare in team…no. Diciamo la verità: molto spesso si lavorerebbe meglio da soli.

Il fatto è che spesso il team invece di costituire il vantaggio promesso diventa la sorgente di dinamiche disfunzionali, di crepe relazionali e di totale perdita di tempo.
Dipende dai singoli? Forse. Ma se chiedete in giro tutti vi diranno che loro sanno lavorare in team e sono degli ottimi team player.
Dipende dalla diversità? Di sicuro non volevate il fenomeno del group thinking…ma mettete insieme cinque teste diverse e avrete sei partiti.
Dipende dal leader? Ah beh, c’è qualcosa che dicono che non dipenda dal leader? Se il team non funziona è di sicuro colpa sua.

Quello che però penso davvero è che (tenetevi forti) il team non esista se non nella nostra testa. Non esiste un “oggetto”, o anche un soggetto che si chiami team e che si è costruito una volta per tutte in qualche modo. Quello che esiste è invece una manifestazione che è il risultato di un processo o di più processi costitutivi. Cioè esiste un qualcosa di dinamico, il team, che emerge fintanto che vi siano processi che lo fanno emergere (no, non ho preso sostanze allucinogene). Appena questi processi finiscono o diventano difettosi il team cessa di esistere, a parte nella nostra mente dove lo abbiamo oggettivato (cioè reso un “oggetto” dalle proprietà immutabili). Il team è un “emergente dinamico” (calma, continuate a leggere!) le cui proprietà sono anch’esse dinamiche. In pratica è come un arcobaleno, c’è fintanto che il sole si proietta di taglio su goccioline di pioggia: più sole più arcobaleno, via il sole o via la pioggia fine dell’arcobaleno.

Quindi il punto è che se un team non funziona, vuol dire che in quel momento il team di fatto non esiste e se il team non esiste è perché i processi che lo dovrebbero mantenere tale sono in quel momento e in quel contesto difettosi o assenti.
Ora poiché nessun processo è a costo zero, dovrebbe risultare chiaro a tutti, ma proprio a tutti (aspiranti team leader e membri del team), che lavorare in team è fatica. Più fatica che a lavorar da soli. Quindi o questa fatica è ripagata o invece di essere un investimento è una perdita certa.

Questo ci porta dritti ad uno dei processi fondamentali di emersione del team: il senso del perché siamo insieme. Attenzione questo non è definito una volta per tutte, il senso deve essere presente costantemente e sfortunatamente deve anche essere lo stesso per tutti. Altrimenti mentre voi starete lottando disperatamente per rispettare una consegna, ci sarà un collega che aprirà discorsi (e conflitti) sul fatto che in questo team non si comunica e non c’è empatia. E i team sono diversi perché hanno molti sensi possibili. Vi siete mai chiesti se il vostro è lo stesso di quello degli altri? (sicuramente quando il team non funziona).

Il secondo processo (che farà male ai più delicati) è legato al concetto di utilità. Sarò parte del team se il resto dei colleghi percepisce la mia utilità rispetto allo scopo, ovvero se il mio contributo è visibile e consente un passo in più verso lo scopo. Un concetto imprescindibile da quello di competenza. Per quanto si possa valorizzare l’impegno di una persona, la sua competenza rispetto allo scopo è una condizione necessaria. Per chi si stia chiedendo che fine ha fatto l’empatia e la relazione affettiva, ricordo che ci sono molti team che non ne hanno bisogno per funzionare bene (magari non è il team che fa per voi), ma ce ne sono alcuni senza cui il team non esisterebbe del tutto (questi invece lo sono!). Quindi la domanda da porsi è: cosa devo saper fare perché io vada bene per il mio tipo di team?

Il terzo processo è la definizione delle regole d’ingaggio, quelle esplicite e ancora di più quelle implicite. Si la diversità è una bella ed utile cosa, ma porta rapidamente al caos se non ci sono regole. Le regole stabiliscono i modi e gli spazi di azione. La cattiva notizia è che sfortunatamente non c’è un altro modo che il conflitto per far emergere gli impliciti: farli emergere per poi poterseli negoziare. Quindi abituiamoci a vivere nel conflitto e a saperlo usare, altrimenti è meglio che vi ritiriate a lavorare nella solitudine dello smartworking.

Il quarto processo è l’uso che si fa della disciplina, intesa nel suo senso più lato. Nessuna regola può resistere senza disciplina. Un team che non costruisce un suo modo di interpretare la disciplina finirà per non raggiungere il suo scopo, disperdendo le sue risorse e perdendo opportunità.

Infine, il punto più delicato: l’apprendimento. Senza la capacità di apprendere il team vive un intenso attimo e poi sparisce. È il modo come apprende ad apprendere che gli permette di durare, manutenendo ed evolvendo costantemente tutti i processi che lo fanno “emergere”.
L’insieme di questi processi porta all’emersione nel tempo di una identità di team che ha delle proprietà definite, i colori del suo arcobaleno.
Fin tanto che questi processi sono adeguati ed efficaci il team emerge e l’arcobaleno splende in tutti i suoi colori.

In ciascuno di essi c’è uno sforzo e una responsabilità individuale, che può essere diversa da ruolo a ruolo, ma che è comunque distribuita, non importa se si sia leader o membri del team.
Smettiamo di credere alle favole sul team: non c’è nessuna facile pentola d’oro sotto l’arcobaleno. Solo l’arcobaleno e i suoi colori…finché li facciamo durare, ma farli durare…è fatica.

Scusate, vibra il cellulare. È il mio team leader…ha bisogno di essere motivato…


Articolo a cura di

Andrea Abbatelli, Partner KIAI Sagl

Di baby boomers e formazione continua

La popolazione svizzera è sempre più longeva. Lo dicono le statistiche e lo conferma il numero crescente di persone inscritte ai circoli della terza età. Questa metamorfosi del popolo svizzero è dovuta dal raggiungimento dell’età pensionistica dei baby-boomers. Cosa significa questo cambiamento nella composizione della popolazione?

Un’economia che muta, così come la società e i suoi bisogni. Oggi chi è attivo sul mercato del lavoro contribuisce al sostentamento delle spese pubbliche. Da domani a cambiare saranno le necessità sociali.

I baby-boomers, ovvero coloro nati tra gli anni 1950 e 1970, raggiungeranno tra alcuni anni l’età della meritata quiescenza. Il periodo storico del dopoguerra – che ha visto nascere i ‘baby-boomers’ – è definito unico nel suo genere, poiché negli anni a seguire non è più stato registrato un tale incremento demografico. Se il tasso di crescita della popolazione svizzera negli anni ‘60 era attorno al 2% annuo, oggi siamo al di sotto dell’1%.

All’inizio degli anni ‘70 la percentuale di persone con più di 64 anni era vicino al 10%, oggigiorno questa percentuale si aggira attorno al 18% ed è destinata a superare il 25% entro il 2065. Secondo una statistica UE (EuroStat), entro il 2100 circa il 30% della popolazione europea raggiungerà la fascia pensionistica, mentre il numero di persone in età lavorativa continuerà a ridursi. Questo trend si prevede anche nella Confederazione.

Cosa significa questo cambiamento nella composizione della popolazione? Da un lato ci si aspetta un aumento della percentuale delle persone in AVS, dall’altro un abbassamento della percentuale di popolazione attiva sul mercato del lavoro. Tendenze che si traducono in una tematica che involve e coinvolge tutti i cittadini.
Coloro attivi sul mercato del lavoro contribuiscono operosamente al sostentamento delle spese pubbliche e ai vari servizi annessi. A cambiare saranno le necessità sociali e, allo stesso tempo, si prevede la crescita della domanda per alcuni settori tra cui quello farmaceutico e quello della sanità pubblica (spingendo così l’economia ad adeguarsi ai bisogni della società).
Meno evidente è il potenziale mutamento del comportamento finanziario del singolo cittadino, il quale subirà a sua volta una trasformazione nel suo modo di agire. Con l’aumentare dell’età, il comportamento speculativo e capitalistico ha tendenza ad essere più conservativo e meno predisposto a grandi investimenti. Fenomeno che potrebbe sfociare in un rallentamento del flusso di capitali nell’economia nazionale. Inoltre un numero minore di persone occupate fa sì che il rapporto del capitale investito per persona sia maggiore, bilanciando così gli effetti di una decrescita degli investimenti.

Oltre a registrare un calo del numero delle persone impiegate nel mondo del lavoro, vi è un secondo fenomeno che si rivela nell’attuale fotografia dell’economia contemporanea. È stato evidenziato, da un recente studio della SECO, un abbassamento della produttività globale del lavoro dovuto all’incremento del numero di persone più vicine ai 60 anni d’età.
Si potrebbe pensare che, grazie alle nuove tecnologie, sia possibile incrementare il rendimento e la produttività lavorativa, ma quello che è meno evidente da comprendere è che l’utilizzo di queste tecnologie è spesso estraneo o poco familiare nelle fasce d’età più alte (ossia in là con gli anni), tranne eccezioni.
Due aspetti si controbattono: l’assottigliamento della capacità di apprendimento e delle abilità fisiche con il passare degli anni, e d’altra parte l’aumento del numero di competenze acquisite nel corso delle diverse esperienze lavorative.
Una calo del rendimento lavorativo si riflette fortemente sul PIL pro capite. Se dal 1960 in Svizzera il PIL per abitante è aumentato, si rischia di vedere questo dato invertirsi nell’arco dei prossimi 20 anni. Uno degli effetti dell’invecchiamento demografico si traspone in una decrescita del PIL pro capite.

L’educazione e l’aggiornamento delle competenze sono l’essenza dell’innovazione e del progresso economico-sociale, necessari a garantire un futuro di ogni generazione.

Cosa si può fare per combattere questo ipotizzabile regresso della ricchezza? Le soluzioni proposte dai ricercatori della SECO sono quelle di focalizzarsi sull’aumento della produttività e sul consolidamento degli investimenti dei capitali. L’aumento della redditività e il numero di investimenti sono strettamente correlati. Di fatto si constata un esponenziale rafforzamento della produttività a seguito dell’influsso di capitali nei vari settori economici.

A sostenere il rendimento e l’aggiornamento delle competenze in ambito lavorativo vengono in soccorso le formazioni continue e le riqualifiche, le quali offrono uno spettro di possibilità nei vari campi e settori economici.
La Svizzera è in tal senso al passo con i tempi, il carnet di formazioni offerte a livello cantonale e federale è molto vasto.
L’educazione e la specializzazione, nonché l’aggiornamento delle competenze attuali, sono l’essenza dell’innovazione e del progresso economico-sociale, necessari a garantire un futuro di ogni generazione.

Evitare l’obsolescenza programmata delle competenze

Nelle differenti teorie economiche e industriali del XX e XXI secolo, con ‘obsolescenza programmata’ si definisce la fine pianificata del ciclo vitale di un prodotto. Cosa succede se applichiamo questo concetto alle risorse umane?

L’obsolescenza programmata serve a limitare la durata di un bene in un periodo prefissato. Il prodotto diventa così inservibile e obsoleto agli occhi del consumatore, soprattutto se confrontato con modelli e/o altri prodotti più innovativi. Questo tipo di strategie industriali sono ricorrenti se pensiamo ad esempio al mondo dell’high-tech: dai cellulari o smartphones agli elettrodomestici.

Cosa succede se applichiamo questo concetto alle risorse umane? In che modo l’evoluzione digitale e tecnologica – su cui come Cc-Ti stiamo portando avanti da diverso tempo un’informazione che tocca sfumature e aspetti diversi – influisce sulle dinamiche di formazione continua dei collaboratori, e di riflesso sul mercato del lavoro? In che modo il lockdown e la pandemia Covid-19 hanno modificato e ampliato questo processo?

Alcuni mesi fa il WEF (World Economic Forum) nel suo rapporto “Future of jobs” ha stimato che nei prossimi 2 anni saranno creati 133 milioni di nuovi posti di lavoro a livello mondiale. Professioni il cui profilo non è ancora ben tracciato poiché le dinamiche dell’economia mutano repentinamente e sono in costante evoluzione. La spinta innovatrice degli ultimi anni ha già modificato in modo importante il mondo del lavoro facendo sparire o mutando alcune mansioni, visto che nuove tecnologie si impongono rendendo obsolete alcune tecniche. Questo significa, parallelamente, che vi saranno migliaia di persone che dovranno riqualificare le proprie competenze con formazioni continue e corsi d’aggiornamento.

Le aziende oggi investono nel loro capitale più prezioso: quello umano, con azioni concrete volte allacostante e continua formazione dei propri collaboratori. Quest’azione resta una delle migliori misure concrete da attuare per far fronte all’“obsolescenza programmata delle competenze” nelle risorse umane. Ecco perché oggi le tendenze danno lo sviluppo personale e professionale – mediante corsi di aggiornamento per l’incremento delle proprie competenze e nuove attitudini – quale fondamento di crescita.

Raggiungere un traguardo concludendo un corso di formazione continua permette di restare aggiornati e competitivi sul mercato del lavoro. Di riflesso le aziende possono contare su figure professionali specializzate.

Al pari del perfezionamento continuo dei collaboratori, anche la società e le istituzioni si adoperano per mantenere aggiornati i programmi e le basi giuridiche su cui poggiano i sistemi di formazione di base a tutti i livelli (primario, secondario e terziario), mediante le revisioni di ordinanze sulla formazione. Occorre dunque agire a monte per sensibilizzare gli attori in gioco sul valore della questione e per trovare in modo concertato misure che siano innovative e garantiscano la giusta preparazione – dai giovani ai professionisti – nel mondo del lavoro (orientamento professionale).

In questo scenario che si sta concretizzando, acuito sicuramente dal Covid-19 che ha spinto sull’acceleratore del telelavoro e dello smartworking, emergono nuove figure professionali molto specialistiche, che vanno nella direzione di divenire “gli impieghi del futuro”.

I mestieri di domani 

Dove ci porterà il futuro? Ecco qualche ipotesi.

  • Data Detective 
    Se Peter Falk (celeberrimo Tenente Colombo) indagava su misfatti e delitti, il futuro domanda ancora di detective abili che analizzino il mondo di Internet. Difatti il “Data Detective” sarà un impiego ricercato, in quanto il numero di dati riservati tra cui elementi biometrici e informazioni personali che invadono la rete, richiedono un certo livello di sicurezza nel loro trattamento. È così che le Business Intelligence aziendali sussisteranno per il controllo dei dati ricevuti e trasmessi, in modo da garantirne un uso discreto e rigorosamente serbato.   
  • Ethical Sourcing Officer Manager
    Ad emergere, nel futuro più di oggi, saranno le professioni che implicano la responsabilità etica e sociale delle imprese. Aziende internazionali e non, avranno bisogno di ESO, ovvero un Ethical Sourcing Officer. Questo ruolo avrà il compito di garantire l’esercizio dei principi morali attraverso tutti i processi operativi e le relazioni interne ed esterne alla società; ovvero assicurarsi che i valori dell’esistenza di una compagnia rispecchino l’immagine per cui essa è riconosciuta dai suoi clienti, fornitori, investitori e collaboratori.  
  • Assistente camminatore e parlatore
    Nel 2050 si prevede che la percentuale delle persone a superare i 65 anni d’età sarà più del 16%, in confronto al 2019 dove “solo” il 9% della popolazione mondiale rientrava nella fascia ‘over 65’. Quest’incremento delle persone di terza e quarta età si rifletterà sulle generazioni più giovani, dando loro il compito di offrire un servizio di assistenza e supporto. Un mestiere del futuro sarà quindi quello del “camminatore/parlatore”, ovvero passeggiare in compagnia e scambiare due chiacchiere. La collettività è sinonimo di unità e inclusione, l’emarginazione di persone non fa parte di una visione futura.  
  • Personal Trainer 3.0
    Se le persone anziane avranno degli accompagnatori, allo stesso tempo, le persone più giovani e attive richiederanno un supporto per restare dinamiche, sportive e in salute. C’è chi deciderà di dedicarsi al coaching sportivo (una sorta di ‘Personal Trainer’ avanzato), per motivare e appoggiare donne e uomini nel loro cammino verso una vita più sana.
  • Infermieri specializzati
    Il campo della medicina è evoluto incredibilmente e continuerà in questa direzione. La necessità di personale medico sempre più formato e specializzato è stata anche – purtroppo – confermato negli scorsi mesi dalla pandemia Covd-19. In ottica futura possiamo vedere come in campo MedTech, ad esempio, non sarà più necessaria la presenza di un chirurgo per l’esecuzione di un intervento, ma sarà sufficiente l’accompagnamento di infermieri specializzati, che grazie all’uso dell’intelligenza artificiale, potranno svolgere operazioni in modo più autonomo. 
  • Professioni relative alle ‘Smart Cities’
    La maniera di costruire case e di modellare la realtà urbana si è trasformata nel tempo. Il lavoro di asfaltatori, costruttori, muratori, ingegneri e architetti si è dovuto confrontare con nuovi metodi di concepire e modernizzare le città di domani. Le “Smart Cities” sono già parte del presente. Se nel 2016, a livello globale, venivano spesi 80 miliardi di dollari per lo sviluppo di città intelligenti, nel 2021, si prevede un budget consacrato a questo scopo, di 135 miliardi di dollari. I lavori coinvolti nella progettazione, nella costruzione e nel mantenimento delle metropoli moderne, verranno profondamente sviluppati, in termini di competenze, e conoscenze, di materiali e di infrastrutture hi-tech. Specialisti nei sistemi fotovoltaici e solari saranno ingaggiati nell’ideazione di configurazioni energetiche volte a soddisfare le esigenze dei cittadini. 

Lavori del futuro che si uniscono alla tecnologia per fornire beni e servizi. È questa una delle strade da percorrere per non incorrere nell’ “obsolescenza programmata delle competenze”, insieme al potenziamento della formazione continua, affinché si possa fornire al tessuto economico una concreta risposta di personale qualificato.


Incrementare le proprie competenze
Con corsi mirati e di breve durata la formazione puntuale Cc-Ti è pensata per offrire in modo concreto ai partecipanti delle solide basi sulle diverse tematiche legate alla gestione aziendale (diritto; export; finanza; marketing e vendita; organizzazione; risorse umane e soft skills). Tutte le nostre formazioni sono erogate rispettando le direttive sanitarie Covid-19. Per altre informazioni: www.cc-ti.ch/formazione

La formazione per promuovere il futuro lavorativo

Termini come smart working, BYOD, lavoro da remoto, games for learning e intrapreneurship hanno fatto la loro prepotente comparsa nelle aziende, accelerate dal lockdown dovuto al Covid-19.

Ci sono delle attività e degli strumenti che faciliteranno l’uso e il mantenimento dello smart working anche successivamente a questo particolare periodo. Uno di questi è la gamification. Attualmente utilizzata per lo più dalle grandi realtà aziendali nell’ambito delle Human Resources, per l’unione del gioco e di strumenti tecnologici all’avanguardia inseriti all’interno del processo di selezione del personale. Permette ai candidati di vivere il colloquio più serenamente e con minor tensione rispetto al colloquio tradizionale che avviene di persona, ma non solo; permette di mostrare eventuali competenze tecniche, facilita l’utente nel rispondere a quesiti e/o prove di creatività e via dicendo. Per i recruiter, invece, il processo di selezione sarà facilitato grazie alla gamification consentendo per esempio una più precisa valutazione del candidato, ottimizzando i tempi di lavoro e la condivisione dei dati con colleghi; ovviamente a patto che le competenze dei recruiter stessi siano aggiornate e siano realmente in grado di usare gli strumenti di gamification e interpretare correttamente i vari feedback provenienti dai candidati. Per questo motivo è molto importante concentrarsi sulla formazione continua dei recruiter stessi; molto spesso ancorati ad un metodo desueto che non ottimizza il sistema aziendale. La gamification può essere usata a vantaggio di tutte le aziende, sia PMI che grosse imprese e, ovviamente, integrata in tutti i reparti aziendali, non solo nelle risorse umane.
Il sistema di recruiting deve subire dei cambiamenti. Basti pensare a grandi aziende come Google, Audi, MSC Crociere, Servizio postale francese Farmapost, Heineken giusto per citarne qualcuna, che già utilizzano sistemi di gamification per l’assunzione del personale. Si tratta di aziende che, non solo traggono un vantaggio organizzativo da questo processo ma rispondono ad una precisa esigenza del mercato dei lavoratori più giovani, sia attuali che futuri, cresciuti in un contesto in cui gamification e tecnologia rappresentano la norma.

Aziende e professionisti non devono rimanere indietro

Possedere una laurea o una competenza in un singolo settore non sarà garanzia di accesso ad un determinato posto di lavoro, soprattutto in un mercato lavorativo in cui si dà sempre maggiore rilevanza alla capacità di adattarsi rapidamente ad un contesto mutevole e alle cosiddette soft skills; dall’organizzazione e gestione delle priorità agli ambienti di lavoro, dalla strumentazione da utilizzare in azienda ai metodi per la condivisione delle informazioni e così via. Ogni aspetto legato alla vita lavorativa stava già conoscendo dei rapidi sviluppi, il lockdown dovuto al Covid-19 ha sicuramente accelerato il processo. In aggiunta a ciò basti pensare che secondo Cathy Davidson, Direttrice della Futures Initiative alla City University of New York, ben il 65% degli impieghi dei prossimi 10 anni non avrà nulla a che fare con i lavori che conosciamo oggi; in parole semplici il lavoro di domani ancora non esiste ma esistono i metodi per aggiornarsi, formarsi e prepararsi a quello che ci aspetta, sia per le aziende che per i singoli professionisti.

I centri di formazione dovranno aggiornarsi per fronteggiare le richieste dei lavoratori

I centri di formazione continua devono aggiornarsi costantemente per garantire la qualità della formazione professionale; soprattutto al giorno d’oggi in cui innovazione e progressi tecnologici hanno un impatto profondo su tutti il sistema lavorativo. Per farlo dovranno riorganizzare il modello della formazione stessa: a partire dai manager che saranno alla guida dei processi di trasformazione in tutti i settori fino ad arrivare a professionisti, collaboratori e dipendenti di piccole, medie e grandi realtà aziendali. Si tratta di un processo complesso e non tutti i centri di formazione saranno in grado di organizzare corsi all’avanguardia con modalità didattiche e strumentazioni innovativi. Tuttavia, per le aziende e i professionisti sarà necessario prepararsi al cambiamento per non rimanere indietro nel mercato del lavoro.

La formazione futura

Dopo l’attuale periodo pandemico dovranno esserci dei cambiamenti nei metodi di formazione. Mutamenti che potrebbero generare nuove opportunità. Modifiche che non possono riguardare solamente la didattica a distanza ma prevedere forme nuove anche nei centri di formazione
fisici; ovviamente seguendo le attuali e future regolamentazioni per garantire la sicurezza di tutti: formatori, personale e corsisti.
Prendendo come spunto di partenza il progetto europeo FCL – Future Classroom Lab, in cui soluzioni tecnologiche innovative supportano metodi di insegnamento e apprendimento all’avanguardia, potremmo divedere i centri di formazione in otto zone ben distinte:

  • Zona di simulazione in cui i corsisti possono esercitarsi, per esempio, con scenari VR sotto la diretta supervisione dei formatori che, in tal modo, possono offrire feedback immediati. Nel report “Seeing is beliving” di PwC (marzo 2020), vengono valutate le tecnologie di VR e AR; queste tecnologie entro il 2030 genereranno 1,5 trilioni di dollari. Queste tecnologie miglioreranno oltre 23 milioni di posti di lavoro.
  • Zona di interazione in cui sia discenti che formatori sono attivamente coinvolti in un processo di scambio informazioni, domande/risposte e discussione.
  • Zona di presentazione per condividere progetti e lavori con tutta l’aula tramite strumenti che permettano presentazioni interattive, non solo in presenza ma anche online.
  • Zona game room per rafforzare tramite la gamification le soft skills come capacità di leadership, ottimizzazione di tempi e compiti, capacità di risolvere problemi e così via.
  • Zona investigazione per incoraggiare un apprendimento attivo e non passivo tramite la ricerca di materiali e informazioni, sia singolarmente che in gruppi.
  • Zona di creazione per creare, per esempio, progetti multimediali e/o presentazioni interattive.
  • Zona di scambio per favorire la collaborazione con gli altri corsisti, sia a distanza che in presenza.
  • Zona di sviluppo per favorire un apprendimento informale basato sulla propensione del singolo individuo ad incamerare ed elaborare le nozioni acquisite, con i propri ritmi e metodi.

Ovviamente per far sì che tutto questo sia possibile è necessario dotarsi di strumenti e soluzioni tecnologiche innovative; giusto per citarne qualcuno: visori per la realtà aumentata, monitor interattivi, dispositivi mobili di apprendimento come laptop e tablet, telecamere motorizzate per permettere agli alunni di seguire oltre l’aula, BYOD, flipchart interattivo, regia audio-video, schermi HD e strumenti di pubblicazione online come piattaforme.
I centri di formazione così intesi possono non solo ampliare il bacino di corsisti ma allo stesso tempo favorire l’evoluzione verso un nuovo modo di insegnare ed apprendere; un modo in cui tramite la Blended Learning (ossia l’apprendimento misto o apprendimento ibrido, che nella ricerca educativa si riferisce ad un mix di ambienti d’apprendimento diversi) vengono impartite nozioni tramite una combinazione di media digitali, formazione classica in aula e uso di strumenti altamente tecnologici. Fino ad oggi la scuola è rimasta ancorata al passato insegnando ad esempio la tecnologia con corsi ICT a indirizzi prettamente informatici ma ora più che mai è necessario andare oltre.
La scuola digitale per molti è uno slogan più che una reale esigenza didattica e sociale. Non dovrebbe esser così, ancor di più dopo questo periodo. L’accompagnamento e la formazione di qualità nell’uso della tecnologia sono una priorità.


Articolo a cura di

Luca Mauriello, CEO Swisstecnology Sagl

Video killed the radio star

Le numerose tecnologie esistenti sul mercato e a disposizione delle aziende possono cambiare il processo di selezione?

Il processo che adottiamo nella selezione del personale assomiglia sempre più ai primissimi programmi televisivi degli anni ’50. Questi ultimi infatti non erano nient’altro che programmi radiofonici trasmessi in video. Ci sono voluti decenni perché la televisione sviluppasse un suo linguaggio con un cambio di paradigma. Così funziona l’innovazione. Parte lenta e cambia solo le cose più superficiali, poi improvvisamente s’impenna e porta a cambiamenti profondi che spesso sono perturbativi.

HR e digitalizzazione

La selezione del personale non fa differenza. All’interno del processo di selezione si sono andati via via inserendo strumenti tecnologici sempre
più sofisticati, ma il processo rimane lo stesso. Si è cominciato con la possibilità di avere CV su supporto digitale anziché cartaceo e di gestire
una parte di processo e gli archivi documentali con i software di gestione risorse umane. Poi sono apparsi il web e Internet. Così abbiamo aggiunto la career page del nostro sito, gli scambi via mail e gli annunci anche sui siti web specializzati invece che solo sui giornali. Poi sono arrivati i social e abbiamo cominciato a pubblicare gli annunci sui social. Con gli smartphone sono arrivati i video fatti in casa e abbiamo creato i video CV. È nata una piattaforma per videochiamate e abbiamo avuto i colloqui virtuali. Sta arrivando l’intelligenza artificiale e stiamo avendo i primi bot che selezioneranno per noi i CV e risponderanno con una bella lettera al candidato non selezionato. Tutto questo produce piccole innovazioni superficiali ma lascia sostanzialmente inalterato il processo di selezione, che resta più o meno sempre lo stesso da decenni: bisogno, profilo, annuncio, screening CV, primo colloquio, short list, secondo colloquio, contratto, inserimento. Abbiamo messo dentro tecnologia e applicazioni, ma stiamo trasmettendo un format radiofonico sul mezzo televisivo. Proviamo a fare delle riflessioni per capire se questo
paradigma stia ancora in piedi.

Fare selezione del personale oggi

Le aziende si trovano sempre più raramente nella condizione di poter programmare con largo anticipo il fabbisogno di personale futuro. L’orizzonte di visibilità è nel migliore dei casi qualche mese, il tempo della costruzione del budget dell’anno prossimo. Quindi la selezione è sempre di più un processo impulsivo, che insegue o il bisogno momentaneo, come una fluttuazione in una posizione o una programmazione a breve. Il tempo di ricerca deve essere il più breve possibile, indipendentemente dal tipo di profilo, persino per quelli che sono rari o particolarmente richiesti. Anche il periodo di inserimento in azienda è sempre più limitato. Infine le funzioni HR sono sempre più ridotte in termini di personale e la selezione è uno di quei processi a maggior consumo di tempo. Su questi presupposti il processo di selezione come lo abbiamo concepito finora è probabilmente inadeguato perché è incapace di rispondere ai bisogni dell’azienda, richiedendo spesso troppo tempo e risorse che non abbiamo. Le alternative restano le società specializzate oppure provare a cambiare questo processo. Il punto è che l’HR deve riprendere a guardare avanti per anticipare l’esigenza. Guardare avanti non significa avere il bastoncino da rabdomante o essere il campione dei futuristi, ma concentrarsi sul proprio business. Se guardiamo con attenzione il business sappiamo in anticipo quali sono le competenze e i profili necessari. Quindi la domanda è se li conosciamo perché dobbiamo aspettare che qualcuno ce li chieda? Non possiamo prepararci prima?
Certo, ma per farlo è necessario un certo lavoro integrato e sistemico. Dobbiamo ragionare con logiche di marketing.

Il marketing nella selezione del personale

Il primo punto è il cliente, cioè i nostri candidati. Chi sono? Cosa fanno? Dove sono? Di che parlano? Vanno creati dei cluster pre-profilati per famiglie professionali basate sulle esigenze di business. Non dobbiamo farlo per tutti i collaboratori, ma solo per quelle posizioni dove sono richiesti profili significativi, per le posizioni chiave. Secondo punto: il prodotto, cioè la nostra azienda. Dato che un ingegnere non vuole necessariamente le stesse cose di un contabile, qual è il valore che possiamo offrire specificatamente a ciascun cluster? Si tratta di costruire quella che si chiama l’employee value proposition cioè la nostra proposta di valore per questi profili, un pacchetto concreto che includa benefici tangibili e intangibili. Il terzo punto è il posizionamento: come datore di lavoro come vogliamo essere percepiti e per che cosa vogliamo essere riconosciuti dai nostri cluster? Quindi qual è l’immagine che vogliamo dare? Quarto punto: la promozione. Come li contattiamo? Come ci facciamo conoscere? Come li attiriamo e li incuriosiamo? Come facciamo a proporgli il nostro pacchetto? La risposta a queste domande richiede un lavoro preparativo di riflessione e poi ha delle conseguenze pratiche mediante l’uso combinato delle tecnologie digitali.

Social recruiting

Le piattaforme social come ad esempio Linkedin, dispongono di sistemi di ricerca filtrati che permettono di creare dei gruppi di potenziali candidati che posso tenere in “osservazione”. Non stanno probabilmente cercando lavoro, sono i cosiddetti “passivi”, ma appartengono al cluster che ci interessa e quindi li identifico (per esempio cerco un ingegnere elettronico esperto di scambiatori di calore). È possibile comunque cominciare a contattarli e a conoscerli. Non ho bisogno di farli venire in azienda. Un colloquio virtuale, con tutti i suoi vantaggi logistici, sarà più che sufficiente per aprire il contatto e farmi una idea. Posso costruire delle community di persone interessate ad un determinato argomento e proporre articoli o contributi che hanno un valore per il mio target. Posso legare il mio sito web alla pagina aziendale Linkedin, in modo da costruire uno scambio virtuoso di contenuti che lavorino su un concetto di employer branding. In questo gli stessi collaboratori dell’azienda possono essere coinvolti, mediante un programma specifico di testimonianze, che in cambio di contributi, li valorizza e finisce per offrire loro una utile visibilità. Posso utilizzare degli strumenti di gamification per incentivarli a entrare in contatto con noi, a postare dei video CV per farmi raccontare delle storie. O addirittura posso usare i meccanismi di gamification evoluta (veri e propri giochi costruiti appositamente) per selezionare i profili più interessanti. Del resto la categoria dei nativi digitali si sta affacciando sul mondo del lavoro ora e questi ragazzi sono cresciuti nel mondo dei videogame, hanno familiarità con quei meccanismi e li sanno sfruttare al meglio. Per quel che riguarda le persone di altre fasce di età, la pandemia e lo smart working forzato li hanno spostati volenti o nolenti in avanti. Chi era già un early adopter non ha fatto fatica e chi invece era riottoso si è dovuto adattare a usare tecnologie di community, come le chat evolute, o gli strumenti di meeting e cooperazione a distanza.

E domani?

Le tecnologie per operare ci sono, vanno ricombinate in una forma nuova dove il processo di selezione comincia molto prima e finisce molto più
rapidamente quando serve. La pandemia è stato ed è tuttora un formidabile acceleratore che sta polverizzando i paradigmi dell’organizzazione del lavoro. L’intero concetto di spazio/tempo lavorativo è stato distrutto per essere ricostruito in forme nuove, con problemi nuovi e vantaggi anche nuovi. A proposito di selezione, siete proprio sicuri che le persone che in questo periodo hanno provato un certo modo di lavorare vorranno tornare indietro come se nulla fosse successo? Non sarà che dobbiamo cominciare a chiederci ora chi sono le persone che vorranno lavorare da casa? Che profilo dovranno avere perché noi le possiamo integrare efficacemente con quelli che lavoreranno in presenza?
Potete non chiedervelo. Arriverà presto qualcun altro a chiedere di selezionarli. Naturalmente per ieri.


Articolo a cura di

Andrea Abbatelli, Partner KIAI Sagl

A favore dei giovani

Il progetto LIFT, che la Cc-Ti sostiene sin dalla sua introduzione, si è distinto vincendo il Premio Svizzero dell’Etica 2020

La transizione tra scuola dell’obbligo e formazione professionale è un passaggio molto delicato.
Per aumentare le possibilità d’integrazione degli allievi nel mercato del lavoro, è nato LIFT, attivo in Ticino dal 2013.

L’Haute Ecole d’Ingénierie et de Gestion du Canton de Vaud attribuisce ogni anno il Premio Svizzero dell’Etica, che è assegnato a tre vincitori, con lo scopo di valorizzare progetti differenti impegnati nella responsabilità sociale e nello sviluppo sostenibile.
Per il 2020 tra i vincitori si è distinto anche il Progetto LIFT, attivo in Ticino quale da oltre 7 anni (prima in fase sperimentale, poi consolidata), a cui la Cc-Ti ha dedicato la propria attenzione e ha fornito il proprio sostegno sin dalla sua introduzione.
Ricordiamo che LIFT è un progetto dedicato ai ragazzi delle scuole medie (3° e 4° media). Lo scopo è quello di far incontrare scuole e aziende, al fine di aumentare le chances d’accesso a un posto di formazione professionale a quei giovani che – per ragioni scolastiche, familiari e/o sociali – potrebbero presumibilmente trovarsi in difficoltà nella transizione scuola-lavoro.

Un lavoro di concertazione

LIFT si basa su tre elementi che interagiscono fra loro: aziende, scuole medie, famiglie. L’economia e lo Stato fanno da ponte fra le differenti ‘parti del puzzle’ per sostenere i giovani che hanno bisogno di una spinta supplementare nel facilitare la loro transizione dalla scuola al mondo professionale.
Un dialogo che nasce dalla volontà di concertazione nel sostenere i futuri attori del mondo del lavoro. Si tratta di una ‘triplice alleanza’ che vede in prima linea le aziende partner che accolgono i giovani, le scuole medie che sviluppano il programma e gli altri attori dell’ambiente economico e sociale che sostengono la causa.
Oggi in Ticino ci sono 9 scuole medie che propongono LIFT agli allievi e oltre un centinaio di aziende coinvolte nell’offrire posti di stages settimanali. La rete è consolidata sia a livello cantonale che nazionale e vede 280 sedi LIFT e 34 nuove scuole attive (dati dicembre 2019).

La Cc-Ti e LIFT

La Cc-Ti è da sempre attiva nel supporto verso la formazione professionale con iniziative alle associazioni di categoria e alle aziende per un aggiornamento costante. Ma non solo: la Cc-Ti si impegna anche in consessi differenti e con progetti innovativi che permettono interazioni anche fra famiglia-economia-scuola. LIFT ne è un esempio.

Desiderate maggiori informazioni sul progetto LIFT? Contattate Lisa Pantini, Responsabile Relazioni con i soci.

Essere produttivi: il metodo di Ivy Lee

Ogni imprenditore, ogni collaboratore, ogni studente, ogni persona vuole coltivare “la produttività” personale per una propria crescita. In poche righe la storia e un metodo davvero interessante.

“Se devi mangiare un rospo fallo come prima cosa al mattino. Se devi mangiarne due, comincia da quello più grosso”. Una citazione che suonerà anche un po’ bizzarra, ma per lo scrittore e umorista statunitense Mark Twain, questo era un principio per sconfiggere la procrastinazione.

Il rospo rappresenta un’attività, magari anche poco piacevole, che si preferirebbe rimandare all’infinito, invece che ultimarla. Senza un certo grado di motivazione, si cade in un circolo di scuse e si finisce spesso per posticipare. Per questo motivo, cioè sottrarsi al cerchio di giustificazioni al rinvio, bisogna mangiare il rospo come prima cosa, o meglio, occorre svolgere i doveri in principio di giornata. Un volta compiuti gli obblighi che reputiamo più sgradevoli, il resto del giorno sarà, in confronto, una passeggiata.

In una società dove i ritmi sono frenetici, è sempre più risentito il bisogno di essere produttivi. La frenesia del lavoro quotidiano e dei mille impegni di cui ci facciamo a carico, non lasciano margini di tempo per procrastinare. Anzi, è diventata una competenza essenziale quella del sapersi organizzare. Per chi non si sentisse capace di pianificare al meglio gli impegni e doveri, si possono trovare oggi, una miriade di tecniche per perfezionare le capacità organizzative di ognuno di noi. C’è speranza per tutti dunque! Una delle tecniche più semplici e efficaci, utilizzata da più di 100 anni, è il metodo Ivy Lee.

Il metodo Ivy Lee è datato 1918, un passaggio alla storia che incomincia quando il signor Schwab, presidente dell’acciaieria Bethlehem Steel Corporation, chiese aiuto all’esperto pubblicista nonché fondatore delle scienze di pubbliche relazioni, Ivy Lee. Il signor Schwab aveva pressantemente bisogno di rendere la sua compagnia più competitiva, dinamica e produttiva. Al primo incontro con Ivy Lee, il signor Schwab espose il suo desiderio di potenziare la produttività del suo team. Ivy Lee chiese di poter passare 15 minuti con ciascuno dei manager, così da spiegar loro una tecnica che avrebbe migliorato in maniera esponenziale la loro capacità di pianificare i loro obiettivi, e di conseguenza di aumentare il loro rendimento ai servizi della Bethlehem Steel Corporation. Quando Schwab chiese quale fosse il compenso richiesto per tale servizio, Lee rispose “niente”. Niente sul momento, ma se nei tre mesi successivi Schwab avesse notato miglioramenti, avrebbe deciso allora quale corrispettivo attribuire a Lee per un tale aiuto. A bilancio dei tre mesi di prova, Schwab firmò a Lee un assegno di 25’000 dollari (pari a 400’000 al giorno d’oggi). L’efficienza e le vendite della Bethlehem Steel Corporation spiccarono alle stelle. Nell’arco di un paio d’anni la compagnia diventò una dei più grandi colossi nella produzione d’acciaio americana, e rese il titolo di milionario al signor Schwab, che raggiunse un capitale dal valore netto di 200 millioni di dollari. La compagnia vanta progetti come il Golden Gate Bridge di San Francisco, il Ponte George Washington di New York, il Chrysler Building, Empire State Bulding, e altri ancora. Edifici, ponti, dighe, costruzioni conosciute e apprezzate nel mondo intero.

Fu in principio Rockfeller a consigliare a Schwab di incontrare Ivy Lee. Il magnate del petrolio era infatti a conoscenza della professionalità e delle capacità di Lee.

Il segreto del metodo Ivy Lee si racchiude nella sua semplicità. Il principio si basa su pochi punti essenziali, i quali richiedono un piccolo ritaglio di tempo per essere decretati e regolati. Bastano infatti 15 minuti la sera, da dedicare a questi spunti organizzativi, per il raggiungimento di una performance ineguagliabile.

Il primo passo consiste nel definire minuziosamente gli obiettivi che si vogliono raggiungere l’indomani. L’ambito in cui questi obiettivi ricadano è indifferente, bisogna però che questi obiettivi siano precisi e realizzabili. Il fine è quello di creare una lista di ciò che si vuole raggiungere nell’arco della giornata, per il giorno dopo.

Il secondo passo sta nel ordinare per priorità gli obiettivi listati, dando fondamentalmente precedenza ai sei reputati improcrastinabili e da ultimare. Mettendo al primo posto l’obiettivo che si considera più importante.

Il terzo passaggio prende vita l’indomani, iniziando la giornata completando l’obiettivo che si è stimato essere il prioritario. Una volta eseguite tutte le azioni per raggiungere il primo dei sei obiettivi, si può passare al secondo. Svolto il secondo si passa al terzo, e così via discorrendo.

Il quarto passo sta nel terminare la liste entro la fine della giornata, se non dovesse essere possibile riuscirci, gli obiettivi mancati vanno ripresi nella lista da redigere la sera, per il giorno seguente.

Il quinto passo sta nel ripetere questo schema ogni ventiquattrore, al crepuscolo, tutti i giorni.

La prestanza di questo metodo si racchiude nella sua capacità nel far realizzare quali siano le priorità a cui dobbiamo far fronte. Il fatto di mettere nero su bianco, quali siano i nostri doveri, e a quali è richiesta precedenza. Così facendo, si sopprimono le possibilità di scuse o posticipi.

Prendere coscienza di quali siano le priorità è un enorme passo avanti per incrementare la produttività, e l’efficienza di ognuno di noi. In tutta agevolezza, ed in un momento di calma, la sera, si categorizzano chiaramente quali siano le principali attività a svolgere. Un’analisi che richiede minimo istante, visto il numero limitato, a 6, di necessità a cui dedicare attenzione. Il numero limitato a sei non è aleatorio. Sei attività spartite nelle otto ore di lavoro, risultano in 1 ora e 20 minuti per ciascuna attività. Se queste tempistiche risultano essere troppo strette, o si realizza che si sta perdendo tempo a vuoto nello svolgere una di queste, si passa alla prossima.

La gestione del tempo diventa più interessante se vengono stabilite ante gli obiettivi da raggiungere. Sapere esattamente cosa si deve fare, con l’unico vincolo legato alla durata, rende indirettamente più focalizzati su ciò che bisogna realizzare. Quando invece non vi è un filo, o un programma di ciò a cui dobbiamo dedicarci nell’arco di una giornata, o in qualsiasi altro lasso di tempo, è facile cadere nell’abisso della procrastinazione. Abisso da cui è quasi impossibile uscire, senza un piano preciso e dettagliato.

Adeguamenti salariali CNL 2020

Un’informativa sulle modifiche salariali relative ai contratti normali di lavoro.

La Commissione tripartita in materia di libera circolazione delle persone ha pubblicato sul Foglio ufficiale no.102/2019 del 20 dicembre 2019 gli adeguamenti salariali 2020 dei contratti normali di lavoro (CNL).

I CNL ex-art. 360a CO decretati dal Consiglio di Stato su proposta della Commissione tripartita prevedono un adeguamento agli eventuali aumenti salariali decisi dalle parti dei rispettivi CCL di riferimento oppure, laddove non vi è un CCL di riferimento, l’adeguamento al rincaro in funzione dell’evoluzione su base annua dell’indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC del mese di novembre).

In breve, dal 1° gennaio 2020:

  • sono stati adeguati, in base all’aumento deciso dalle parti contraenti del CCL per gli impiegati di commercio nell’economia ticinese, i minimi salariali orari previsti dagli 11 contratti normali di lavoro (CNL) attualmente in vigore per la professione di impiegato/a di commercio, con un aumento da 19.85 a 20.06 franchi per un impiegato generico, da 21.45 a 21.67 franchi per un impiegato operativo e da 24.40 a 24.64 franchi per un impiegato responsabile;
  • è stato adeguato ai nuovi minimi del rispettivo contratto collettivo di riferimento (CCL Swissmem) anche il CNL per il settore della fabbricazione di macchinari e apparecchiature, con l’aumento da 21.10 a 21.25 franchi per il personale non qualificato e da 22.95 a 23.12 per il personale qualificato;
  • il CNL per gli operatori di call center è stato adeguato in base agli adeguamenti decisi dalle parti contraenti del CCL Contact e Call center con l’aumento da 19.25 a 19.62 per il livello 1, da 20.90 a 21.30 per il livello 2 e da 23.90 a 24.38 per il livello 3;
  • per quanto riguarda il settore dell’informatica, i minimi delle 3 categorie salariali degli informatici previsti nel CNL sono stati adeguati in linea con gli aumenti previsti per le tre categorie di impiegati di commercio, ossia da 19.85 a 20.06 franchi per la categoria a, da 21.45 a 21.67 franchi per la categoria b e da 24.40 a 24.64 franchi per la categoria c.

Non essendosi verificato un rincaro su base annua nell’indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC novembre) non vi è invece stato nessun adeguamento dei salari minimi per i rimanenti CNL.

LAINF e stage: come comportarsi?

Nell’ambito degli stage in azienda, in che modo devono agire i datori di lavoro relativamente al tema della copertura assicurativa contro gli infortuni (LAINF)? Ecco un breve vademecum.

È assodato che durante uno stage “al fine di prepararsi alla scelta di una professione” presso un datore di lavoro la persona è assicurata d’obbligo contro gli infortuni (art. 1a cpv. 1 lett. a LAINF in concomitanza con art. 1a cpv. 1 OAINF). Questo è naturalmente valido anche per giovani studenti delle scuole medie.

La copertura assicurativa si estende poi anche in ambito non professionale quando la persona durante lo stage lavora almeno 8 ore settimanali (art. 8 LAINF con art. 13 OAINF). Se la durata del lavoro fosse invece inferiore, la copertura assicurativa è valida solo per gli infortuni professionali (art. 7 LAINF) compreso però il tragitto più breve per recarsi al lavoro o sulla via del ritorno. 

In caso d’infortunio la persona avrà diritto alle prestazioni sanitarie previste dalla LAINF (art. 10 e segg.) così come alle prestazioni in contanti. Per quanto concerne l’indennità giornaliera, anche gli stagisti fino a 20 anni, avranno diritto a CHF 32.50/giorno dal 3. giorno dopo l’infortunio (art. 23 cpv. 6 OAINF).

Se la persona al termine dello stage riceve un salario, quest’ultimo sarà determinante per pagare i premi assicurativi. I premi assicurativi, che variano a dipendenza della comunità di rischio alla quale è attribuita l’azienda, contro gli infortuni professionali sono a carico del datore di lavoro, quelli per i premi non professionali (se appunto lavoro > 8h/sett.) possono essere dedotti dal salario. Il datore di lavoro riceverà la fattura per i premi complessivi.

Purtroppo spesso lo stagista non riceve un salario, per cui in questi casi si calcolano i premi assicurativi sulla base di un “salario fittizio” di CHF 41 [10% (148’200/365)] per ogni giorno civile per i giovani fino a 20 anni (CHF 82/giorno se > 20 anni) così come previsto dall’art. 115 cpv. 1 lett. b OAINF.

Una notifica formale al proprio assicuratore LAINF dell’inizio di ogni singolo stage non è necessaria; basterà notificare le persone sulla solita dichiarazione salariale LAINF di fine anno nella rubrica, se prevista, “salari supplementari, per es. giovani, pensionati, tirocinanti” oppure nella lista assieme al resto del personale occupato. Per qualsiasi ulteriore richiesta di informazioni/precisazioni il datore di lavoro può sicuramente rivolgersi al proprio assicuratore LAINF contro gli infortuni (sia esso la Suva o un assicuratore privato).

Testo a cura di Fabio Bonaldi, Responsabile imprese, Suva Bellinzona

Ti potrebbe anche interessare

Vi ricordiamo che la Cc-Ti, attraverso il suo Servizio giuridico, è a disposizione delle imprese associate per fornire maggiori informazioni. Contattateci per altri dettagli!

La gestione dei conflitti sul posto di lavoro

Dalla protezione del dipendente alle misure disciplinari: un vademecum a riguardo.

Screzi tra dipendenti, un collega che ribatte a una frecciatina, un ambiente lavorativo non armonioso come si auspicherebbe. Il timore di essere ripresi dal proprio superiore, di andare a fondo e chiarire la situazione, possibili ritorsioni, o peggio, la perdita del lavoro. Per ogni società, il capitale umano è imprescindibile. Dunque è di primaria importanza il benessere dei propri collaboratori.
Nelle relazioni interpersonali la comunicazione è uno dei fattori primari che può però, se non correttamente adoperata, portare a fraintendimenti o incomprensioni; da lì all’insorgenza di un conflitto, il passo è breve.
Nei rapporti di lavoro i conflitti possono essere all’ordine del giorno. Come gestirli? Ogni rapporto dipendente-datore di lavoro è disciplinato con obblighi reciproci (prestazione del lavoro del collaboratore, pagamento del salario da parte del datore di lavoro), al quale si aggiungono la lealtà (art. 321 a CO) e il rispetto delle direttive ricevute dal datore di lavoro (articolo 321 d CO). Anche il datore di lavoro è tenuto a preservare la salute e l’integrità personale dei dipendenti, garantendo il rispetto della moralità in azienda (articolo 328 CO).

Violazione degli obblighi dei dipendenti

Di norma quelli che vengono definiti ‘conflitti classici’ si riferiscono a un insieme di violazioni degli obblighi dei dipendenti verso il datore di lavoro (mancata soddisfazione o scarso rendimento delle prestazioni lavorative).
Qualche esempio? I cosiddetti ‘casi tipici’ riguardano la violazione dell’obbligo di lealtà, come ad esempio: comportamenti illeciti o non rispettosi nei confronti del datore di lavoro o dei clienti, la svalutazione della reputazione aziendale, il turbamento dell’ambiente lavorativo, il lavoro per terzi durante l’orario di lavoro, la violazione del divieto di concorrenza, la violazione degli obblighi di riservatezza, e così via. Il datore di lavoro può imporre il rispetto di tali obblighi mediante una denuncia e una misura di vincolo. Nel caso di un rifiuto ingiustificato di prestazioni connesse al proprio lavoro, il datore di lavoro può rivalersi anche sullo stipendio, trattenendone una parte (articolo 324 CO: principio di “niente lavoro, niente stipendio”). Anche le richieste di risarcimento danni possono essere trattata nello stesso modo (articolo 323 b, al. 2 CO).

Intervenire con misure disciplinari: un rimprovero, un avvertimento, il licenziamento

In generale un datore di lavoro agisce conseguentemente alle violazioni contrattuali del dipendente con delle azioni disciplinari che, normalmente andrebbero gestite “a scala”: un rimprovero, un avvertimento (con o senza imposizione di un periodo di prova) fino a giungere alla cessazione del rapporto di lavoro.
Nel caso del rimprovero (quale misura disciplinare limitata), si sanzionano i comportamenti contrari al contratto lavorativo o alle direttive ricevute. Consigliamo sempre la forma scritta o ev. orale, con un colloquio e verbale dell’incontro controfirmato dal dipendente.
La minaccia di una sanzione è strettamente collegata e conseguente a un avvertimento precedente, nel caso in cui il comportamento o le prestazioni del collaboratore non siano migliorate. L’avvertimento e la minaccia di sanzione devono essere espressi in modo chiaro, affinché i dipendenti ne comprendano le conseguenze e, specialmente, le motivazioni. Si consiglia di consegnare l’avvertimento per iscritto, a fini probatori.
La sanzione vera e propria solitamente corrisponde al licenziamento immediato. La minaccia di un licenziamento regolare è anche possibile, ma in questo caso il datore di lavoro deve valutare il fattore “tempo” e ne sarà vincolato. Altre misure sanzionatorie possono essere prese in considerazione. Tra esse vi sono le “multe” (pena pecuniaria, riduzione della retribuzione, lavoro extra, trasferimento, proroga del periodo di prova e sospensione), ma richiedono una forma specifica scritta antecedentemente nel contratto di lavoro (a titolo preventivo) e accettata da parte del collaboratore.

Quando i conflitti riguardano i rapporti con il capo: problemi tra dipendenti e supervisori

Quando nascono conflitti sul posto di lavoro, essi non hanno una vera e propria distinzione gerarchica: possono riguardare situazioni fra colleghi o con i propri superiori. Si parla di ‘mobbing’ (termine avvallato anche dal Tribunale Federale – TF) quando si assiste a un comportamento duraturo, sistematico, ostile e per un lungo intervallo di tempo verso qualcuno che lo porterà a essere isolato nel suo stesso posto di lavoro.   In queste situazioni, il datore di lavoro è tenuto, per suo dovere di assistenza (articolo 328 CO), a proteggere i dipendenti da qualsiasi atto che leda la loro personalità/persona. Devono venire presi in considerazione colloqui e sforzi di riconciliazione verso l’interno o verso l’esterno dell’azienda, l’elaborazione di regole comportamentali, direttive per coloro che hanno commesso mobbing, lo spostamento all’interno dell’azienda e, in ultima istanza, l’annuncio di un licenziamento.

Licenziamento vs. situazione di conflitto

Nel caso in cui si debba ricorrere ad un licenziamento scaturito da una situazione conflittuale occorre prestare estrema attenzione. Il diritto del lavoro svizzero riconosce il principio della libertà di licenziamento secondo cui il datore di lavoro non necessita di invocare alcun motivo specifico per il licenziamento o di dimostrarlo. È solo su richiesta dei dipendenti che il datore di lavoro dovrà motivare per iscritto il licenziamento (art. 355 cpv. 2, art. 337 cpv. 1 CO). Un licenziamento con effetto immediato del dipendente viene preso in considerazione solo quale ultima ratio. A parte per casi estremi, come un reato sul luogo di lavoro, tale azione sarà raramente considerata giustificata. In caso di licenziamento abusivo con effetto immediato, il datore di lavoro rischia di dover risarcire l’importo del salario del dipendente durante il suo normale periodo di licenziamento con una penalità aggiuntiva fino a sei mesi di stipendio (art 337 c CO).

Gestione e perfomance dei conflitti

I contenuti di questa scheda vogliono portare a riflettere e sottolineano l’importanza di una gestione HR umana e puntuale, che deve essere efficacie. I datori di lavoro dovrebbero periodicamente esaminare le prestazioni e il comportamento dei propri dipendenti con colloqui periodici. In caso di impegno insufficiente, il datore di lavoro deve comprenderne eventuali motivazioni e, solo conseguentemente l’ascolto, deve informare il proprio dipendente delle misure disciplinari a disposizione in caso di mancato miglioramento.

In caso di rimproveri e avvertimenti si consiglia di organizzare un colloquio personale tra il superiore e il collaboratore, alla presenza di una seconda persona delle HR per motivi probatori.
Nella pratica, la seguente procedura si è dimostrata efficace:

  • dare l’opportunità al dipendente di spiegarsi in relazione ai fatti e trarne le oggettive considerazioni;
  • successivamente trovare insieme le soluzioni appropriate. Eventuali accordi vanno sottoscritti e monitorati;
  • durante un sucessivo colloquio di feedback, è necessario verificare se il dipendente ha fatto propri gli obiettivi prestazionali stabiliti insieme. Se necessario andranno essere prese ulteriori misure correttive/disciplinari.

In caso di controversie tra dipendenti e il loro diretti superiori, il datore di lavoro deve prendere tutte le misure appropriate al fine di disinnescare il conflitto. Se, dopo aver fatto tutto il possibile, non si sono trovate misure per dar soluzione al conflitto, è possibile prendere in considerazione la disdetta di uno o dell’altro collaboratore.

Fonte: WEKA, 09.2019 – articolo rielaborato dalla Cc-Ti

La Cc-Ti è volentieri a disposizione dei propri soci, attraverso il Servizio giuridico, per consigli in merito.