Nuovo assetto per l’Ufficio della migrazione

Riorganizzazione dell’Ufficio della migrazione

Gentili signore, egregi signori,

Cari Soci,

Lo scorso mercoledì il Consiglio di Stato ha confermato che la preannunciata riorganizzazione dell’Ufficio cantonale della migrazione verrà attuata in due tappe, la prima che riguarderà unicamente i permessi per i lavoratori frontalieri dipendenti, e la seconda che riguarderà gli altri tipi di permessi. Alleghiamo alla presente comunicazione lo schema riassuntivo del nuovo flusso.

19 giugno 2017 – Avvio della fase intermedia, con introduzione della procedura guidata per i permessi G (che prevede la verifica del documento d’identità dei richiedenti da parte dei servizi della Polizia cantonale presso gli sportelli di Chiasso, Mendrisio, Noranco, Caslano, Camorino e Locarno, dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle 11.30 e dalle 14.00 alle 16.30, – festivi infrasettimanali esclusi) e la chiusura del Servizio regionale degli stranieri di Agno.

4 dicembre 2017 – Assetto definitivo con l’estensione della procedura guidata a tutte le richieste di un permesso per stranieri, chiusura degli sportelli di tutti i Servizi regionali e costituzione del Servizio “nuove entrate” a Lugano, incaricato di esaminare le domande di nuovi permessi di dimora 8, L e G con attività indipendente.

Vi terremo informati sui futuri sviluppi.

Strategia energetica 2050: alcuni buoni principi ma globalmente non convincenti

La revisione della legge federale sull’energia in votazione popolare il 21 maggio rappresenta un dossier estremamente complesso e che dovrebbe essere sviluppato in più tappe. Le opinioni nel mondo politico sono abbastanza definite, mentre nel contesto economico divergono in maniera anche abbastanza netta.

Gli obiettivi generali sono sostanzialmente condivisi. La strategia di abbandono dell’energia nucleare decisa dal Consiglio federale nel 2011 è ormai una realtà, almeno per quanto riguarda gli impianti “tradizionali” come quelli che conosciamo. Anche lo scopo generale di ridurre la dipendenza dalle energie fossili come petrolio e gas, favorendo la riduzione del consumo generale di energia e sviluppando le energie rinnovabili, può essere condivisa nel suo principio.

Incentivi finanziari e nuove prescrizioni

Per raggiungere tali scopi sono ovviamente necessari incentivi finanziari e nuove prescrizioni destinate a migliorare l’efficienza energetica.
Questo è uno dei primi nodi del progetto e una difficoltà importante per chi rappresenta l’economia, visto che talune aziende beneficeranno di questa prevista manna di incentivi finanziari, mentre altre temono, non senza ragioni, difficoltà di approvvigionamento per tutto il paese e un eccessivo aumento del costo dell’energia elettrica. Un aumento che indubbiamente si verificherebbe, al di là delle molte cifre menzionate durante la campagna di votazione, visto che comunque si passerebbe da 1,5 a 2,3 centesimi per Kwh. L’aumento in quanto tale sarebbe digeribile, ma essendo finalizzato soprattutto a finanziare le cosiddette energie rinnovabili, suscita qualche legittimo dubbio quanto alla reale utilità dell’obolo richiesto. Non perché le energie rinnovabili non siano degne di attenzione, anzi! Ma se pensiamo ad esempio alle fortissime opposizioni che riscontrano praticamente tutti i progetti di energia eolica che si sta cercando di ipotizzare, è più che legittimo il dubbio che uno dei tasselli considerato fondamentale per l’approvvigionamento con energie rinnovabili difficilmente potrà avere lo sviluppo sperato in tempi rapidi e atti a compensare i “buchi” lasciati dal progressivo abbandono del nucleare.

Certo, si potrebbe sempre ricorrere a una maggiore importazione di energia dall’estero per coprire tali buchi, ma questo è un po’ paradossale se si considera che tale approvvigionamento deriverebbe prevalentemente da impianti che funzionano con energie fossili. E pensare, contemporaneamente al paventato aumento di capacità di produzione delle energie rinnovabili, che sia realistico il pur lodevole scopo di diminuire il consumo generale di energia (circa il 13% per abitante) è abbastanza azzardato. Indubbiamente il progresso tecnologico può aiutare, ma lo stesso progresso porta anche spesso a un incremento della richiesta di energia, tanto è vero che ad esempio un aumento considerevole delle automobili elettriche nel parco veicoli svizzero (metà entro il 2050, tutti entro il 2070 secondo gli esperti del clima) renderebbe necessario un approvvigionamento che corrisponde al doppio della produzione della centrale nucleare di Gösgen. Difficile coprire tale richiesta senza ad esempio centrali a gas, cosa che sarebbe contraria allo spirito stesso della strategia energetica. Anche perché la questione dell’immagazzinamento della produzione di energia derivante da fonti rinnovabili non è a oggi contemplata e il progetto è limitato perché prevede un sostegno troppo limitato all’energia idroelettrica, che meriterebbe un’attenzione almeno equivalente a quella prestata ad altre fonti di energia rinnovabile meno consolidate.

Costi difficili da stabilire

Sui costi circolano molte cifre. Difficile stabilire quali siano veramente attendibili. E questo è un altro limite importante dell’attuale progetto. A parte il già citato aumento da 1,5 a 2,3 centesimi per Kwh, vanno ovviamente aggiunti gli investimenti necessari a migliorare l’efficienza energetica, ridurre il consumo e adattare i canali di distribuzione a una produzione elettrica meno centralizzata. Il rincaro per le aziende soprattutto industriali rischia di essere quindi più corposo del previsto. Confidare sullo sviluppo tecnologico è certamente buona cosa, ma non permette di fare previsioni precise a lungo termine, anche per la scarsa prevedibilità della direzione presa da tale sviluppo. Nessuno a oggi può ad esempio escludere tecnologie che rendano nuovamente interessante e praticabile il nucleare.

Malgrado si riconoscano le difficoltà di trovare soluzioni condivise, il progetto attuale deve essere rifiutato con un NO alle urne il prossimo 21 maggio.

Come detto in precedenza, non si tratta di tornare sulla decisione di abbandono del nucleare del 2011 né di rimettere in questione il principio degli obiettivi fondamentali della revisione. Sono però preponderanti i dubbi quanto all’effettiva possibilità di realizzazione di tali obiettivi, fondati più su supposizioni che su dati concreti. Vari elementi del dossier in votazione possono quindi senz’altro essere mantenuti, ma vanno inseriti in un progetto meno dirigista e burocratico, che resti sufficientemente aperto per adattare le esigenze alla realtà del mercato e all’evoluzione tecnologica. Quanto sottoposto in votazione non dà garanzie sufficienti in questo senso. Occorre evitare un salto nel buio che sarebbe un’immagine un po’ paradossale per un progetto che vuole garantire l’efficienza energetica.

Discorso del Presidente Martinetti – Assemblea CATEF

Discorso pronunciato da Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti, in occasione dell’assemblea CATEF del 12.5.2017

Fa stato il discorso pronunciato oralmente

 

Carissimo Presidente, cari delegati della CATEF,

 Cari ospiti,

sono molto felice di poter intervenire in occasione dei vostri odierni lavori assembleari, per sottolineare quanto la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino (Cc-Ti) sia attenta alle problematiche e alle necessità delle associazioni ad essa legate.

La CATEF, organizzazione ormai storica nel panorama associativo ticinese, è formalmente membro della Cc-Ti solo da qualche anno, ma la fruttuosa collaborazione ha radici lontane e molto profonde, grazie soprattutto al vostro attivissimo presidente Gianluigi Piazzini, inimitabile tessitore di relazioni e appassionato lettore ed interprete di messaggi governativi e atti parlamentari. Come non ricordare l’orami celeberrima frase del vostro presidente concernente l’aumento dei valori di stima: “Ci aspettavamo una spuntatina e ci avete fatto un taglio alla marines”. Impareggiabile!

Non è certo necessaria la mia sottolineatura per ribadire l’importanza del settore immobiliare, colonna portante della nostra economia e ciò nonostante regolarmente messo sotto pressione, soprattutto dal lato fiscale.

Paragonabile un po’ alla situazione degli automobilisti, regolarmente tartassati, forse per creare una sorta di “par condicio” fra beni tipicamente immobili e quelli per definizione mobili, come le auto.

Ma, esattamente come è anche lo stile della Cc-Ti, tengo a sottolineare come la vostra associazione abbia sempre dimostrato grande maturità e senso di responsabilità, esercitando si il diritto di critica ma senza lamentele piagnucolose né critiche scomposte, ma sempre con dati alla mano.

Approccio costruttivo forse figlio di tempi passati ma che mai come oggi dovrebbero essere attuali, nel contesto oramai cacofonico del “dagli al ricco” e quindi chiaramente compreso il proprietario immobiliare.

Numerose sono state le iniziative in questo senso combattute assieme alla vostra associazione negli anni scorsi. Una per tutte è stata la lotta condotta praticamente da soli a sostegno del referendum contro la revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale (LPT). Ricordo alcune affermazioni del direttore della Cc-Ti Luca Albertoni nel contesto della campagna di votazione, coordinata con la CATEF e cito:

“La messa in pratica di questo nuovo sistema porterebbe con sé un importante peso burocratico, la proprietà privata verrebbe inoltre notevolmente intaccata a causa dell’imposizione dell’utilizzo del terreno edificabile, pena il depennamento dello status di zone edificabili dai terreni. Elementi particolarmente pericolosi e anche un po’ liberticidi, dal momento che toccano profondamente la proprietà privata. Non da ultimo vi è anche il problema dell’autonomia cantonale: un buon numero di competenze verrebbe infatti trasferito a livello federale”.

Mi scuso per questo excursus auto-referenziale della Cc-Ti, ma era importante sottolinearlo quale esempio di lavoro comune fra la Camera (associazione-mantello dell’economia cantonale) e rappresentanti settoriali, tanto più che i fatti ci hanno dato poi ragione perché è proprio questo che è avvenuto e sta avvenendo. Purtroppo il responso delle urne del 3 marzo 2013 ci è stato chiaramente sfavorevole.  Ma ciò non significa che occorre abbassare le braccia: ci attende in questi giorni la consultazione sulla revisione delle norme cantonali e sarà nostro compito comune vegliare a un’applicazione proporzionata e rispettosa dei diritti costituzionali. Anche perché incombono altre iniziative molto preoccupanti, volte a bloccare le possibilità edificatorie in maniera eccessiva e spesso in nome di una volontà punitiva nei confronti dell’economia. Sia chiaro, il territorio va rispettato e la stragrande maggioranza degli operatori economici si impegna in questo senso, anche perché gli imprenditori respirano esattamente la stessa aria e vivono sullo stesso lembo di terra degli altri cittadini!

Il lavoro comune, non solo fra Cc-Ti e CATEF, ma anche con tutte le altre associazioni è già eccellente ma va ulteriormente rafforzato, perché è la sola via per garantire una difesa efficace degli interessi economici generali e di quelli settoriali.

Del resto, la ripartizione dei compiti è chiara: le associazioni di categoria o settoriali si occupano delle questioni appunto di categoria, mentre la Cc-Ti, quale associazione-mantello, si preoccupa delle questioni di politica economica generale. La Cc-Ti si attiva su problematiche settoriali solo se esplicitamente richiesto dagli stessi settori. Funzionamento semplice, che ha dimostrato di essere molto efficace.

La Cc-Ti è quindi anche un’importante cassa di risonanza per le tante eccellenti iniziative delle associazioni a essa legate e con questo sistema evita di invadere il campo degli specialisti settoriali, scongiurando quindi il pericolo di commettere delitti di lesa maestà che, si sa, nel nostro cantone sono considerati particolarmente gravi.

La mia presenza fra di voi questa sera è pertanto anche e soprattutto finalizzata a darvi un quadro generale della situazione dell’economia ticinese, presentata in maniera a volte bizzarra nella discussione pubblica. E per bizzarro intendo ovviamente le molte indicazioni di segno negativo, con le insistenti sottolineature di abusi veri o presunti, omettendo scientemente di menzionare anche i molti aspetti positivi della nostra realtà economica. Certo, in un contesto che considera automaticamente falsati i dati ritenuti scomodi perché non funzionali alla dimostrazione di talune tesi politiche, non è che ci si possa aspettare molto di più. Ma tant’è, questa è la realtà odierna.

Non posso però esimermi dal sottolineare con forza che l’economia ticinese ormai da anni segue l’andamento medio di quella elvetica, cosa inimmaginabile fino a una ventina d’anni fa.

L’esplosione del settore delle esportazioni ha contribuito in maniera decisiva alla diversificazione del nostro tessuto economico, che si è trovato a essere più robusto di altri alle grandi crisi. Se pensiamo che in meno di un decennio vi sono state tre grandi scossoni (2008 con la crisi finanziaria e due crisi legate al franco nel 2011 e nel 2015) e che non vi sono stati massicci interventi sul personale da parte delle nostre aziende, questo significa molto. A differenza ad esempio di quanto avvenuto nel bacino Neuchâtel-Giura o nella Svizzera orientale, dove dal 2015 sono andate perse migliaia di posti di lavoro, a causa di una certa struttura economica monotematica (non è una critica, ma un fatto). Immaginate cosa sarebbe successo se vi fossero state conseguenze anche solo lontanamente paragonabili in Ticino. E quando parlo di posti andati persi nelle regioni menzionate non parlo di statistiche della Seco sulla disoccupazione, considerate da taluni fasulle, ma di cifre comunicate direttamente dalle aziende su quanto hanno dovuto cancellare in termini di occupazione.

Con questo non voglio certo dire che siamo esenti da problemi. Come tutte le regioni svizzere, alcuni rami economici soffrono di più, all’interno di alcuni settori c’è chi va bene e c’è chi va male, tratto caratteristico anche di un’economia in costante e rapidissima evoluzione.

E’ chiaro che quando ci si concentra prevalentemente sul negativo, un mega-tema come ad esempio quello della digitalizzazione non può non preoccupare, perché la tendenza è di vedere solo i rischi e non gli effetti positivi che potrebbero esserci.

Capisco che quello che è diverso rispetto alle precedenti rivoluzioni industriali è soprattutto la velocità del cambiamento, che chiama in causa tutti, dagli operatori economici, alla politica, ai cittadini. Basti pensare alla formazione, messa sotto pressione da molte incognite portate da un mercato del lavoro sempre più esigente e anche diversificato. Ci troviamo infatti in un periodo storico di ricerca di equilibrio fra l’acquisizione di un vasto bagaglio di conoscenze generali e un intenso lavoro di apprendimento di quelle specialistiche.

Il mercato chiede un po’ tutto: da solide conoscenze di base che permettono una flessibilità di adattamento a situazioni sempre più mutevoli, a conoscenze specialistiche approfondite, ma nemmeno troppo approfondite, per evitare esclusioni dal mondo del lavoro nel caso di trasformazione profonda o addirittura di sparizione di determinate professioni.

Perché questa è la realtà oggi. Tanto sono veloci le cancellazioni di talune professioni, altrettanto veloce è la creazione di nuove. Purtroppo nei media si parla quasi solo dei primi, dando l’impressione che la tanto temuta trasformazione digitale sarà solo uno strumento di cancellazione dei posti di lavoro.

Ignorando che, in determinate circostanze, a qualche centinaio di posti di lavoro soppresso fa da contraltare qualche migliaio di posti creati in funzioni diverse. Un punto principale della sfida risiede proprio qui, cioè nel gestire la transizione verso nuovi lidi di chi fa più fatica, per età o formazione. Cioè evitare che troppe persone “si perdano per strada”, realtà e preoccupazione di ogni rivoluzione industriale. Rivoluzioni industriali che, detto per inciso, hanno storicamente sempre portato a progresso e sviluppo nel medio e lungo termine. E’ nel breve che dobbiamo lavorare per evitare che vi siano troppe conseguenze negative.

La rapidità del cambiamento tocca ovviamente in primis le aziende. Un solo dato: Swisscom realizza oltre il 70% della propria cifra d’affari con prodotti che dieci anni fa non esistevano. Sono dati che non possono lasciare indifferenti, a cavallo tra timori e grandi possibilità di sviluppo.

Ho appreso qualche giorno fa che nella sola Svizzera tedesca sono nate una trentina di nuove professioni negli ultimi due anni, tutte legate ad ambiti tecnici e inimmaginabili fino anche solo a cinque anni fa. Nel Cantone TI si possono apprendere oltre 690 professioni.

Le potenzialità sono quindi enormi e il mondo economico svizzero e ticinese sembra esserne fortunatamente cosciente. Nell’ultima inchiesta congiunturale svolta dalla Cc-Ti qualche mese fa presso i nostri associati, oltre la metà delle aziende interpellate ha affermato che sta affrontando in maniera attiva e consapevole la trasformazione digitale.

Un dato importante perché la digitalizzazione ha effetti considerevoli sui modelli di business, che vanno costantemente aggiornati, sia per quanto concerne i prodotti, ma anche per i processi, l’organizzazione interna, la prospezione di mercati, ecc. Altro fatto rilevante, è che l’80% delle aziende ha segnalato che non vi saranno conseguenze sul personale, o perché già preparato o perché si sta preparando. Segnale importantissimo di stabilità, checché ne dicano i tanti politici lontanissimi dalle realtà aziendali.

Qui sta uno dei punti più delicati della situazione politica attuale: la scarsa conoscenza del mondo aziendale e delle sue dinamiche. Non si può né si deve negare che vi siano problemi legati a una concorrenza sempre più agguerrita e non sempre leale. Dumping, lavoro nero, abusi di vario genere, commessi soprattutto in nome di mentalità “imprenditoriali” lontane da quella elvetica, sono fenomeni da affrontare con la massima serietà e severità ed è giusto sanzionarli senza riserve né eccezioni. Ma non a costo di distruggere tutto il sistema elvetico che ha dimostrato di funzionare molto meglio di tanti altri. Regole sì, statalismo sfrenato no. Adattamento moderato, senza stravolgimenti epocali, perché la struttura liberale della nostra legislazione e il federalismo sono valori che ci hanno permesso di crescere e molto!

Ma è un dato di fatto che oggi è difficile contrastare questa ondata di richieste di regole coercitive e sempre più invadenti. Un’attività come la vostra è fondamentale nell’ottica della valorizzazione di quanto di positivo avviene sul territorio. Il valore di ogni singolo settore economico per il benessere comune è un messaggio che purtroppo passa ancora troppo poco. La Cc-Ti sta facendo importanti sforzi in questo senso, per dare spazio anche mediatico a chi, magari lontano dalle luci della ribalta, lavora con impegno e dedizione in un contesto tutt’altro che facile, contribuendo a generare quella ricchezza che sempre meno persone sembrano preoccupati di creare ma che sempre più sono pronti a ridistribuire a piene mani. La mia esortazione è che il dinamismo, la flessibilità e l’apertura dell’economia possano essere maggiormente veicolate verso l’esterno, cioè verso la politica e la popolazione. Il nostro compito principale oggi è di veicolare importanti messaggi positivi verso l’opinione pubblica. Anche perché raccontiamo realtà e non storielle inventate ad arte. Le aziende ticinesi non sono una specie di associazione a delinquere preoccupata solo di fare profitti grazie a prezzi esorbitanti e ingiustificati, ma sono entità che prendono cura del territorio e che garantiscono un’eccellente qualità.

Ribadisco quindi quanto sia importante la compattezza del mondo economico, confrontato con cambiamenti epocali, di rapidità inedita. La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, è sempre in prima linea per cercare di trovare gli equilibri necessari, anche fra settori e rami economici diversi. Non si può infatti nascondere che gli interessi di chi opera prevalentemente sul mercato interno siano spesso divergenti da chi opera sui mercati internazionali. Il legittimo bisogno di protezione dalla concorrenza sleale si scontra con la richiesta di sempre meno ostacoli, elemento essenziali per l’industria dell’esportazione.

Conciliare queste esigenze non è facilissimo, ma è fattibile, come dimostra la nostra attività quotidiana. Inflessibile severità contro chi viola le regole (penso a padroncini e distaccati), ma lotta instancabile contro l’introduzione di eccessive regole che chiudono il nostro paese in un inutile protezionismo, penalizzando in primis le aziende esportatrici ma in ultima analisi tutta l’economia.

E’ quindi necessario stare molto attenti al rispetto del principio della legalità elemento fondante del nostro Stato e che non può essere sacrificato a cuor leggero in nome di princìpi anche ampiamente condivisi ma di difficile applicazione pratica. Ogni riferimento a “Prima i nostri” e alla famosa o famigerata LIA è voluto. Idee lodevoli e che sul principio ci trovano molto aperti, ma che per un’applicazione pratica effettiva a favore delle nostre aziende e della popolazione ticinese richiedono equilibrio, attenzione, capacità di lavorare sulle sfumature, per evitare effetti contrari a quelli voluti.

Qualità, quelle appena citate, che purtroppo oggi nella discussione pubblica sembrano mancare totalmente e se l’economia non è capace di far valere in modo compatto la libertà economica e imprenditoriale, vi sarà sempre più spazio per “soluzioni” apparentemente facili e popolari, ma in realtà inutili e perfino dannose.

In conclusione voglio dirvi che per la libertà economica e imprenditoriale continueremo a combattere, sempre lealmente come è nel nostro stile, ma senza concessioni. Perché ne va del nostro sistema, che abbiamo costruito con fatica e che dà risultati eccellenti. Lo scimmiottare esempi di paesi a noi anche vicini, soffocati dalla burocrazia e da regole mostruose, non può essere un obiettivo condiviso in nome di una pseudo-protezione.

Grazie dell’invito e buon lavoro a tutti.

 

Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

In occasione dell’Assemblea CATEF, Camera ticinese dell’economia fondiaria, il Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti ha tenuto il seguente discorso, scaricabile qui in formato PDF.

Discorso del Presidente Martinetti – Assemblea FPCE

Discorso pronunciato da Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti, in occasione dell’assemblea FPCE del 2.5.2017

Fa stato il discorso pronunciato oralmente


Caro presidente, cari membri della FPCE,

sono onorato di poter partecipare ai vostri lavori a testimonianza dell’eccellente rapporto esistente fra la vostra associazione e tutto quanto ruota attorno alla vostra professione e la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino. Il settore degli impianti elettrici (in senso largo) ha una lunga tradizione di collaborazione con la Cc-Ti, con l’AIET in primis, socio storico con uno dei segretariati più importanti per la nostra struttura. Attraverso il rapporto con la FPCE, che data di tempi più recenti, il tutto si è ulteriormente intensificato, anche perché la formazione costituisce un elemento strategico fondamentale per le aziende avantutto, ma pure per la Cc-Ti che da tempo ne ha fatto un cavallo di battaglia per le innumerevoli battaglie politiche che stiamo conducendo a tutela dell’economia ticinese.

Certo, parlare di formazione davanti a questa platea qualificata, potrebbe essere considerato un po’ strano, visto che gli esperti siete voi. E di fronte alla varietà di corsi proposti dalla vostra associazione, non avete certo bisogno di indicazioni particolari né sul valore della formazione in quanto tale, né sui contenuti da darle per cavalcare le molte e rapide evoluzioni del mercato. Mi limito pertanto a sottolineare quanto sia importante in generale tutto l’ambito dell’apprendimento delle conoscenze, dalla formazione scolastica a quella professionale fino al perfezionamento e all’aggiornamento costante. E’ una sfida non da poco per tutti, se pensiamo alla velocità dei cambiamenti che pongono problemi non da poco già a partire dalla scuola media. Trovare un equilibrio fra un vasto bagaglio di conoscenze generali e quelle specialistiche è ormai il tema dominante della discussione. Il mercato, con le sue sempre più repentine evoluzioni, chiede un po’ tutto. Solide conoscenze di base che permettono una flessibilità di adattamento a situazioni sempre più mutevoli. Conoscenze specialistiche approfondite, ma nemmeno troppo, per evitare esclusioni dal mondo del lavoro nel caso di trasformazione profonda o addirittura di sparizione di determinate professioni. Perché è questa la realtà oggi. Tanto sono veloci le cancellazioni di talune professioni, altrettanto veloce è la creazione di nuove specialità. Purtroppo nei media si parla solo dei primi, dando l’impressione che la tanto temuta trasformazione digitale sarà solo uno strumento di cancellazione dei posti di lavoro. Ignorando che, in determinate circostanze, a qualche centinaio di posti di lavoro soppresso fa da contraltare qualche migliaio di posti creati in funzioni diverse. Un punto principale della sfida risiede proprio qui, cioè nel gestire la transizione verso nuovi lidi di chi fa più fatica, per età e/o formazione. Cioè evitare che troppe persone “si perdano per strada”, realtà e preoccupazione di ogni rivoluzione industriale. Rivoluzioni industriali che, detto per inciso, hanno storicamente sempre portato a progresso e sviluppo nel medio e lungo termine. E’ nel breve che dobbiamo lavorare per evitare che vi siano troppe conseguenze negative.

Impressiona pensare che talune aziende (Swisscom per non fare nomi) realizzi oltre il 70% della propria cifra d’affari con prodotti che dieci anni fa non esistevano. Sono dati che non possono lasciare indifferenti, a cavallo tra timori e grandi possibilità di sviluppo. Leggevo qualche giorno fa che nella sola Svizzera tedesca sono nate una trentina di nuove professioni negli ultimi due anni, tutte legate ad ambiti tecnici. Le potenzialità sono quindi enormi e il mondo economico sembra esserne fortunatamente cosciente. Nell’ultima inchiesta congiunturale svolta dalla Cc-Ti qualche mese fa, oltre la metà delle aziende interpellate ha affermato che sta affrontando in maniera attiva e consapevole la trasformazione digitale. Non sono cifre da poco, anche nel contesto svizzero. Senza dimenticare poi che l’80% delle aziende ha segnalato che non vi saranno conseguenze sul personale, o perché già preparato o perché si sta preparando. Altro segnale importantissimo di stabilità, checché ne dicano i tanti politici che l’interno di un’azienda non l’hanno mai visto, figuriamoci se ne capiscono il funzionamento.

Qui sta uno dei punti più delicati della situazione politica attuale. La scarsa conoscenza del mondo aziendale e delle sue dinamiche. Non si può né si deve negare che vi siano problemi legati a una concorrenza sempre più agguerrita e non sempre leale e la vostra professione li conosce bene. Dumping, lavoro nero, ecc. sono fenomeni che non vanno trascurati ed è giusto sanzionarli senza riserve né eccezioni. Ma non a costo di distruggere tutto il sistema elvetico che ha dimostrato di funzionare molto meglio degli altri che ci circondano. Regole sì, statalismo sfrenato no.

Ma oggi è difficile contrastare questa ondata di richieste di regole coercitive e sempre più invadenti.

Un’attività come la vostra è fondamentale nell’ottica della valorizzazione di quanto di positivo avviene sul territorio. Per la qualità e la varietà dell’offerta formativa, che dimostra come le aziende ticinesi, ben oltre il singolo settore, abbiano a cuore il capitale umano. Questo messaggio purtroppo passa ancora troppo poco. Come Cc-Ti stiamo facendo importanti sforzi in questo senso, per dare spazio anche mediatico alla stragrande maggioranza di imprese ticinesi che lavora con impegno e dedizione in un contesto tutt’altro che facile. Non è sempre facile, anche perché ai media le notizie positive non interessano granché e si fatica ad avere continuità sulle cose positive in un panorama che sembra crogiolarsi con piacere in sterili polemiche o in fatti di cronaca nera che tanto stimolano la curiosità della massa. Basti pensare che un’azienda che assume dieci persone passa inosservata, mentre quella che ne licenzia dieci finisce in prima pagina ovunque, Se poi in ballo vi sono dei frontalieri…

E’ pertanto assolutamente necessario che le associazioni continuino a lavorare insieme con convinzione. La ripartizione dei ruoli è chiara: le associazioni di categoria o settoriali si occupano delle questioni appunto di categoria o di settore, mentre la Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, si preoccupa delle questioni di politica economica generale. La Cc-Ti si attiva su problematiche settoriali solo se esplicitamente richiesto dagli esperti di specifici ambiti economici. Funzionamento semplice, che ha dimostrato di essere molto efficace. La Cc-Ti è quindi anche un’importante cassa di risonanza per le tante eccellenti iniziative delle associazioni a essa legate e la FPCE rappresenta un esempio di grande qualità in questo senso. Le trasformazioni della professione nell’ambito degli impianti elettrici (termine ormai quasi riduttivo) sono state enormi negli ultimi anni, ma le aziende ticinesi sono rimaste competitive. E la lista dei corsi che la FPCE offre è significativa di questa evoluzione, tanto è variegata. Al di là degli esami professionali, spaziando dai corsi prettamente tecnici a quelli sulla domotica e sul multimedia, passando per quelli più gestionali, è evidente quanto la o le professioni nel campo degli impianti elettrici siano al passo con i tempi. La sfida della trasformazione digitale per il vostro settore sembra ormai uno scherzo, tanto è variegato il campo delle vostre attività. La mia esortazione è che questo dinamismo, questa flessibilità, questa apertura possano essere maggiormente veicolate verso l’esterno, cioè verso la politica e la popolazione.

Vero che anche agli addetti ai lavori ogni tanto fa bene conoscere meglio cosa capita in altri settori, ma oggi il nostro compito principale è di veicolare importanti messaggi positivi verso l’opinione pubblica. Avantutto per la dignità della professione e per promuoverla ai fini del reclutamento di nuove leve, ma anche per far capire che le aziende ticinesi non sono una specie di associazione a delinquere preoccupata solo di fare profitti grazie a prezzi esorbitanti e ingiustificati, ma sono entità che prendono cura del territorio e che garantiscono un’eccellente qualità. Il resto sono chiacchiere e la Cc-Ti è sempre a vostra disposizione per darvi una mano, per qualsiasi esigenza. Non a caso sta nascendo un progetto comune in ambito formativo per i principi della gestione aziendale. Sono molto riconoscente di poter contare su di voi.

Mai come in questi anni è infatti importante la compattezza del mondo economico, confrontato con cambiamenti epocali, di rapidità inedita. La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, è sempre in prima linea per cercare di trovare gli equilibri necessari, anche fra settori e rami economici. Non si può infatti nascondere che gli interessi di chi opera prevalentemente sul mercato interno siano spesso, almeno in parte, divergenti da quelli di chi opera sui mercati internazionali. Il legittimo bisogno di protezione dalla concorrenza sleale si scontra con la richiesta di sempre meno ostacoli, elemento essenziali per l’industria dell’esportazione. Conciliare queste esigenze non è facilissimo, ma è fattibile, come dimostra la nostra attività quotidiana. Inflessibile severità contro chi viola le regole (v. padroncini e distaccati), ma lotta instancabile contro l’introduzione di eccessive regole che chiudono il nostro paese in un inutile protezionismo, penalizzando in primis le aziende esportatrici ma in ultima analisi tutta l’economia. E’ quindi necessario stare molto attenti al rispetto del principio della legalità ad esempio, elemento fondante del nostro Stato e che non può essere sacrificato a cuor leggero in nome di princìpi anche ampiamente condivisi ma di difficile applicazione pratica. Ogni riferimento a “Prima i nostri” e alla famosa (o famigerata) LIA è voluto. Idee lodevoli e che sul principio ci trovano molto aperti, ma che per un’applicazione pratica effettiva a favore delle nostre aziende e della popolazione ticinese richiedono equilibrio, attenzione, capacità di lavorare sulle sfumature, per evitare effetti contrari a quelli voluti. Anche qui il riferimento alla LIA non è casuale. Qualità, quelle appena citate, che purtroppo oggi al mondo politico sembrano mancare totalmente e, se l’economia non è capace di far valere in modo compatto la libertà economica e imprenditoriale, vi sarà sempre più spazio per “soluzioni” apparentemente facili e popolari, ma in realtà inutili e perfino dannose.

Per la libertà economica e imprenditoriale continueremo a combattere, sempre lealmente come è nel nostro stile, ma senza concessioni. Perché ne va del nostro sistema, che abbiamo costruito con fatica e che dà risultati eccellenti. Lo scimmiottare esempi di paesi a noi anche vicini, soffocati dalla burocrazia e da regole mostruose, non può essere un obiettivo condiviso in nome di una pseudo-protezione.

Grazie dell’invito e buon lavoro a tutti.

 

Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

In occasione dell‘assemblea FPCE, l’associazione della formazione professionale continua nel ramo elettrico, il Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti ha tenuto il seguente discorso, scaricabile qui in formato PDF.

La Cc-Ti compie cent’anni

La Cc-Ti compie 100 anni e per celebrare questo importante traguardo vuole portare l’attenzione su diversi temi importanti non solo per l’economia. Oggi scopriamo qualche elemento della sua storia e la funzione attuale. Già sono stati riassunti gli elementi principali che hanno portato alla creazione di una Camera di commercio e dell’industria cantonale.

Dopo i difficili anni della seconda guerra mondiale, parallelamente allo sviluppo economico del Ticino anche la Cc-Ti si è ampliata e trasformata, sia dal punto di vista numerico che nella sua funzione. Da organo prevalentemente composto da commercianti e industriali, sempre più è stata identificata come punto di riferimento per le questioni di politica economica generale, quindi complementare alle associazioni di categoria o di settore. Questo spiega l’adesione, che ricordiamo è volontaria trattandosi di un rapporto di natura puramente privato, di molti rami professionali e varie rappresentanze di tutti i settori economici, per giungere alle 44 associazioni oggi aderenti alla Cc-Ti. Senza dimenticare ovviamente i soci individuali, quantificabili in circa 1’000 aziende.

Questa tendenza si è consolidata soprattutto nell’ultimo decennio, dove è emersa ancora più chiaramente la ripartizione dei ruoli: la Cc-ti si occupa di questioni di ordine generale e solo sussidiariamente interviene a sostegno delle singole categorie, se queste ne fanno richiesta. Non è sempre facile capire dove stia il limite fra interessi settoriali e generali, ma questo è un compito anche appassionante, perché permette un confronto regolare su tutte le questioni che preoccupano i nostri molti associati, per definire al meglio quali siano gli interessi da difendere e quale sia la via migliore per farlo. Che il sistema funzioni lo testimonia il fatto che alla Cc-Ti aderiscono 44 associazioni in rappresentanza di tutti i settori dell’economia ticinese. Oltre naturalmente ai soci individuali, tutte aziende ben radicate sul territorio. Rappresentando circa 7’000 aziende e 120’000 posti di lavoro, è chiaro che la Cc-Ti non solo ha a cuore la tutela della libertà economica e imprenditoriale, ma dà il suo contributo costante affinché vi sia la necessaria attenzione verso il territorio da parte degli operatori economici associati.

Cercando di promuovere il partenariato sociale, proponendosi quale interlocutore affidabile delle autorità soprattutto cantonali e federali, affrontando anche i temi più delicati senza pregiudizi ideologici e restando aperta alla ricerca di soluzioni se possibile condivise. È anche per questo che aderire alla Cc-Ti non è automatico ma ogni richiesta viene attentamente valutata, affinché la struttura associativa serva alla tutela di chi effettivamente lo merita. E non è poco.

Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

Per saperne di più:
Il centenario della Cc-Ti:
tutte le attività previste per celebrare il traguardo della nostra associazione

Il protezionismo è una minaccia per la nostra economia

Questo primo scorcio del nuovo Secolo sarà ricordato dagli storici dell’economia come il ventennio del grande paradosso. In un mondo sempre più interconnesso grazie alle grandi reti infrastrutturali che facilitano la produzione di merci e la circolazione di persone, capitali, idee, innovazioni, dati, materie prime e informazioni, i Governi di molti Paesi tendono, invece, a chiudere e proteggere la loro economia, limitando il libero scambio. Solo negli Stati del G20, secondo i dati del Global Trade Allert, dal 2008 al 2016, sono state introdotte oltre 3’500 misure che limitano gli scambi commerciali, che stanno, perciò, registrando una brusca frenata. Dopo 5 anni di crescita, nel 2015 le esportazioni globali sono diminuite del 13,6%.

Ormai è di moda inveire contro la globalizzazione e il libero mercato, ma si dimentica che nell’ultimo mezzo secolo lo sviluppo del commercio internazionale ha strappato centinaia di milioni di persone dalla miseria più nera. Nella sola Cina ben 700 milioni di abitanti si sono lasciati alle spalle la povertà. Ex poveri che cominciano a consumare merci prodotte anche nei Paesi ricchi. Nel 1998 in tutto il pianeta si contavano 2 miliardi di persone sotto la soglia d’indigenza, oggi sono 767 milioni (dati Banca mondiale). Certo, la globalizzazione ha provocato nei singoli Paesi squilibri sociali che richiedono correttivi e aggiustamenti, ma sono sotto gli occhi di tutti gli immensi progressi fatti nelle condizioni di vita e di salute, nell’accessibilità a beni e consumi prima impossibili e nelle libertà di scelta di ognuno di noi.

Nell’epoca del grande paradosso capita persino di vedere il leader di un Paese comunista, il cinese Xi Jinping, che dalla tribuna del WEF difende la globalizzazione e il libero commercio, mentre Donald Trump, neo Presidente USA, la più grande democrazia liberale del mondo, si profila come l’alfiere del neo protezionismo. Il suo “America First” è un concentrato di nazionalismo che molti politici europei hanno eletto a loro modello. E qui il gioco si fa pericoloso. Anche per la Svizzera, la cui forza economica è trainata dalle esportazioni favorite dalla libertà di commercio. Se nei suoi furori protezionistici Trump dovesse davvero applicare quella tassa del 20% sulle importazioni, già ipotizzata per la Germania, anche per il nostro Paese sarebbero guai seri, poiché la catena di creazione del valore delle imprese svizzere si basa essenzialmente sugli scambi internazionali. Oggi la Svizzera esporta negli USA beni per 17 miliardi di franchi in più di quanto importa, sostenuta anche dagli interventi della BNS per mantenere un cambio vantaggioso. Interventi che potrebbero far storcere il naso a Trump, il quale ha, peraltro, già criticato il prezzo dei farmaci importati dalla Svizzera.

Ma il problema immediato per l’economia elvetica non è Trump, bensì l’ondata protezionista che sta montando in tutta e Europa, Svizzera compresa. Restrizioni al commercio e agli scambi, con dazi doganali e altre limitazioni, non significano solo grosse perdite per la nostra industria d’esportazione e per i consumatori che vedranno aumentare i prezzi di molti beni, ma indeboliscono tutto il tessuto produttivo. Perché è con il mercato aperto alla competizione internazionale che tutte le imprese imparano a restare competitive, invece di vivacchiare grazie a barriere protezionistiche e aiuti statali. È dall’apertura dei mercati, e non dalla loro chiusura, che nasce la spinta ad innovare processi e prodotti per conquistare altri spazi di business, a creare nuove imprese. Se il protezionismo può sembrare un vantaggio a breve termine, alla lunga si rivela un veleno per tutta la società. Come hanno dimostrato le disastrose esperienze del 1914 e degli anni Trenta.

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Come si scardina la libertà economica

di Alessio del Grande

Gratta, gratta dietro il populismo trovi l’etno- nazionalismo e il becero protezionismo delle furiose chiusure che finiscono col distruggere quella libertà economica e imprenditoriale che garantisce la crescita e il benessere per tutti.
In Ticino, per fortuna, non si sono ancora costruiti muri al confine con l’Italia, ma nel nome della difesa della manodopera indigena, si è innalzato uno steccato fatto di leggi ad hoc, di ostacoli burocratici e misure restrittive che costituiscono, di fatto, una barriera dissuasiva per i lavoratori d’oltre frontiera, che finirà col soffocare quel mercato del lavoro e quel tessuto produttivo locale che si diceva di voler proteggere.
Il Ticino non è nuovo a queste forme di esasperato regionalismo. Basta ricordare al proposito, le veementi rivendicazioni a Berna, nel 1924 e nel 1938, per la “difesa etnica” del cantone e in anni più recenti, nel 1960, la prima richiesta alla Confederazione di una sorta di statuto speciale per proteggere l’economia locale dalla concorrenza d’oltre Gottardo. Allora le minacce arrivavano dalla Svizzera tedesca e dalla Germania, ora dall’Italia. Ma di veramente nuovo c’è che anni e anni di violente campagne contro i frontalieri e i padroncini, con plateali falsificazioni della realtà diventate però verità, a prescindere, nel senso comune, hanno sedimentato nel corpo sociale una anti italianità che ha segnato una forte regressione culturale. Di inedito c’è un clima di manifesta ostilità verso le imprese colpevoli di assumere i frontalieri che, oltre a generare dumping salariale, intasano anche le strade cantonali.

“Il Ticino non è nuovo a queste forme di esasperato regionalismo.”

Sono gli effetti di un restringimento del pensiero collettivo, stimolato politicamente anche da decine e decine di atti parlamentari, con le più singolari richieste per limitare drasticamente l’arrivo dei lavoratori italiani in Ticino e per scoraggiare le imprese dall’assumerli, su cui si è innestata una deriva istituzionale e legale. Una dinamica perversa con le forze populiste costrette ad alzare sempre di più toni per mantenere la presa emotiva sulla popolazione e gli altri partiti intimiditi e troppo spesso accondiscendenti, che ha finito con lo scardinare sistematicamente l’ordinamento giuridico liberale, cassando diritti individuali e quella libertà economica riconosciuta sin dal 1874 nella Costituzione svizzera. È l’ideologia del “primanostrismo” e delle soluzioni facili che prevale sul sistema legale provocando pericolosi sbandamenti istituzionali. Tassa sui posteggi, albo delle imprese artigiane, certificati penali per i lavoratori d’oltre confine, tanto per ricordare i casi più clamorosi, tutti provvedimenti in funzione anti frontalieri e anti padroncini, ma pubblicamente motivati con nobili intenzioni: la sicurezza pubblica, la tutela del territorio, la difesa delle imprese locali, la cui compatibilità con le leggi federali e gli accordi internazionali si è dimostrata, però, assai labile. Leggi controverse e contestate con numerosi ricorsi, che hanno creato forti tensioni con Berna, l’Italia e, nel caso dell’albo degli artigiani, anche con le associazioni economiche degli altri cantoni, suscitando persino le rimostranze della Commissione federale per la concorrenza. Ottime comunque, secondo la logica della “politica dei segnali”, a vellicare il risentimento popolare, mentre la commissione parlamentare per l’attuazione dell’iniziativa udc “Prima i nostri”, non mancherà certamente di riservare altre sorprese nel mettere dei nuovi paletti alla libertà delle imprese anche nelle assunzioni.

Il libero mercato – dossier tematico

Che il libero mercato sia un elemento imprescindibile per garantire il nostro benessere è stato chiarito a più riprese dalla Cc-Ti. È pertanto innegabile che quella che sembra ormai una diffusa tendenza globale alla chiusura preoccupa non poco, soprattutto per una nazione a forte vocazione di esportazione come la Svizzera.

Per continuare a leggere la posizione Cc-Ti e tanti altri contributi interessanti sul tema del libero mercato, potete scaricare i pdf qui sotto.

Troverete, nell’ordine:

  • Il tema di Ticino Business di aprile: L’economia non cresce all’ombra dei muri ma solo con il libero commercio
  • La posizione della Cc-Ti sul tema: Il libero mercato è un processo in divenire
  • Approfondimenti: L’UE vuole guardare avanti – insieme alla Svizzera
  • Le Opinioni:
    • Patrick Dümmler, Conseguenze positive del commercio tra Svizzera e Cina
    • Alessandra Gianella, La globalizzazione e le sfide future

Buona lettura!

L’economia non cresce all’ombra dei muri ma solo con il libero commercio!
Il libero mercato è un processo in divenire
L’UE vuole guardare avanti – insieme alla Svizzera
Conseguenze positive del commercio tra Svizzera e Cina
La globalizzazione e le sfide future

La Cc-Ti: un’associazione completamente privata

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Temi che oggi sembrano di difficoltà insormontabile erano già d’attualità molti decenni fa (nello specifico 84 anni…) e lo sono di fatto quasi sempre stati.”

La Cc-Ti compie 100 anni e per celebrare questo importante traguardo vuole portare l’attenzione su diversi temi importanti non solo per l’economia. Oggi scopriamo qualche elemento dei primi anni della sua storia.

Le basi per l’odierna Camera di commercio e dell’industria ticinese sono state poste di domenica, più precisamente il 21 gennaio 1917, con la creazione della Camera di commercio dell’Associazione commerciale industriale del cantone Ticino.
Forse la scelta atipica della domenica è simbolica per le caratteristiche particolari della nostra associazione, oppure la quiete del giorno festivo ha favorito un’intesa raggiunta solo dopo vari tentativi, contraddistinti, nella migliore tradizione ticinese, da vari personalismi. O, più prosaicamente, il fatto di non essere chiamati al lavoro ha concesso il tempo necessario ai fondatori.

Poco importa. E’ comunque un fatto che, per raggiungere l’intesa fra Associazione commerciale industriale del cantone Ticino, Sezione ticinese delle sezioni dei commercianti e l’Associazione industriale ticinese per creare una Camera di commercio cantonale, sono stati necessari vari tentativi. Scontro anche di tipo ideologico, visto che l’Associazione commerciale industriale del cantone Ticino spingeva per una forma completamente privata, mentre le altre due associazioni consideravano anche il coinvolgimento pubblico negli organi associativi.
La prima variante ha prevalso, secondo il modello anglo-sassone, che ancora oggi contraddistingue la nostra attività, cioè un’associazione di diritto privato completamente staccata dallo Stato e senza alcun contributo pubblico, a migliore tutela del mondo imprenditoriale.
La sede scelta dai 62 membri presenti all’atto di costituzione fu Lugano. Generalmente si pensa che la scelta della città sul Ceresio fosse dettata dalla volontà di fare da contraltare al potere politico concentrato a Bellinzona (un po’ come Zurigo e Berna, tanto per intenderci). In realtà essa fu probabilmente il frutto di una disposizione statutaria, secondo la quale la sede andava fissata nel luogo con il maggior numero di aderenti e i migliori requisiti (dal punto di vista della rilevanza economica) per averla.
Nel 1918 fu assunto un segretario a tempo pieno, in un contesto economico difficile all’ombra della prima Guerra Mondiale.

Interessante è rilevare come molti temi fossero simili a quelli trattati oggi. Vale la pena segnalarne alcuni.

Nel 1918 ci si occupava di riduzioni di tariffe sulla linea del Gottardo e dei rapporti con i partner esteri (allora i consolati storici presenti a Lugano). Nel 1919 la Camera segnala alle autorità competenti il fenomeno della spesa oltre confine e dei danni all’economia nazionale e al fisco!
E nel 1933 si chiede al Consiglio di Stato una riduzione temporanea della tassa sulle patenti, per dare fiato all’industria alberghiera in crisi galoppante.

Temi che oggi sembrano di difficoltà insormontabile erano già d’attualità molti decenni fa (nello specifico 84 anni…) e lo sono di fatto quasi sempre stati.
Quale insegnamento trarne? È fondamentale occuparsi di tali questioni con serietà, ma con la consapevolezza che forse esse sono fisiologiche per una zona di frontiera e legate anche alle peculiarità del sistema elvetico. Vale la pena ricordare che proprio le caratteristiche del territorio ticinese e svizzero, al di là delle difficoltà contingenti, hanno permesso alla nostra nazione e al nostro cantone di prosperare. Non vi sono motivi perché questo non possa ripetersi ai giorni nostri.

Amministrazioni cantonali: procedure pesanti e costi elevati in un quadro globalmente positivo

Come nei rilevamenti degli scorsi anni, l’Amministrazione cantonale ticinese ottiene la miglior nota assegnata dalle imprese consultate nell’ambito della nostra inchiesta sul grado di soddisfazione relativo al lavoro delle amministrazioni cantonali. L’inchiesta viene condotta ogni due anni da MIS Trend. L’ottava edizione di questo studio, realizzata su incarico delle Camere di commercio e dell’industria della Svizzera latina, mostra nuovamente che in generale vi sono punti critici concernenti le procedure, l’attenzione verso gli utenti e gli emolumenti. Inoltre, i risultati evidenziano anche un inasprimento nell’ambito del rilascio dei permessi di lavoro e una parte considerevole di aziende ha rinunciato a progetti di sviluppo a seguito degli effetti dell’inasprimento delle regole pianificatorie, in particolare dovuti alla revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale.

Come in occasione dei tre precedenti studi realizzati nel 2011, 2013 e 2015, l’inchiesta evidenzia come elementi negativi concernenti la complessità delle procedure, l’attenzione per le esigenze degli utenti e il livello degli emolumenti restino motivi di insoddisfazione. Sono invece generalmente considerate in modo positivo la cortesia, la bravura e le competenze del personale dell’ente pubblico, sebbene un’azienda su tre rilevi una scarsa disponibilità al dialogo. L’attenzione per le esigenze degli utenti è ritenuta insoddisfacente per un quarto delle aziende prese in considerazione. Per quanto riguarda gli emolumenti, il risultato ricalca quello del 2015, visto che quattro imprese interrogate su dieci li ritengono troppo elevati.

Pianificazione del territorio

La soddisfazione generale resta purtroppo al di sotto della media generale, sebbene vi sia un leggero miglioramento rispetto al 2015. Le imprese consultate affermano di essere meglio informate rispetto al passato, ma hanno registrato un aumento preoccupante degli intralci burocratici soprattutto a livello comunale e un allungamento dei termini per l’ottenimento delle autorizzazioni. Inoltre, un’impresa su quattro dichiara di aver rinunciato ad almeno un progetto di pianificazione, a causa dell’inasprimento delle regole seguito all’adozione della revisione della legge federale sulla pianificazione territoriale.

Ispezione del lavoro e rilascio dei permessi di lavoro

I risultati indicano globalmente un miglioramento rispetto all’inchiesta del 2015. Tuttavia, si osserva un generale e consistente aumento dei termini per l’ottenimento dei permessi di lavoro, soprattutto nei cantoni di frontiera. Un’impresa su tre registra, dopo il 9 febbraio 2014, un netto inasprimento generalizzato delle procedure per il rilascio dei permessi.

Digitalizzazione

Un po’ più della metà delle aziende interrogate ritiene che il loro cantone potrebbe compiere uno sforzo supplementare in materia di cyber amministrazione, onde agevolare le procedure amministrative e offrire un miglior servizio online.

Studio MIS Trend su incarico di Info-Chambers: Competitività delle amministrazioni cantonali della Svizzera latina 2017

Étude sur la compétitivité des administrations cantonales réalisée pour les Chambres de commerce latines