Fallimenti abusivi: cosa è cambiato dal 2025

Dal 1° gennaio 2025 è entrata in vigore una riforma importante della Legge federale sull’esecuzione e sul fallimento (LEF), pensata per contrastare i fallimenti abusivi.

Una modifica che coinvolge imprese, creditori e autorità.
Il legislatore federale è intervenuto per arginare pratiche abusive che si sono diffuse negli anni: società che falliscono per eludere i debiti, trasferimenti fittizi di mantelli societari e impunità degli amministratori che violano le disposizioni legali. La riforma, frutto di oltre un decennio di dibattiti, coinvolge molte norme, tra le quali anche il Codice delle obbligazioni, il Codice penale e altre leggi federali.
Tra le novità più incisive, vi è l’obbligo per le autorità fallimentari di segnalare a quelle penali eventuali reati scoperti nell’ambito delle loro funzioni. Una misura volta a combattere in maniera più incisiva le condotte illecite ravvisate nel contesto di un fallimento. In Ticino, l’introduzione del perito fallimentare nel 2019 ha anticipato questo approccio, portando a un effettivo aumento delle segnalazioni e ad un perseguimento più rigoroso dei reati fallimentari.

Crediti pubblici e fallimenti

Un’altra modifica di rilievo è quella che riguarda la procedura di incasso dei crediti pubblici. Dal 2025, anche questi dovranno essere riscossi tramite fallimento e non più solo attraverso il pignoramento.
Ciò comporterà che gli enti pubblici – come le casse AVS, le autorità fiscali o le assicurazioni sociali – dovranno procedere in via fallimentare nei confronti delle aziende inadempienti, eliminando così una distorsione che incoraggiava comportamenti opportunistici, privilegiando i pagamenti ai creditori privati a discapito di quelli pubblici.

Più responsabilità e trasparenza

La riforma estende la responsabilità a tutte le persone iscritte nel registro di commercio: amministratori, direttori e procuratori. In caso di condanna penale, il registro di commercio potrà cancellare tali soggetti e impedirne delle cariche future per un periodo da sei mesi a cinque anni (o in via definitiva, nei casi gravi).
Un deterrente importante contro i fallimenti seriali.
Tra le misure adottate spicca anche il divieto di rinuncia retroattiva alla revisione limitata (opting-out): ogni decisione in tal senso sarà valida solo per l’esercizio successivo e visibile a registro, rafforzando la trasparenza e limitandone gli abusi.

Società mantello e nuovi obblighi informativi

È stata poi messa in atto una norma che limita il commercio delle cosiddette società mantello, ossia entità senza attività né attivi. La nuova normativa prevede la nullità dei trasferimenti societari di tali mantelli e attribuisce agli uffici del registro di commercio il compito di agire in presenza di fondati sospetti.
Sul fronte dell’informazione, è entrato in vigore l’obbligo per le amministrazioni fiscali di segnalare le società che non depositano i conti annuali. Al contempo, nel registro di commercio saranno accessibili i nomi degli amministratori coinvolti in società fallite.
Agevolazioni ai creditori e impatto sul sistema
Ai creditori è stato inoltre concesso più tempo per versare gli anticipi nei fallimenti in via sommaria (da 10 a 20 giorni).
Le nuove norme avranno un certo impatto sull’attuale sistema: si stima un incremento del 30% delle procedure fallimentari, con un conseguente aumento del carico per gli uffici pubblici.


A cura di Patrick Fini, Avv., Studio Legale Fini, Lugano

Approfondimenti giuridici

Schede redatte dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Vietato indicare animali nell’etichettatura di cibo vegano o vegetariano

Il 2 maggio 2025, il Tribunale federale ha emesso una sentenza significativa in materia di etichettatura alimentare (2C_26/2023), stabilendo che i prodotti vegani che imitano la carne non possono riportare nel nome riferimenti a specie animali, come “pollo” o “maiale”, anche se accompagnati da termini chiarificatori come “vegetale” o “vegano”. La decisione ribalta una precedente sentenza del Tribunale amministrativo del Canton Zurigo, che nel 2022 aveva dato ragione a un’azienda produttrice di sostituti della carne a base di proteine di piselli. Secondo il Tribunale federale, l’uso di termini come “planted.chicken” o “pollo vegetale” è fuorviante per i consumatori, poiché il termine “pollo” è legalmente associato a carne animale, sia nel diritto svizzero che in quello europeo. La legge sulle derrate alimentari impone che tutte le indicazioni siano veritiere e non inducano in errore.
I prodotti vegetali devono essere chiaramente distinguibili da quelli di origine animale, anche nella denominazione. Questa sentenza avrà un impatto diretto sul marketing e sull’etichettatura dei prodotti plant-based in Svizzera, imponendo alle aziende di trovare nuove strategie comunicative che rispettino la normativa, pur mantenendo la chiarezza per il consumatore.


Lavoro domenicale solo se la stazione ferroviaria ha una certa grandezza

In una recente sentenza (2C_87/2024) il Tribunale federale ha confermato che le aziende situate nelle stazioni ferroviarie possono impiegare personale la domenica senza necessità di autorizzazione solo se la stazione ha una certa rilevanza, in particolare per quanto riguarda il volume di traffico viaggiatori. Nel caso specifico, una filiale di una grande catena di commercio al dettaglio, aperta nel 2023 presso la stazione di Châtel-St- Denis (FR), non soddisfa questo requisito. Inizialmente, l’azienda aveva ricevuto dalla società di trasporti TPF, che gestisce la stazione, l’autorizzazione a operare come servizio accessorio, ritenendo quindi di non dover rispettare le restrizioni sugli orari di apertura, comprese quelle domenicali. Tuttavia, l’ispettorato del lavoro del Canton Friburgo ha vietato l’impiego di personale tra le 23:00 del sabato e le 23:00 della domenica senza apposita autorizzazione, e questa decisione è stata confermata sia dal Tribunale cantonale sia dal Tribunale federale.
Secondo l’articolo 26 dell’Ordinanza 2 della legge sul lavoro (OLL 2), il lavoro domenicale senza autorizzazione è ammesso solo in stazioni di una certa importanza. La stazione di Châtel-St-Denis, frequentata principalmente da pendolari locali e con traffico ridotto nei giorni festivi, non rientra tra queste. Pertanto, l’azienda non può beneficiare dell’eccezione prevista dalla normativa.

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La tassa (imposta) italiana sulla salute

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Nella legge italiana di bilancio 2024 è stato previsto un cosiddetto contributo di compartecipazione alla spesa sanitaria, comunemente chiamata tassa sanitaria, a carico dei vecchi frontalieri, ovvero di quei lavoratori il cui permesso di lavorare in Svizzera è antecedente al 17 luglio 2023.

L’applicazione effettiva dipende dall’adozione delle norme attuative da parte delle Regioni italiane, norme preannunciate entro la fine del 2025.
Stando alle informazioni ufficiose raccolte presso fonti comunque ufficiali, una variante di applicazione potrebbe essere indipendente dal fatto che i frontalieri abbiano ricevuto o meno servizi sanitari su suolo italiano. Con la citata tassa l’Italia intende incassare soldi per finanziare i salari del personale sanitario di frontiera al fine di frenare il relativo esodo verso la Svizzera. Questo è lo scopo dichiarato che può essere perseguito solo con una tassa non causale, da un’imposta dunque, in quanto permette di incassare denaro non vincolato e senza fornire controprestazioni specifiche. Se invece la tassa fosse causale servirebbe a coprire le spese di una prestazione concreta e non lascerebbe alcun margine per sovvenzionare i salari del personale sanitario. In altre parole, con una tassa causale l’Italia non potrebbe perseguire il suo obiettivo, in quanto l’incasso sarebbe esclusivamente destinato a coprire le spese effettivamente sostenute. È quindi molto verosimile che questo balzello sarà strutturato come un’imposta vera e propria, prelevata sul reddito di tutti i vecchi frontalieri, in modo generale e progressivo.

Il nuovo Accordo sulla fiscalità dei frontalieri attualmente in vigore ed applicato dal 2024 all’art.9 prevede però che i “vecchi” frontalieri restano imponibili soltanto in Svizzera. L’Italia non può pertanto prelevare alcuna imposta a loro carico, restando la competenza impositiva esclusivamente a beneficio della Svizzera.

Ne consegue che, se l’Italia adottasse misure attuative che strutturano il prelievo a carico dei frontalieri in modo non causale (come un’imposta) violerebbe, con tale misura, il citato accordo firmato con la Svizzera e appena entrato in vigore.
L’entrata in vigore di questa nuova imposta italiana rischia di interferire negativamente nei rapporti tra datori di lavoro e i dipendenti, riducendo a questi ultimi parte del salario netto guadagnato in Svizzera. Tale diminuzione potrà indurre questi dipendenti a chiedere ai datori di lavoro una compensazione finanziaria della perdita. Non è quindi escluso che, alla fine, saranno i datori di lavoro ticinesi, o almeno una parte di essi, a doversi sobbarcare questa nuova imposta italiana.

Per questa ragione è importante vigilare sulle normative di attuazione che saranno prossimamente adottate e mantenere alta la pressione politica affinché l’attuazione di questo contributo non sia in contrasto con gli impegni assunti dall’Italia nei nostri confronti.

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Accessibilità digitale: l’onda lunga della Direttiva Europea arriva anche in Svizzera

A partire dal 28 giugno 2025, l’European Accessibility Act (EAA – Direttiva UE 2019/882) entrerà in vigore nell’Unione Europea. L’impatto per il mercato elvetico sarà tutt’altro che secondario. Vediamo perché.

Cosa prevede l’Accessibility Act

La Direttiva impone che prodotti e servizi digitali – tra cui siti web, e-commerce, terminali self-service, app mobile, lettori e-book, servizi bancari e di trasporto – rispettino criteri di accessibilità funzionale. In pratica: dovranno essere percepibili, utilizzabili, comprensibili e robusti per tutti, comprese le persone con disabilità, entro il 28 giugno di quest’anno; non sono previsti periodi di tolleranza. Le sanzioni variano da Paese a Paese e vanno dall’oscuramento del servizio fino a multe salate (in Italia fino al 5% del fatturato annuo).

Un esempio: i non vedenti navigano i siti web grazie a software chiamati „screen reader“ che leggono a voce alta il testo e descrivono gli elementi visivi; è quindi indispensabile che le immagini siano state caricate con descrizioni alternative (alt text) che gli screen reader possano leggere. Indicazioni come questa, ispirazione della nuova legge, si rifanno alle linee guida WCAG 2.1 (Web Content Accessibility Guidelines), standard internazionale per rendere il Web accessibile anche ai portatori di disabilità visiva, auditiva, cognitiva, o motoria. Sono state sviluppate dal World Wide Web Consortium (W3C), organizzazione non governativa internazionale fondata da Tim Berners-Lee per valorizzare e diffondere le potenzialità del Web.

La situazione in Svizzera

Attualmente, l’Accessibilità dei siti web è un requisito obbligatorio per le istituzioni pubbliche, che sono tenute a riferirsi alle linee guida WCAG; per il settore privato, la situazione è più complessa: le aziende private non possono discriminare i dipendenti o il pubblico, ma non sono tenute ad adottare misure speciali per fornire i propri servizi ai portatori di disabilità.

Anche qui qualcosa sta cambiando: la proposta di modifica della legge sui disabili (LDis) dello scorso dicembre mira a una maggiore inclusività. Secondo l’Ufficio federale di statistica, circa il 21% della popolazione svizzera vive con una forma di disabilità; nella UE, la percentuale sale al 27% ossia un adulto su quattro sopra i 6 anni. La nuova normativa europea potrebbe quindi fungere da ispirazione anche per il Legislatore svizzero: pensiamo al precedente del GDPR, a cui è seguita la nLPD. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che, se un sito web svizzero si rivolge anche a un pubblico Europeo, deve necessariamente essere conforme alla Direttiva EAA.

Cosa significa “accessibile” per un sito web?
Anche in questo caso, ci viene in soccorso la W3C, che stabilisce 4 principi fondamentali: per essere accessibile, un sito web deve essere:

  • Percepibile: il contenuto deve essere presentabile agli utenti, inclusi quelli con disabilità sensoriali (es. testo alternativo per le immagini per non
    vedenti, netto contrasto tra colore dei caratteri e colore dello sfondo per gli ipovedenti, ecc.).
  • Utilizzabile: i componenti e la navigazione devono essere utilizzabili da tutti, indipendentemente dalle capacità motorie o cognitive.
  • Comprensibile: il contenuto deve essere chiaro e facile da comprendere, con un linguaggio semplice e una struttura logica.
  • Robusto: il contenuto deve essere interpretabile correttamente da diversi strumenti (browser, screen reader, ecc.) e tecnologie assistive.

Queste caratteristiche migliorano il rendimento del sito. E non solo agli occhi degli utenti.

Accessibilità e SEO: un binomio vincente

Ecco 5 punti da seguire per rendere il proprio sito web più accessibile:

  1. Condurre un audit di accessibilità: valutare lo stato attuale del sito rispetto alle linee guida WCAG 2.1.
  2. Implementare miglioramenti tecnici: apportare le modifiche necessarie alla struttura e ai contenuti per garantire l’accessibilità.
  3. Integrare strumenti per migliorare la navigazione, come widget che permettono agli utenti di personalizzare la fruizione del sito (es. navigazione da mobile con una sola mano).
  4. Cambiare i processi consolidati nelle attività continuative, come la pubblicazione di postblog (es. curare l’impostazione di testi e metatesti);
  5. Formare il personale: assicurarsi che designer, sviluppatori e content editor siano consapevoli delle best practice in materia di accessibilità, in modo da remare tutti nella stessa direzione.

Un punto di svolta

L’entrata in vigore dell’European Accessibility Act rappresenta un momento cruciale per le aziende svizzere. Adeguarsi agli standard di accessibilità non è solo una questione di conformità legale, ma un’opportunità per migliorare la propria presenza online, raggiungere un pubblico più ampio e dimostrare un impegno verso l’inclusività. Investire nell’accessibilità oggi significa prepararsi a un futuro digitale più equo.


Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl

Pensionamento flessibile nel regime del 1° pilastro

La riforma dell’AVS 21, che è entrata in vigore il 1° gennaio 2024, prevede una maggiore flessibilità nel pensionamento. Ad esempio, il termine “età pensionabile” è stato sostituito da “età di riferimento”, per designare il momento in cui gli assicurati possono richiedere la rendita di  vecchiaia senza essere soggetti a una riduzione per il pensionamento anticipato o a un supplemento per il differimento

Data la complessità della materia e le numerose specificità ed eccezioni, la presente scheda fornisce una panoramica delle nuove possibilità offerte dal primo pilastro, tenendo presente che il primo pilastro è solo uno dei fattori che entrano in gioco nel determinare le risorse disponibili al momento del pensionamento.

Pensionamento all’età di riferimento

L’età pensionabile di riferimento sarà gradualmente innalzata da 64 a 65 anni per le donne, con misure di compensazione per le donne nate tra il 1961 e il 1969. Queste possono assumere varie forme, tra cui prestazioni pensionistiche migliori in determinate situazioni, non soggette al massimale per le donne sposate. Tutti i futuri pensionati devono presentare una richiesta al fondo di compensazione competente alcuni mesi prima del raggiungimento dell’età di riferimento per attivare il pagamento della pensione.

Pensionamento anticipato

  • Anticipo totale
    È ora possibile percepire la pensione in anticipo a partire dal primo giorno del mese successivo al compimento del 63° anno di età. È possibile scegliere di percepire la pensione in anticipo, per intero o in parte. In questo caso, la pensione viene calcolata in modo normale, tenendo presente che la pensione anticipata è generalmente parziale, in assenza di un periodo completo di contributi. L’importo della pensione così calcolato viene poi ridotto di una percentuale che dipende dalla durata del periodo di prepensionamento. Durante il periodo di prepensionamento è necessario continuare a versare i contributi AVS, se necessario, come persona non attiva.
  • Anticipo parziale
    È ora possibile percepire tra il 20% e l’80% della pensione di vecchiaia prima di raggiungere l’età di riferimento. Durante il periodo di anticipazione, è possibile aumentare una volta la percentuale anticipata. In questo caso, il calcolo viene effettuato come per il prelievo anticipato completo.
  • Fine dell’anticipazione
    Al raggiungimento dell’età di riferimento, viene calcolata la pensione di vecchiaia definitiva, tenendo conto dei contributi versati durante il periodo di prepensionamento. Una volta stabilito l’importo della pensione, questo viene ridotto in base alla durata del periodo di pensionamento anticipato.
    Al momento del decesso dell’assicurato che ha versato la pensione anticipata, la pensione della vedova, del vedovo o dell’orfano che gli succede non viene ridotta.

Rinvio del pensionamento

  • Rinvio totale
    Chi raggiunge l’età di riferimento può differire la riscossione della pensione di vecchiaia da uno a cinque anni. Ciò consente di ricevere una pensione di vecchiaia maggiorata, a seconda della durata del differimento. Il meccanismo è quindi inverso a quello dell’anticipazione. Il differimento non può essere inferiore a un anno. Nel caso di assicurati coniugati, l’aumento legato al differimento non è influenzato dal massimale della pensione. Il differimento può riguardare la totalità o una parte della pensione, senza che sia necessario stabilire in anticipo la durata del differimento. Dopo un anno di differimento, è possibile revocarlo, in tutto o in parte, e ottenere il pagamento della pensione a partire dal mese successivo alla revoca. Tuttavia, il differimento non è possibile se l’assicurato percepisce una pensione di invalidità totale o un’indennità di frequenza.
  • Rinvio parziale
    Il differimento può riguardare solo una parte della pensione, dal 20% all’80% della stessa. Questa percentuale può essere ridotta una volta durante il periodo di differimento, ma non aumentata. Se una parte della pensione è stata anticipata, è possibile differire solo il saldo.
  • Fine del rinvio
    Il differimento termina quando l’assicurato revoca la rendita. La revoca si considera avvenuta anche quando è trascorso il periodo massimo di cinque anni, precisando che l’assicurato deve richiedere espressamente il pagamento della pensione. Anche la concessione di un assegno di invalidità o il decesso dell’assicurato pone fine al differimento. Le pensioni di reversibilità che seguono una pensione di vecchiaia differita non vengono aumentate.

Fonte: CVCI, Demain, agosto/settembre 2024. Traduzione ed adattamento: Cc-Ti

Il licenziamento in tronco di un dipendente già licenziato in modo ordinario

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

I contratti di lavoro possono essere conclusi per una durata determinata o indeterminata. In caso di durata determinata cessano di esplicare effetti giudici allo scadere del tempo previsto. Per contro, nel caso di durata indeterminata la fine del contratto presuppone una disdetta.

La  disdetta è un atto formale con il quale una delle parti al contratto notifica all’altra la sua in tenzione di porre fine al rapporto di lavoro. Proseguendo con i distinguo, la disdetta può essere ordinaria o straordinaria. Quella ordinaria non presuppone alcun motivo da parte di chi la notifica e deve rispettare i termini di preavviso contrattuali. La disdetta straordinaria ha per contro un effetto immediato, nel senso che il contratto prende immediatamente fine, ma deve fondarsi su motivi gravi. Sono reputati gravi in particolare, quelle circostanze che non permettono per ragioni di

buona fede di esigere da chi dà la disdetta che abbia a continuare nel contratto. Si tratta di situazioni in cui il rapporto di fiducia tra le parti è irrimediabilmente compromesso.

Nella realtà può succedere che in determinate situazioni i due tipi di disdetta vengano utilizzati entrambi. In una sua sentenza (4A_546/2023) il Tribunale federale si è infatti occupato di un caso in cui un dipendente era inizialmente stato licenziato in modo ordinario e successivamente, durante il termine di preavviso, una seconda volta con effetto immediato. Infatti, dopo aver proceduto alla disdetta nel rispetto del termine ordinario di preavviso, il datore di lavoro aveva riscontrato alcune situazioni a suo parere incompatibili con il contratto di lavoro ancora in essere, e aveva pertanto proceduto in un primo tempo ad ammonire formalmente la persona e cinque giorni dopo ad un licenziamento in tronco.

È possibile procedere in tal modo? Se un dipendente ha già ricevuto una disdetta ordinaria può, durante il termine di preavviso, ricevere una seconda disdetta con effetto immediato che pone fine seduta stante, prima della scadenza, al rapporto di lavoro?

Il Tribunale federale ha detto di sì, ma in queste situazioni i motivi alla base del licenziamento devono essere particolarmente gravi. In altre parole, la valutazione circa l’esistenza di gravi motivi atti a giustificare un licenziamento in tronco deve essere effettuata in modo più severo se la persona ha già ricevuto una disdetta ordinaria. In effetti nel caso di una persona già licenziata in modo ordinario l’orizzonte temporale del rapporto lavorativo è già determinato ed è nota la data della cessazione del contratto. Per quale ragione è quindi necessario un ulteriore licenziamento in tronco? Non è sufficiente attendere lo scadere naturale del termine di disdetta? Queste sono le domande a cui è necessario rispondere in modo convincente per poter giustificare il secondo licenziamento.

Nel caso concreto il Tribunale federale ha inoltre considerato che il secondo licenziamento è intervenuto solo cinque giorni dopo l’ammonimento e che quindi non vi fosse una reale volontà del datore di lavoro di correggere il comportamento del dipendente ma piuttosto di anticipare la data della fine del contratto. Anche per questa ragione il datore di lavoro non avrebbe potuto ricorrere a una seconda disdetta con effetto immediato. In conclusione, bisogna essere particolarmente prudenti quando si intende procedere in questo modo. A volte meglio lasciar scadere il termine di disdetta ordinario che vedersi coinvolgere in lunghe procedure giudiziarie.

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Cedere la propria azienda è un’operazione complessa

Il passaggio di proprietà di un’azienda è, innegabilmente, una fase importante nella vita di un’azienda

Si tratta di un processo lungo e sfaccettato che tocca diversi ambiti, tra cui quello finanziario (valutazione e finanziamento dell’azienda), giuridico (redazione dei contratti) e fiscale (tassazione dell’imprenditore e dell’azienda). Il punto di vista di uno specialista del settore: Julien J. Collaud, della ditta VZ Conseil juridique et fiscal SA, raccolto dalla Camera di commercio e dell’industria del Canton Vaud.

Secondo alcuni studi, in Svizzera diverse decine di migliaia di PMI sono interessate da trasferimenti non regolarizzati. Quali sono le principali difficoltà incontrate dai proprietari?

A parte alcune difficoltà legate al settore o all’azienda da trasferire, i principali ostacoli incontrati dagli imprenditori che desiderano trasferire la propria azienda e che non cercano supporto sono la sottovalutazione del tempo da dedicare alla transazione, la ricerca di un rappresentante in grado di farlo, i cattivi consigli ricevuti da familiari e amici e il non valutare attentamente la complessità della transazione, in particolare in termini di tasse e successioni.

Quali sono le diverse opzioni a disposizione di chi vuole cedere la propria azienda?

In pratica, si distinguono tre tipi di trasferimento d’impresa, che rappresentano una serie di opzioni disponibili per chi desidera cedere la propria azienda:

  • il primo è la trasmissione all’interno della famiglia (Family Buy-Out – FBO), che consiste in una vendita o donazione (totale o parziale) ai membri della famiglia dell’imprenditore
  • il secondo è la trasmissione all’interno dell’azienda (Management Buy-Out – MBO), che consiste nella vendita ai dipendenti dell’azienda, spesso dirigenti
  • il terzo è la vendita a terzi, cioè a persone non legate all’imprenditore.

Possono essere aziende che operano nello stesso mercato, investitori finanziari (private equity, fondazioni d’investimento, fondi d’investimento, ecc.) o persone che desiderano diventare imprenditori.

Esistono scadenze ideali per affrontare questo passaggio?

Ogni caso è unico e ha le sue peculiarità. Possiamo tuttavia affermare che il momento ideale per iniziare a pensare al trasferimento dell’azienda è tra i cinque e gli otto anni prima. Quanto prima si inizia, tanto maggiori sono le possibilità di ottimizzare l’attività, la pianificazione finanziaria personale e la previdenza. È particolarmente consigliabile farlo in anticipo quando la società detiene molti beni non necessari per le operazioni. Poiché l’acquirente probabilmente non sarà interessato ad acquistarli, è opportuno ammortizzarli su più anni per limitare l’impatto fiscale. Inoltre, in caso di cambio di forma giuridica (ad esempio da ditta individuale a società a responsabilità limitata), è previsto un periodo di blocco di cinque anni prima di poter realizzare una plusvalenza esente da imposte.

Come garantire il successo del trasferimento? È consigliabile rivolgersi a degli esperti?

Il trasferimento dell’azienda è un’operazione complessa che tocca diversi ambiti, tra cui quello finanziario (valutazione dell’azienda e finanziamento), giuridico (redazione dei contratti) e fiscale (tassazione dell’imprenditore e dell’azienda). Si consiglia vivamente di avvalersi dei servizi di un esperto in materia di trasferimento d’azienda, che sarà in grado di fornire una consulenza personalizzata durante l’intero processo. Se necessario, può anche aiutarvi a trovare un acquirente. Inoltre, l’esperto vi permetterà di dedicare meno tempo alla vendita dell’azienda, in modo da potervi concentrare il più possibile sulla gestione dell’impresa. Sarebbe un peccato se i risultati dell’azienda diminuissero durante la fase di trasferimento perché l’imprenditore non può più dedicarvi abbastanza tempo.


Fonte: CVCI, Demain, agosto/settembre 2024. Traduzione ed adattamento: Cc-Ti.

AVS 21: nessuna nuova votazione

Il Tribunale federale ha deciso oggi che l’errore di calcolo delle previsioni AVS non porterà a una nuova votazione sulla riforma AVS 21

I datori di lavoro accolgono con favore questa decisione: l’annullamento della votazione avrebbe comportato un carico di lavoro sproporzionato e avrebbe sollevato molte domande sul resto della procedura.

L’errore nel calcolo delle previsioni AVS dell’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) non porta ad una nuova votazione sulla riforma AVS 21: oggi il Tribunale federale ha respinto un ricorso in tal senso. Pertanto, le modifiche già in vigore o previste vengono mantenute.

I datori di lavoro accolgono con favore questa decisione perché consente di mantenere importanti misure di stabilizzazione dell’AVS. Inoltre, è giusto, in termini di uguaglianza e di aspettativa di vita, che donne e uomini abbiano la stessa età ufficiale di riferimento. Inoltre, ciò fa risparmiare molti sforzi e problemi sia all’amministrazione che alla popolazione – per quanto riguarda la riforma AVS 21, ma anche voti futuri e previsioni calcolate a monte.

L’annullamento del voto avrebbe reso obsoleta la base giuridica per l’aumento dell’IVA in vigore dal 1° gennaio 2024. Non si sa cosa sarebbe successo alle entrate aggiuntive già generate.

Per i datori di lavoro è chiaro che, data la forte pressione finanziaria che continua a gravare sulle finanze dell’AVS, è necessario adottare altre misure strutturali.

Si aspetta dal Consiglio federale una soluzione praticabile nel quadro della riforma AVS 2026, che prevede un aumento realistico dell’età di riferimento in base alla speranza di vita.


Fonte: Union patronale suisse, dicembre 2024

Riduzione delle vacanze e incapacità lavorativa parziale

Scheda redatta dall’Avv. Michele Rossi, Delegato alle relazioni esterne Cc-Ti.

Le vacanze sono un diritto dei dipendenti. Lo dice la legge. E questo diritto viene maturato sulla base del tempo passato al servizio dell’azienda per cui si lavora. Infatti, per un anno incompleto di lavoro, le vacanze sono date proporzionalmente alla durata del rapporto di lavoro nell’anno considerato. Fino a qui tutto chiaro. Ma cosa succede se il dipendente non lavora a causa, ad esempio, di una malattia? Nonostante l’assenza, continua a maturare i suoi giorni di vacanza per l’anno considerato?

Su questo punto il Codice delle obbligazioni prevede, a determinate condizioni, la possibilità di ridurre il diritto alle vacanze. Nel caso in cui l’impedimento al lavoro è causato da motivi inerenti alla persona del lavoratore, come malattia, infortunio, adempimento d’un obbligo legale, esercizio d’una funzione pubblica o congedo giovanile, senza che vi sia colpa da parte sua, il datore di lavoro non ha diritto di ridurre la durata delle vacanze se l’impedimento non dura complessivamente più d’un mese nel corso d’un anno di lavoro. E la riduzione scatta comunque solo dopo un successivo mese completo di assenza.

Se invece l’assenza è imputabile ad una colpa del dipendente la riduzione può scattare già dopo il primo mese completo di assenza. La situazione si complica se il dipendente è incapace al lavoro solo parzialmente, al 50% ad esempio.
Come si procede in simili situazioni?

In questi casi il periodo di attesa si calcola allungandolo proporzionalmente al grado di incapacità lavorativa. Ciò significa che per avere un mese completo di assenza bisognerà attendere  due mesi, essendo la persona presente al lavoro per la metà del suo tempo. E di conseguenza il diritto alle vacanze potrà essere ridotto solo dal terzo mese completo di assenza dal posto di lavoro.

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Adeguamento della legge sul salario minimo cantonale

Introduzione della nuova forchetta salariale

Lunedì 18 novembre 2024 il Gran Consiglio ha approvato l’introduzione dell’ultima forchetta salariale prevista dalla legge sul salario minimo cantonale.
A partire dal 1° dicembre 2024, i salari orari minimi lordi dovranno essere compresi nella forchetta salariale CHF 20.00 – 20.50.
Il decreto esecutivo che sarà pubblicato nel Bollettino ufficiale cantonale del 22 novembre 2024 precisa i salari minimi per settore economico.
 
A partire dal 1. gennaio 2026 i salari minimi cantonali saranno adeguati al rincaro, prendendo in considerazione la differenza dell’indice nazionale dei prezzi al consumo fra il mese di novembre 2024 e il mese di novembre 2025. 
 
Restando a disposizione, vi preghiamo di prendere nota dei nuovi salari minimi cantonali, la cui decisione parlamentare è giunta purtroppo solo a pochi giorni dalla loro introduzione, anche se già durante l’ultima nostra comunicazione avevamo informato le aziende sulla prospettiva salariale che è poi stata approvata negli scorsi giorni dal Parlamento cantonale. 
 
Restiamo volentieri a disposizione per un supporto dedicato.


Info generali: https://www4.ti.ch/dfe/de/usml/salariominimo/salario-minimo-cantonale