Una riforma inevitabile ed equa

L’opinione di Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

“La riforma, oltre che essere inevitabile ed equa, è quindi pure equilibrata. Incentiva le nostre aziende locali e dà gli strumenti per mantenere in Svizzera le società internazionali, altrimenti attratte da altri lidi. “

La campagna di votazione sulla Riforma III dell’imposizione delle imprese, su cui il popolo svizzero si esprimerà il prossimo 12 febbraio, presenta alcune caratteristiche quantomeno curiose. Gli oppositori alla riforma sono in larga misura gli stessi che da anni sostengono che la Svizzera deve conformarsi agli standard internazionali e introdurre una maggiore equità nell’imposizione fiscale. Elementi entrambi caratteristici del progetto in votazione, perché la riforma è proprio stata dettata dai nuovi standard fiscali internazionali ai quali la Svizzera, piaccia o no, deve conformarsi per evitare sanzioni che comprometterebbero in modo pesante la nostra competitività nel quadro mondiale. Inoltre, non si può negare l’equità della riforma, visto che essa eliminerà gli statuti speciali e quindi determinati privilegi invisi a molti, applicando lo stesso tasso di imposizione a tutte le persone giuridiche. Si tratta pertanto di una mossa obbligata ed equilibrata sui principi. Quanto alle cifre sollevate e alle presunte ricadute negative sulle persone fisiche, è opportuno sottolineare qualche cifra, visto che impropriamente si sottende sempre che le aziende non pagherebbero alcuna imposta né contribuirebbero alla politica sociale.

Lasciando da parte gli stipendi pagati, a loro volta elemento essenziale del gettito fiscale, le circa 24’000 imprese internazionali presenti in Svizzera e al beneficio di regimi fiscali speciali, generano il 50% delle spese private per la ricerca e lo sviluppo e danno lavoro a migliaia di PMI locali, che sono loro fornitori diretti o indiretti in beni e servizi. Dal punto di vista strettamente fiscale, benché queste società rappresentino soltanto circa il 7% del totale delle imprese in Svizzera, esse contribuiscono per quasi la metà alle entrate dell’imposta federale diretta (IFD) sull’utile, versando circa 5,3 miliardi di franchi di Imposta federale diretta. Mica noccioline. A cui vanno aggiunti evidentemente altri miliardi di entrate per cantoni e comuni. Infatti, a livello cantonale, tali aziende, pur rappresentando solo il 4,5% dei contribuenti, generano circa il 20% al gettito fiscale delle persone giuridiche. La stessa proporzione che vi è in Ticino, con 1’355 aziende che creano complessivamente un gettito fiscale di 166 milioni di franchi. E, sia detto chiaramente, queste società con la riforma in votazione saranno chiamate a versare più imposte. Altro che regali alle grandi aziende. Sì, perché le riduzioni dell’aliquota fiscale, per compensare l’aumento imposto alle cattive multinazionali e mantenere la già citata equità, andranno a beneficio delle PMI svizzere o, detto altrimenti con il lessico attualmente in voga, alle “nostre”. Elemento che dovrebbe rallegrare e non preoccupare chi su altri temi asserisce di preoccuparsi per l’integrità del territorio. E anche qui siamo molto lontani da regali fiscali, perché le aziende le imposte le pagano direttamente o permettono di pagarle (v. voce stipendi) e, giustamente, versano gli oneri sociali, si occupano della formazione, ecc. Il timore che la riforma possa creare voragini nei conti dello Stato è infondato. Ogni modifica della fiscalità, tanto più della sua struttura, cela inevitabilmente qualche incognita, ma finora le riduzioni fiscali hanno sempre portato a un aumento del gettito e non vi è ragione di pensare che questa volta vada diversamente. Va anche ricordato che nel contesto della riforma fiscale in votazione il canton Ticino riceverebbe annualmente circa 30 milioni di franchi supplementari dalla Confederazione. Parallelamente una modifica della perequazione finanziaria nazionale garantirà che il cantone continui a ricevere circa 18,7 milioni di franchi all’anno a titolo di compensazione. La riforma, oltre che essere inevitabile ed equa, è quindi pure equilibrata. Incentiva le nostre aziende locali e dà gli strumenti per mantenere in Svizzera le società internazionali, altrimenti attratte da altri lidi. Non è una minaccia, è la realtà di un contesto mondiale sempre più competitivo e prima di cacciarle con superficiale faciloneria magari sarebbe il caso di pensarci.

Riforma fiscale fra fantasie e realtà

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“È avantutto sbagliato affermare che la riforma favorisce le (tanto deprecate) multinazionali e penalizza le PMI indigene. La riforma prevede esattamente il contrario, cioè un aumento per le prime e una diminuzione per le seconde.”

La virulenta campagna contro la riforma III della fiscalità delle imprese, in votazione il prossimo 12 febbraio, impone alcune considerazioni fattuali, visto che vengono utilizzati a piene mani termini come truffa, furto, inganno, ecc. che poco hanno a che vedere con la realtà dei fatti.

Andiamo con ordine. Occorre avantutto ricordare che si vota su una base legale federale che prevede determinati strumenti fiscali, che poi i cantoni dovranno decidere se e in quale misura adottare, tenendo conto delle rispettive realtà economiche e finanziarie. L’unica eccezione ad oggi è costituita dal canton Vaud, che si è premunito di votare sugli strumenti cantonali per essere pronto ad adottarli in tempi rapidi in caso di approvazione del progetto federale. Negli altri cantoni, compreso il Ticino, l’applicazione pratica dei nuovi strumenti deve ancora essere approvata, per cui la discussione è tuttora aperta. Chiarito questo aspetto, mi preme sottolineare alcuni elementi concreti. E’ avantutto sbagliato affermare che la riforma favorisce le (tanto deprecate) multinazionali e penalizza le PMI indigene. La riforma prevede esattamente il contrario, cioè un aumento per le prime e una diminuzione per le seconde. O, detto altrimenti, più imposte per le grandi aziende che hanno potuto godere di statuti speciali, meno imposte per quelle che il lessico in vigore oggi definisce “le nostre”, cioè le aziende più legate al territorio. Inoltre, gli oppositori alla riforma asseriscono che aumenterebbero le imposte per le persone fisiche. In realtà non vi è alcuna variante del genere prevista e ricordo quanto detto sopra a proposito delle leggi di applicazione cantonali. Dubito fortemente che i vari direttori delle finanze e dell’economia cantonali che sostengono la riforma federale vogliano mandare al massacro le rispettive popolazioni, anche perché di regola i politici devono farsi rieleggere. Affrontare e motivare aumenti di imposte basate su presunti inganni e perdere qualche referendum cantonale non è certo il miglior modo di proporsi per essere rieletti…Talune preoccupazioni, soprattutto di amministratori comunali, possono anche essere comprensibili, dato che il discorso delle compensazioni, legato alle applicazioni cantonali, deve ancora essere completamente definito. Ma questo non significa che non ci saranno compensazioni e non giustifica che si parli di truffa né di altri reati penali. La certezza vera è che la Confederazione metterà a disposizione 1,1 miliardi di franchi per compensare eventuali perdite fiscali iniziali dei cantoni, aumentando la loro quota-parte dell’imposta federale versata dalle aziende dal 17 al 21,2%. Un’altra cifra incontestabile è che il gettito delle persone giuridiche in materia di imposta federale diretta è quadruplicato dal 1990, dopo, è giusto ricordarlo, la Riforma I del 1998 e la Riforma II del 2008. La riforma è complessa, questo è vero. Ma non fare nulla sarebbe molto peggio, perché un No alle urne non porterebbe semplicemente al rinvio del progetto per qualche piccolo adattamento e poi all’adozione rapida di un’alternativa. Gli oppositori non hanno presentato alcun piano B e vi sono ragionevoli motivi di credere che le aziende oggi al beneficio di statuti speciali non attenderebbero il loro affossamento definitivo fra un paio di anni prima di levare le tende dal nostro paese. Con conseguenze mica da poco su gettito fiscale e posti di lavoro e anche per i comuni questo sarebbe sicuramente peggio di quanto proposto dalla riforma. Al di là delle aliquote, si vota anche su alcuni criteri definiti “soft”, difficilmente quantificabili, che sono più legati al clima economico generale, rilevante per gli insediamenti aziendali e il fare impresa. E’ per questo che le precedenti riforme già menzionate, pur prevedendo delle agevolazioni fiscali, hanno portato a un aumento del gettito. Lo stesso principio vale anche questa volta.

Gettito fiscale aziendale tra realtà e presunti “regali”

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Le aziende contribuiscono sempre di più alle finanze dello Stato.”

La campagna di votazione per la Riforma III dell’imposizione delle imprese è stata lanciata qualche settimana fa con toni subito incendiari, visto che gli oppositori parlano di furto, truffa, ulteriori regali sconsiderati alle cattive imprese, ecc.. Ormai le campagne politiche poggiano su questi slogan e la cosa non stupisce più di tanto.

Dei dettagli della riforma diamo conto negli altri articoli di questa edizione di Ticino Business, per cui in questo contributo è giusto affrontare l’argomento da un’altra angolazione, cioè dando un’occhiata all’evoluzione del gettito fiscale delle aziende, secondo taluni vergognosamente diminuito per affamare lo Stato con una liberalizzazione e una defiscalizzazione selvagge che priverebbero gli enti pubblici delle risorse necessarie. In altre parole, per verificare in che misura i presunti “regali” concessi con le precedenti riforme fiscali abbiano diminuito il gettito fiscale nelle casse dello Stato. A tale scopo si può fare riferimento a quanto recentemente pubblicato dall’Amministrazione federale delle finanze e ovviamente ignorato nella discussione pubblica. Forse perché ormai vi è l’andazzo di considerare automaticamente taroccate tutte le cifre che non corroborano la propria tesi politica. Ma qui più che di statistiche in senso stretto si tratta di registrazioni di cassa comparabili a quanto farebbe un negozietto di paese. Quanto è entrato e da chi (risp. quanto è uscito e dove è andato, ma questo non è oggetto delle presenti riflessioni), con precisione svizzera, senza possibilità di interpretazione e a prova di tarocco. Orbene, le entrate della Confederazione derivanti dall’imposta sull’utile aziendale sono aumentate nel 2015 del 14,6%. Secondo alcune stime, le cifre dei Comuni e dei Cantoni dovrebbero in generale avere la medesima evoluzione positiva, una volta forniti i dati definitivi. E questo malgrado ripetute crisi (tre dal 2008, una finanziaria e due valutarie). Un caso si dirà. Mica tanto. Basta dare un’occhiata all’evoluzione del gettito delle persone giuridiche dal 1990 (si veda il grafico qui di seguito). Dalla prima riforma fiscale concernente le aziende e risalente al 1997, le entrate derivanti dall’imposta federale diretta sono passate da 7,5 a 19,8 miliardi di franchi. Nei Cantoni e nei Comuni sono più che raddoppiate, l’incremento per la Confederazione è stato del 166%. La crescita è stata di oltre il doppio rispetto all’imposta sul reddito delle persone fisiche e buona parte di questa evoluzione è legata alle aziende internazionali e/o a statuto speciale.

Allora perché tutto questo accanirsi contro le aziende e in particolare le multinazionali? Che, detto per inciso, creano posti di lavoro e versano salari, a loro volta soggiacenti all’imposizione fiscale. Probabilmente uno dei motivi dell’ostilità è legata alla riforma II dell’imposizione delle imprese, con le polemiche su alcune valutazioni approssimative che hanno portato a mancati introiti fiscali imprevisti di circa 200-300 milioni di franchi per la Confederazione. Cifra comunque di molto inferiore alle riforme della fiscalità dei coniugi e delle famiglie che hanno privato l’erario di cifre ben superiori (circa un miliardo globalmente per l’imposta federale diretta). Ma le riforme fiscali per le imprese danno molto più fastidio e hanno, come dicono i francofoni, “mauvaise presse”. Ed è un errore. Perché le cifre summenzionate dimostrano inequivocabilmente che le aziende contribuiscono sempre di più alle finanze dello Stato, tanto che la loro parte alle imposte dirette di Confederazione, Cantoni e Comuni dal 1997 è passata dal 18,7 al 25%. E la quota di imposte delle aziende rispetto al prodotto interno lordo nazionale in Svizzera è più alto di quanto avviene nell’OCSE. È vero che vi sono stati tagli fiscali in molti Cantoni, ma le cifre dimostrano che essi sono stati ampiamente compensati da utili maggiori, per cui la cura delle famose (o famigerate, secondo i punti di vista) condizioni-quadro ha dato i suoi frutti. Con una parte importante, come detto, delle vituperate multinazionali che le imposte le pagano, eccome. Con più di 4 miliardi di franchi queste aziende coprono la metà delle entrate fiscali della Confederazione derivanti dalle persone giuridiche, nei Cantoni con circa due miliardi siamo al 20%, la stessa proporzione che grosso modo abbiamo in Ticino. Per non parlare sempre e solo del nostro Cantone (visto che ormai il pensiero dominante è che le aziende straniere creano solo problemi e devastano il Cantone), rileviamo che ad esempio Procter&Gamble nel 1999 si è spostata a Ginevra ed è uno dei più grandi datori di lavoro del Cantone, facendo capo inoltre a circa 400 aziende locali, dal giardiniere al panettiere, passando per il falegname e l’idraulico.

È quindi scorretto affermare che il contributo diretto delle aziende alle casse dello Stato è insufficiente e che già in passato vi sono stati regali ingiustificati, per sostenere che con la riforma III delle imprese si procede ad un ulteriore vergognoso omaggio.

La situazione è ben diversa e la discussione sull’epocale riforma fiscale che sarà in votazione il 12 febbraio 2017 non può prescindere da questi fatti e cifre. Le riforme fiscali passate non hanno affamato lo Stato, quella imminente entrerà nello stesso filone. Anche se incombe l’incognita della permanenza in Svizzera di alcune delle aziende che oggi godono di statuti speciali (che, come visto sopra, non sono da confondere con favori gratuiti), che potrebbero essere orientate verso altri lidi. Non è una minaccia, semplicemente così funzionano le dinamiche internazionali, tanto che non è più assolutamente scontato che la Svizzera sia sempre e comunque considerata la migliore soluzione. Per cui, prima di parlare di ladri e furti, sarebbe bene essere un po’ prudenti e ricordarsi che se si vuole distribuire qualcosa (disciplina in cui molti eccellono) è necessario dapprima creare la ricchezza, anche con strumenti magari poco simpatici sulla carta ma certamente più efficaci di tante roboanti ma vuote dichiarazioni.

Scoprite tutte le argomentazioni del “SÌ alla riforma dell’imposizione delle aziende”
visitando il sito della campagna o seguendola tramite Facebook.
Il numero di giugno di Ticino Business, la rivista mensile della Cc-Ti, era stato proprio dedicato alle riforme fiscali, tematica di grande importanza per la Cc-Ti.
Qui di seguito potrete scaricare il PDF con i vari approfondimenti e interviste a esperti del tema.

Il Cantone dei paletti

L’opinione di Franco Ambrosetti, Presidente onorario Cc-Ti

“Mettere paletti alla libertà economica rende difficile fare azienda. L’imprenditore si rende conto di operare in un Cantone con livelli di fiscalità punitivi, tra i più alti in Svizzera dove pure la libera scelta dei collaboratori viene limitata, costretto a pagare tasse inique sui posteggi e subire molte vessazioni burocratiche: come dire apertamente, ragazzi andatevene, non siete graditi.”

 

Ho lasciato passare un anno prima di riprendere in mano la penna. Non che sperassi di assistere a grandi cambiamenti assai poco probabili in così poco tempo. Ma almeno l’apparire di qualche timido segnale, un barlume di risveglio a indicare una limitata, cauta, volontà di considerare le problematiche del mondo economico denunciate in modo forte e chiaro all’ultima Assemblea della Cc-Ti, questo sì. Invece è avvenuto il contrario. La libertà d’impresa è sempre più ostacolata da nuove regole, leggi coercitive, limitazioni burocratiche, ordinamenti che rendono il lavoro sempre più oneroso, più costoso e in netto contrasto con gli articoli 27 e 5a (sussidiarietà) della Costituzione federale ma soprattutto con lo spirito liberale che ne contraddistingue il preambolo.

Dal profilo politico sembra un maldestro tentativo verso forme d’indipendenza separatista con il rifiuto di regole condivise divenute ormai un cappio al collo del Ticino. L’origine di tale atteggiamento è chiara, appartiene alla subcultura populista che si esprime con “Berna non ci capisce” o “qui da noi la situazione è diversa”. In realtà la situazione diversa lo è, ma per ragioni opposte.

Prendiamo un esempio a tutti ben noto. La RSI. Siamo l’unico Cantone che riceve ogni anno centinaia di milioni dalla Confederazione che ci permettono di mantenere una struttura con oltre 1’000 dipendenti, cui si aggiunge l’indotto. Vero è pure che non siamo solo Cantone bensì una Regione che rappresenta il 6% della popolazione svizzera. Tuttavia il flusso di milioni che riceviamo va molto oltre all’importanza numerica che rappresentiamo. Si chiamano solidarietà e coesione interna, due valori irrinunciabili della nostra democrazia liberale, artefici del suo successo nel tempo e segno di rispetto verso una minoranza reputata importante.

Forse il senso di gratitudine nei confronti della Confederazione non è più di moda. Però mi pare azzardato ricambiare con sonori ceffoni come l’introduzione di misure legislative giuridicamente discutibili tipo l’albo delle aziende non ticinesi oppure la geniale pensata di sapore discriminante “prima i nostri” che in realtà vorrebbe dire “fuori gli altri”.

Questi paletti, introdotti per motivi di ordine esclusivamente politico, sono ridicoli, cozzano contro le leggi federali, creano confusione sulla certezza del diritto delegittimando, di fatto, parte dell’attività politica cantonale. Se aggiungiamo il velleitario tentativo di ridurre il traffico ormai ingestibile con la tassa sui posteggi, allora la discussione politica raggiunge livelli metafisici perché sarebbe come tassare la forza di gravità per ridurne l’effetto sulle cadute in bicicletta.

In democrazia si può discutere di tutto. Capisco che queste mie affermazioni siano contestabili a dipendenza del credo che si professa.

Meno discutibili invece sono gli effetti economici di tali misure. Mentre sul fronte della fiscalità per ora di là dalle buone intenzioni non ho ancora visto risultati anche per le numerose insidie politiche che i responsabili devono affrontare, noto con apprensione il costante degrado delle condizioni quadro generali del Cantone, oggi peggiori di quanto lo fossero una decina di anni fa.

Mettere paletti alla libertà economica rende difficile fare azienda. L’imprenditore si rende conto di operare in un Cantone con livelli di fiscalità punitivi, tra i più alti in Svizzera dove pure la libera scelta dei collaboratori viene limitata, costretto a pagare tasse inique sui posteggi e subire molte vessazioni burocratiche: come dire apertamente, ragazzi andatevene, non siete graditi.

Caricare le imprese di costi aggiuntivi e limitare la libertà di azione non è saggio. Anche se il Ticino ha tenuto meglio di altre regioni europee durante la crisi pesantissima che perdura tutt’ora, alla lunga l’erosione delle condizioni quadro colpisce la crescita, motore principale della socialità redistributiva. Non ci bastavano la sinistra nostalgica e le sue iniziative a favore di pianificazione e collettivismo in cui nemmeno la Cina comunista crede più? C’era bisogno del populismo per imporre costose interferenze stataliste che penalizzano le aziende? Margareth Thatcher diceva che “il socialismo finisce quando terminano i soldi”. Vale anche per il populismo. Per chi è duro d’orecchio significa che la redistribuzione dei redditi termina quando le aziende produttrici di ricchezza, se ne vanno altrove.

Voilà. Mi sono tolto un peso. Se ho dimenticato di insultare qualcuno come diceva Schubert, me ne scuso.

A tutta… FOSTRA

Fabio Regazzi, Consigliere Nazionale e Presidente AITI

Intervista pubblicata su “Touring” nr. 11 – 2016, rivista del TCS

Finalmente anche la strada avrà il suo Fondo per le infrastrutture! Sappiamo che per completare, ammodernare e mantenere la rete stradale occorrono importanti e duraturi finanziamenti. Con il FOSTRA, il Consiglio federale e il Parlamento hanno creato un fondo a tempo indeterminato in grado di garantire sufficienti finanziamenti per le strade nazionali e i progetti infrastrutturali negli agglomerati. Il relativo decreto federale verrà votato nel febbraio 2017.

Il Fondo per le strade nazionali e il traffico d’agglomerato verrà ancorato nella Costituzione. In questo modo, strade e ferrovie avranno il medesimo trattamento giuridico e termineranno così i sempre discussi finanziamenti trasversali molto indigesti agli automobilisti.

Questo nuovo fondo sostituisce il fondo per le infrastrutture esistente ed è finalizzato al completamento della rete delle strade nazionali, all’eliminazione dei problemi di capacità e all’attuazione di progetti viari d’agglomerato. FOSTRA finanzierà anche l’esercizio e la manutenzione della rete stradale.

 Il fondo FOSTRA apporterà più risorse al settore stradale con le entrate della vignetta autostradale, il supplemento fiscale sugli oli minerali, compreso il leggero aumento previsto con il rialzo dei prezzi dei carburanti e i proventi dell’imposta sugli autoveicoli, che oggi confluiscono invece nella cassa della Confederazione. In più anche le auto elettriche saranno chiamate a pagare un forfait dal 2020. Il fondo arriverà a riequilibrare le finanze, creare delle riserve e nel caso di rinvio di un progetto per forza maggiore, sarà possibile riportare il relativo finanziamento all’esercizio successivo.

Il Consigliere Nazionale Fabio Regazzi s’è impegnato in particolar modo nei lavori parlamentari per raggiungere il massimo consenso su FOSTRA e nell’appianare le divergenze sorte fra le due Camere. A lui rivolgiamo alcune domande.

Il Parlamento ha votato nella sessione autunnale la nuova Legge per la creazione del Fondo per le strade FOSTRA, che congiuntamente al programma di sviluppo strategico PROSTRA, assicurerà l’avvenire della rete stradale svizzera e del traffico nelle agglomerazioni. Come valuta il risultato finale ottenuto dopo l’appianamento delle divergenze che ci sono state con il Consiglio agli Stati?

“Personalmente valuto positivamente il risultato ottenuto, frutto di una lunga e laboriosa ricerca di compromesso fra le diverse sensibilità presenti in Parlamento. Nella sua versione finale il FOSTRA, approvato con un ampio sostegno dalle Camere federali, costituisce indubbiamente una pietra miliare per quanto riguarda il finanziamento delle infrastrutture stradali, tema rimasto per alcuni decenni nei cassetti durante l’era Leuenberger. La Consigliera federale Leuthard ha avuto il merito di affrontare con decisione questo dossier e di portare in Parlamento un progetto di legge, che è poi stato ulteriormente affinato e migliorato nei vari passaggi fra le due Camere. Come relatore su questo messaggio posso senz’altro dirmi soddisfatto dell’esito finale, anche se inevitabilmente abbiamo dovuto fare qualche concessione”.

Da anni le associazioni che si occupano di mobilità reclamavano questo Fondo, soprattutto per avere dei finanziamenti sicuri e far chiarezza sulla destinazione dei soldi incassati dagli automobilisti. Con FOSTRA si raggiungeranno questi obiettivi?

“Con il FOSTRA disponiamo ora di uno strumento che, al pari di quanto abbiamo fatto per la ferrovia con il FAIF, rappresenta una solida base di finanziamento delle infrastrutture stradali e dei progetti di agglomerato, assicurando nel contempo una maggiore trasparenza circa la destinazione dei fondi. Rispetto alla situazione vigente abbiamo quindi fatto progressi significativi visto che da un lato avremo maggiori mezzi finanziari a disposizione (in totale 2.5 miliardi di franchi dal 2018 che saliranno a 3 miliardi dal 2021) e dall’altro il finanziamento sarà garantito sul lungo termine, consentendo in tal modo una migliore pianificazione degli investimenti”.

Il Fondo prevede un leggero rialzo del prezzo dei carburanti (4 cts/l) per bilanciare la diminuzione in atto a causa dei minori consumi. Sappiamo che l’aumento potrà dar fastidio a molti. Secondo lei ciò sopportabile per gli automobilisti?

“Questa è ovviamente la misura più indigesta del pacchetto FOSTRA. Ricordiamo innanzitutto che il Consiglio federale nel messaggio aveva proposto un aumento di 6 cts/l, che il Parlamento ha poi ridotto portandolo a 4 cts/l, ciò che corrisponde ad un introito annuo di circa 200 mio di franchi. Ritengo che a fronte dei benefici che sono stati ottenuti, si tratta di un sacrificio sopportabile per gli automobilisti, tanto più che i proventi di questo aumento andranno integralmente a favore del FOSTRA e non alimenteranno quindi le casse generali della Confederazione”.

 I problemi viari del Canton Ticino sono ben conosciuti. Il Fondo FOSTRA permetterà anche di pianificare meglio gli interventi sul territorio e sicuramente il Ticino ne beneficerà. Quali saranno le opere in predicato per essere finanziate tramite il Fondo?

“Altro aspetto importante del FOSTRA è stata l’inclusione di circa 400 km di strade cantonali nella rete delle strade nazionali, che dal 2020 passeranno di proprietà alla Confederazione. Per quanto riguarda il Ticino le tratte in questione sono la Stabio-Gaggiolo e soprattutto il collegamento A2-A13, di cui molto si è discusso. Grazie al FOSTRA sono quindi state gettate le basi per poter finalmente realizzare questo importante collegamento stradale atteso da decenni dal locarnese. Non bisogna tuttavia farsi illusioni: i tempi saranno ancora piuttosto lunghi e bisognerà battersi a Berna affinché il progetto venga approvato dalle autorità federali, senza dimenticare che saremo in concorrenza con diversi progetti di altri Cantoni. Ulteriore aspetto positivo è che grazie ai fondi per gli agglomerati ci sono i presupposti per ottenere un importante finanziamento per il progetto di tram del luganese”.

Popolo e Cantoni dovranno dare il loro consenso alla modifica costituzionale in votazione popolare prevista nel febbraio 2017, come già fatto per il Fondo ferroviario. La maggioranza spera in un risultato positivo. Dopo l’impegnativo lavoro svolto a livello di Commissione e di Consiglio nazionale, cosi si sente di dire agli automobilisti ticinesi?

“Posso confermare che a livello di commissione e di Parlamento è stato fatto un lavoro molto intenso, non sempre facile, di ricerca del compromesso. Sono convinto che il risultato ottenuto sia complessivamente valido per i motivi che ho cercato di riassumere in precedenza. Visto che si tratta di una modifica costituzionale, sarà comunque il popolo a doversi esprimere. Personalmente sono fiducioso che il FOSTRA troverà un ampio consenso nella popolazione. Il mio appello non lo rivolgo solo agli automobilisti, ma a tutte le cittadine e i cittadini ticinesi dicendo loro che con il FOSTRA abbiamo la possibilità di assicurare per il futuro infrastrutture stradali sicure ed efficienti. Non cogliere questa opportunità sarebbe un errore clamoroso che ci riporterebbe alla casella di partenza: li invito quindi già sin d’ora a sostenere con convinzione questo importante pacchetto di misure”.

Vi ricordiamo che la Cc-Ti è da sempre attenta al tema delle infrastrutture e a quello correlato della mobilità, che è un suo tema prioritario. Durante il 2016 abbiamo trattato la questione in ampio modo e continueremo a farlo, qui di seguito alcuni articoli correlati che potrebbero interessarvi:

Scoprite tutte le argomentazioni del “SÌ al Fostra” visitando il sito della campagna o seguendola tramite Facebook.

FOSTRA, nell’interesse di una mobilità integrata

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Puntare acriticamente e per posizione ideologica solo su uno dei vettori è un errore commesso spesso in passato e che oggi non possiamo più permetterci.”

Ieri il Consiglio federale ha lanciato la campagna a sostegno del Fondo per le strade nazionali e il traffico d’agglomerato (FOSTRA), che sarà in votazione a livello federale il 12 febbraio 2017. Una votazione che rischia di passare in sordina perché schiacciata da quella concomitante e che si annuncia più virulenta sulla Riforma III dell’imposizione fiscale delle imprese. Ma sarebbe sbagliato trascurare questa importante consultazione popolare che getta le basi per un finanziamento solido e per una pianificazione strategica del traffico stradale, che, piaccia o no, resta comunque il principale vettore di trasporto.

La creazione del FOSTRA fa il paio con il fondo per il finanziamento e l’ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria (FAIF), accettato in votazione popolare nel 2014. E’ bene ricordare a questo proposito che il mondo economico ha sostenuto con decisione la creazione del FAIF, per questioni di trasparenza del finanziamento per le casse pubbliche e per reale convinzione che oggi più che mai è necessario ragionare in termini di complementarietà dei mezzi di trasporto, perché tutti hanno la loro funzione e sono necessari allo sviluppo economico del paese. E’ per fortuna finito il periodo di contrapposizione fra ferrovia e strada e la politica federale ha imboccato con decisione la via di tale complementarietà, importante per la pianificazione di trasporti, per l’attribuzione equilibrata delle risorse e per la soluzione effettiva dei problemi di mobilità. Puntare acriticamente e per posizione ideologica solo su uno dei vettori è un errore commesso spesso in passato e che oggi non possiamo più permetterci. Le stesse Ferrovie federali svizzere (FFS) hanno del resto incluso nella loro strategia aziendale vari elementi di complementarietà con il trasporto privato, ben coscienti che quello pubblico non può arrivare sempre e ovunque. Sono precisazioni importanti perché smontano sul nascere qualsiasi illazione che il sostegno dell’economia al FOSTRA sia dettata da inconfessabili motivi legati alla fantomatica “lobby della strada”. Anche per l’economia è importante trovare un giusto equilibrio fra il trasporto pubblico e quello privato, perché un paese bloccato non serve a nessuno e reca danni a tutti, nessuno escluso. Attraverso il FOSTRA, si ancora nella Costituzione federale un fondo illimitato nel tempo destinato a intervenire per eliminare le strozzature delle autostrade nazionali e per sostenere programmi che permettano di intervenire sul traffico d’agglomerato. Su questo secondo punto, senza il fondo FOSTRA, non sarebbe più possibile l’azione finanziaria congiunta fra Confederazione, cantoni e comuni per strade di circonvallazione, interventi stradali per i mezzi pubblici, la realizzazione di infrastrutture per pedoni e ciclisti, ecc. Va anche sottolineato che il FOSTRA prevede che dal 2020 circa 400 chilometri di strade cantonali esistenti saranno inglobati dalla Confederazione nella rete delle strade nazionali. Per il Ticino si tratta della Stabio-Gaggiolo e del A2-A13, fondamentale per il Locarnese. Benché gli ostacoli politici siano ancora parecchi, con il FOSTRA si gettano quindi le basi finanziarie per ottenere gli aiuti federali per tali realizzazioni cantonali. Il FOSTRA sarà alimentato con i proventi dell’imposta sugli autoveicoli, dalle tasse sul carburante e dalla vignetta autostradale e una sovratassa sui carburanti, fonte di preoccupazione per taluni, potrà essere prelevata solo se tale aumento sarà considerato indispensabile per progetti ritenuti inderogabili. Vi è quindi la garanzia che non vi saranno prelievi fiscali inutili e un Sì al FOSTRA si impone.

Vi ricordiamo che la Cc-Ti è da sempre attenta al tema delle infrastrutture e a quello correlato della mobilità, che è un suo tema prioritario. Durante il 2016 abbiamo trattato la questione in ampio modo e continueremo a farlo, qui di seguito alcuni articoli correlati che potrebbero interessarvi:

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Legalità e libertà

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Punire tanti per le colpe di pochi ha invece un retrogusto sinistro da regime totalitario che poco ha a che fare con le nostre strutture (ancora) liberali.”

L’attualità cantonale offre numerosi spunti legati a due principi giuridici fondamentali come la legalità e la libertà. Non mi riferisco alle attività criminali e alle eventuali privazioni della libertà personale, bensì alle sempre più numerose e fantasiose proposte volte a moralizzare soprattutto il comportamento delle aziende sul mercato del lavoro. In nome di princìpi certamente condivisibili come il controllo dell’immigrazione, il rispetto del territorio in senso lato, ecc., ma a volte staccati dal principio dello Stato di diritto, che pure è un principio costituzionale, visto che l’articolo 5 capoverso 1 della Costituzione federale indica chiaramente che “Il diritto è fondamento e limite dell’attività dello Stato”.

Stupisce quindi non poco che dopo mirabolanti promesse di ricette facili facili applicabili immediatamente, si debba ricorrere a verifiche della legalità e a mille analisi e approfondimenti per verificare ex post l’applicabilità delle ricette miracolose o presunte tali. Ho comprensione per il gioco politico, fatto inevitabilmente anche di forzature per smuovere situazioni bloccate. Ma quando la forzatura diventa sistematica la cosa si fa quantomeno problematica. Come sempre si invocano situazioni speciali che giustificano qualsiasi cosa, quindi anche il prendere a calci la Costituzione federale, da difendere contro i giudici stranieri, ma che i ticinesi sono legittimati a ignorare trattandosi, a seconda delle situazioni, non di una Carta fondamentale che tutela diritti individuali, federalismo ecc., ma di un fastidioso libercolo voluto dai confederati per fregare i ticinesi. Ovviamente l’interesse supremo di cancellare la libertà economica e imprenditoriale, sancita tra l’altro dall’articolo 27 della Costituzione federale e per noi valore non negoziabile, è prevalente e questo, secondo taluni, giustifica tutto. Infatti non sono pochi coloro che considerano tale libertà come una licenza di uccidere, cioè di fare quello che si vuole fregandosene delle regole. Complimenti per la profondità di pensiero. Considerata la ridicola esaltazione per imprese che chiudono o che rinunciano a investire in Ticino e la volontà di sparare nel mucchio indistintamente, vi è seriamente da chiedersi se si vogliano ancora aziende sul nostro territorio. Ah è vero, dimenticavo che vi sono sempre le aziende iper-tecnologiche ad altissimo valore aggiunto (definizione su cui si potrebbe disquisire a lungo), che non hanno parcheggi, non creano traffico, non inquinano e non fanno rumore. Queste e solo queste sembrano avere diritto di cittadinanza, mentre le altre, che spesso però sono le nostre ben radicate sul territorio e che andrebbero quindi difese, sono poco più che pezzenti perché non sono la Apple. Anche se la Apple, per la sua politica di retribuzione, in Ticino finirebbe sicuramente alla gogna per dumping salariale e cacciata con grande sollievo dei puristi dell’autarchia. Difficile raccapezzarsi in questo ginepraio. Certo, come al solito sarò accusato di non volere intervenire contro un mercato selvaggio di neo-liberisti a caccia di scalpi. In realtà mi sono sempre schierato senza riserve per le sanzioni civili, amministrative e penali per chi non rispetta le regole. Punire tanti per le colpe di pochi ha invece un retrogusto sinistro da regime totalitario che poco ha a che fare con le nostre strutture (ancora) liberali. Non penso che esprimerlo sia un delitto di lesa maestà verso la volontà popolare. Magari, lasciando da parte gli attacchi personali e gli isterismi, potrebbe anche essere la base di una discussione costruttiva. Ma temo che sia un’illusione. Purtroppo.

L’incertezza giuridica è una minaccia per il futuro delle nostre imprese

Opinioni dalla Cc-Ti

Nel mondo delle imprese si è creata una situazione d’incertezza che è puro veleno.

È cominciato il carosello degli incontri del Consiglio di Stato con i partiti, con Berna e la Regione Lombardia, per l’applicazione dell’iniziativa “Prima i nostri”. Un’altra quadratura del cerchio. Altra legna verde sulle braci di quel 9 febbraio 2014 che ha cacciato la Svizzera in un vicolo cieco nei rapporti con l’UE e il futuro degli accordi bilaterali. Per chi lavora e produce, per il mondo delle imprese in pochi anni è venuto meno un quadro giuridico- istituzionale chiaro e affidabile. Si è creata una situazione d’incertezza che per l’economia è puro veleno.

Quanta e quale manodopera estera, e a che condizioni, si potrà assumere? Come si evolveranno le relazioni con l’Europa, il nostro partner commerciale più importante con un mercato che assorbe il 62 % dell’export elvetico? Cosa resterà dei sette accordi bilaterali? Che ne sarà dell’innovazione e della forza competitiva della nostra industria, se dovessimo essere tagliati fuori dai grandi programmi europei di ricerca? Sono queste le domande che si fanno gli imprenditori. Ogni impresa per poter pianificare la sua attività, gli investimenti e le strategie di crescita deve poter contare su un quadro giuridico chiaro e definito, sia per le regole del mercato interno sia per le relazioni commerciali con gli altri Paesi. Oggi purtroppo non è più così. Si resta in attesa degli eventi, per vedere come, e a quale prezzo, la politica riuscirà a concretizzare la volontà popolare.

Qui non si mette assolutamente in dubbio la volontà del popolo, espressa attraverso quella democrazia diretta che tanti altri Paesi giustamente ci invidiano. Si critica, semmai, l’abuso che ormai da troppo tempo si fa, da destra e da sinistra, dell’iniziativa popolare e referendum come mezzi per una campagna elettorale permanente, chiamando i cittadini al voto su problemi ad alto impatto emotivo. Dalla politica fiscale a quella salariale, dalla tutela dell’ambiente e del territorio ai temi che interferiscono con importanti accordi internazionali firmati dalla Svizzera. Un esercizio strumentale della democrazia diretta che, oltre ad erodere il principio di rappresentatività del Parlamento e il potere decisionale del Consiglio federale, ha provocato profonde distorsioni e vuoti preoccupanti nel sistema dei principi giuridici-istituzionali che reggono il nostro Paese.

Una deriva che negli ultimi anni ha conosciuto in Ticino un’allarmante escalation, di cui l’iniziativa “Prima i nostri” è solo l’ultima tappa. Qui, nel tempo triste di una politica in cui prevale la retorica emozionale contro i lavoratori d’oltre confine e le imprese che li assumono, per alimentare paure e risentimenti popolari, l’incertezza del diritto è diventata prassi legislativa e di governo. Regola abituale, con le semplificazioni brutali della cosiddetta “politica dei segnali” da mandare a Berna o con l’uso ricorrente di “leggi a tempo”, due o tre anni, tanto per vedere l’effetto che fanno. Il più delle volte si tratta di norme e provvedimenti che dal profilo giuridico si rivelano incompatibili col diritto federale o con trattati internazionali sottoscritti dalla Svizzera. Utili, però, per mostrare i muscoli agli elettori.

Lo si è visto con la tassa sui posteggi, i certificati penali per i dimoranti e frontalieri, l’albo anti padroncini e altre misure estemporanee, che hanno risucchiato il Cantone nella politica delle decisioni umorali e a corto termine, precipitando le imprese nel limbo di un’incertezza giuridica che ne condiziona pesantemente attività e progetti di sviluppo.

Ma quanto valgono i bilaterali?

Michele Rossi, Avv., Delegato Relazioni Esterne della Cc-Ti

L’UE è il partner commerciale più importante per la Svizzera. Un abbandono della via bilaterale comporterebbe gravi ripercussioni sulla nostra economia.

Ogni tanto vale davvero la pena di fare il punto della situazione, di fermarsi un attimo, di prendere una sana distanza dal tema in discussione, soprattutto quando il tema è vissuto in modo del tutto emotivo, svincolato da una corretta visione dei fatti. Solo sulla base di dati oggettivi è poi possibile formarsi un’opinione. Altrimenti i dibattiti rischiano di trasformarsi in sterili cori di tifoserie calcistiche, la curva Nord che urla contro la curva Sud la propria fede politica, religiosa, sportiva, …

Nella questione europea siamo purtroppo arrivati a questo punto. Emozioni scagliate contro gli avversari che annebbiano la vista quando invece, soprattutto considerato il delicato momento di trasformazione economica, sarebbe necessario mantenere una certa lucidità. Torniamo quindi all’inizio, agli anni ‘90.

Cosa sono i bilaterali? Perché li abbiamo conclusi? Ebbene questi accordi sono uno strumento di politica estera il cui scopo è quello di permettere alla Svizzera di accedere, parzialmente, al grande mercato europeo. Non essendo la Svizzera un Paese membro dell’UE e avendo nel 1992 popolo e Cantoni deciso di non partecipare nemmeno allo Spazio economico europeo (SEE), i bilaterali sono la via per permettere al nostro Paese, alla nostra economia, di partecipare al mercato continentale.

È importante questa partecipazione? Certo, l’UE è di gran lunga il nostro partner commerciale più importante, con il quale è necessario avere rapporti stabili, strutturati e fluidi. Per la nostra economia sarebbe impensabile precluderci l’accesso a questo enorme territorio. Da questo accesso dipende, non dimentichiamolo, il nostro benessere, che non è scontato e che va coltivato ogni giorno, consapevoli che scelte politiche sbagliate potrebbero avere importanti conseguenze economiche negative. Proprio per mettere in evidenza questo aspetto la Seco, lo scorso anno, ha incaricato due prestigiosi istituti di ricerca al fine di quantificare l’effetto economico per il nostro Paese di un’eventuale caduta degli accordi bilaterali. I risultati di questi studi sono univoci. Senza bilaterali staremmo peggio.
Concretamente gli studi mostrano come l’abbandono dei bilaterali avrebbe significative ripercussioni negative per l’economia. L’effetto cumulato fino al 2035 consisterebbe in un’erosione del PIL svizzero di 460-630 miliardi di franchi. In neanche 20 anni, l’abbandono dei bilaterali costerebbe approssimativamente un PIL (o un «reddito annuo») svizzero attuale, con conseguente diminuzione dell’occupazione. Questi sono i dati, queste sono le conseguenze calcolate da seri istituti di ricerca, non opinioni o semplici emozioni.
Stiamo quindi attenti a non giocare con il fuoco. Nelle delicate trattative in corso tra Berna e Bruxelles volte a trovare una soluzione al voto del 9 febbraio 2014 teniamo ben presente la posta in gioco effettiva. Se in futuro saremo chiamati ad esprimerci sulla necessità o meno di mantenere i bilaterali ricordiamoci dei dati, dei fatti e di quanto il nostro benessere ne dipenda. E lasciamo i cori negli stadi…

Mobilità senza contrapposizioni

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“Resta il fatto che sempre più, giustamente e come ribadito con forza dagli ambienti economici negli ultimi anni, i vari vettori di trasporto non devono più essere messi in contrapposizione ma vanno considerati complementari. La sensazione è che in Ticino, purtroppo, non si sia ancora riusciti a superare questo steccato.”

Che la mobilità sia un tema caldo e sensibile sul territorio e nel dibattito politico è evidente e pure comprensibile, visto che tocca il quotidiano di tutti noi. Si tratta del resto di un fenomeno di società non esclusivamente ticinese, ma che riguarda, è bene ricordarlo, praticamente tutte le regioni urbane svizzere (per non parlare del resto del mondo).

Basti pensare, per fare qualche esempio facile facile e senza scomodare agglomerati particolari, alla situazione dell’A1 tra Zurigo e Berna e Losanna e Ginevra. Non cito a caso la regione del Lago Lemano, perché essa sta affrontando l’annosa questione del sovraccarico di traffico tra la capitale vodese e quella ginevrina con un approccio diverso rispetto alle “tradizioni” degli ultimi anni, cioè sottolineando la complementarietà tra strada e ferrovia. Come apertamente dichiarato anche dalla Consigliera di Stato socialista Nuria Goritte, Responsabile delle infrastrutture. Che poi la stessa Signora negasse questo principio quando si discuteva del secondo tubo autostradale del San Gottardo è oggi fortunatamente un dettaglio della storia su cui si può anche sorvolare.

Resta il fatto che sempre più, giustamente e come ribadito con forza dagli ambienti economici negli ultimi anni, i vari vettori di trasporto non devono più essere messi in contrapposizione ma vanno considerati complementari, come del resto chiaramente riconosciuto anche dalle Ferrovie federali svizzere che, nelle loro strategie puntano molto anche sulla mobilità individuale da e per le stazioni ferroviarie. La sensazione è che in Ticino, purtroppo, non si sia ancora riusciti a superare questo steccato. Non a caso, nel contesto della discussione sulle misure proposte dal Governo cantonale per lottare contro l’inquinamento e della decisione di ritirarne alcune, sono subito partiti sproloqui all’indirizzo degli ambienti economici, rei di avere sollevati dubbi giuridici e di efficacia riguardo appunto ad alcuni provvedimenti previsti.
A parte il fatto che le procedure di consultazione servono proprio a questo e che il Governo ha considerato legittimi tali dubbi, prima di giudicare in modo grossolano sarebbe stato opportuno leggere le nostre osservazioni, che non hanno messo in dubbio il principio della necessità di intervenire sulla questione del traffico. Ma discutere, senza isterismi né attacchi personali, dei mezzi messi in campo è assolutamente legittimo e ricordare taluni princìpi giuridici, sebbene non sia più molto “trendy” nel nostro Cantone, è un elemento importante per trovare soluzioni che siano sostenibili.
Qualcuno ha azzardato che stiamo difendendo un sistema economico obsoleto e irrispettoso dei cittadini. Peccato che l’unica alternativa proposta sia quella di far chiudere le aziende, che non mi sembra un grande programma di Paese. In realtà cerchiamo di contribuire a far sì che le discussioni vertano su una visione complessiva del sistema della mobilità. Questo passa anche per un approccio diverso all’analisi delle caratteristiche di tale sistema, che oggi, grazie agli strumenti elettronici a disposizione, può contare su svariati mezzi che permettono un monitoraggio preciso di quanto succede nell’arco delle 24 ore in tutte le zone del Cantone. Non tenerne contro sarebbe un errore fatale nella ricerca di possibili soluzioni per limitare determinati impatti sul territorio. Altri territori svizzeri l’hanno capito, in Ticino facciamo purtroppo più fatica e siamo ancora troppo legati alle contrapposizioni. È un vero peccato.

Per la Cc-Ti la mobilità è un tema prioritario.
Durante il 2016 abbiamo trattato la questione in ampio modo e continueremo a farlo, qui di seguito alcuni articoli correlati che potrebbero interessarvi: