Novità negli assegni nucleo familiare Italia per collaboratori frontalieri

Cambiano le modalità di richiesta ANF valide dal 1° aprile 2019. Un’informativa in merito.

Con la Circolare INPS n.45 del 22/03/2019 vengono fornite le indicazioni relativamente alle nuove modalità in vigore per presentare domanda di assegni per nucleo familiare. Le nuove modalità prevedono che dal 1° aprile 2019 le domande, finora presentate dal lavoratore interessato al proprio datore di lavoro utilizzando il modello “ANF/DIP” (SR16), dovranno essere inoltrate esclusivamente all’INPS in via telematica. Questa nuova modalità solo online è valida solo per i lavoratori dipendenti di aziende attive del settore privato non agricolo.

La domanda di assegno per il nucleo familiare deve essere presentata dal lavoratore all’INPS, esclusivamente in via telematica, mediante uno dei seguenti canali:

  • WEB, tramite il servizio on-line dedicato, accessibile dal sito www.inps.it, se in possesso di PIN dispositivo, di una identità SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) almeno di Livello 2 o CNS (Carta Nazionale dei Servizi). Il servizio sarà disponibile dal 1° aprile 2019;
  • Patronati e intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi, anche se non in possesso di PIN.

L’utente potrà prendere visione dell’esito della domanda presentata accedendo con le proprie credenziali alla specifica sezione “Consultazione domanda”, disponibile nell’area riservata. Segnaliamo una guida illustrata (pdf)  a cura di FIRST CISL per presentare domanda online.

Le domande già presentate al datore di lavoro fino alla data del 31 marzo 2019 con il modello “ANF/DIP”, per il periodo compreso tra il 1° luglio 2018 ed il 30 giugno 2019 o a valere sugli anni precedenti, non devono essere reiterate, ma saranno gestite dai datori di lavoro.

Vi ricordiamo che anche Cc-Ti amministra, per gli associati, la propria cassa per assegni familiari (n. 603), fondata e gestita sulla base delle normative federali e cantonali vigenti. Maggiori informazioni attraverso questo link.

Crescere ed aggiornarsi costantemente

Grazie al ciclo formativo della Scuola Manageriale in partenza in settembre, i nuovi leader di domani potranno formarsi con la Cc-Ti ed ottenere un attestato federale.

Aggiornamento delle competenze, sviluppo personale, realizzazione di nuovi obiettivi. Sono alcuni degli scopi che ci si pone quando si inizia a frequentare un percorso di formazione professionale superiore. Se fino ad alcuni anni fa le conoscenze acquisite durante la formazione scolastica potevano essere sufficienti per la maggior parte della vita lavorativa, oggi non bastano più. Occorre incrementare la propria istruzione ed ampliare il bagaglio di competenze con una formazione continua e “on the job”, così da stare al passo con un’economia dinamica e sempre più al passo con le trasformazioni tecnologiche.

In questo senso, la Cc-Ti, facendosi interprete delle necessità delle aziende associate, propone con rinnovato entusiasmo un’edizione della Scuola Manageriale che prepara professionisti provenienti da settori diversi alla gestione di una PMI. Il corso “Specialista della gestione PMI” riparte in settembre con una nuova edizione, nella quale si approfondiranno i temi della gestione generale dell’impresa; di leadership, comunicazione, gestione del personale; organizzazione; contabilità; marketing, pubbliche relazioni, rapporti con i fornitori e la clientela e diritto in materia di gestione PMI. In questa video intervista con Roberto Klaus, Direttore SSIB Ticino, scopriamo le novità in corso. Buona visione!

Contattateci per tutte le informazioni del caso! Saremo lieti di potervi rispondere.

 

 

A fianco delle giovani leve

Sostenere la formazione professionale è uno degli ingredienti di successo per i professionisti brillanti di domani

La formazione professionale è uno dei capisaldi della nostra economia. Attraverso essa convergono competenze, esperienze e innovazione che plasmano gli individui andando ad incrementare la professionalità e i virtuosismi di un sistema economico e sociale che genera benessere per tutti.

Aziende ed associazioni di categoria sono dunque in primo piano per lavorare – insieme agli altri attori in campo (istituti scolastici, autorità, famiglie) – al fine di strutturare i migliori percorsi per garantire il fiorire delle competenze dei giovani e non, che si inseriscono nel mondo del lavoro. Questo con una pluralità di visioni e l’aggiornamento continuo di programmi, esercitazioni e profili, proprio per stare al passo con i tempi, in un’epoca di grandi mutamenti tecnologici e sociali.

Imparare un mestiere e lavorare per un’azienda: un’occasione di crescita

Al di là dei numeri sull’equilibrio tra domanda e offerta dei posti per il tirocinio, sul collocamento nelle aziende e sulla necessità di un maggior coinvolgimento dell’orientamento scolastico-professionale, a emergere in Ticino è spesso la formazione professionale vista – ancora e a torto – come di serie “B”, rispetto ad una carriera scolastica liceale ed universitaria. Non solo, all’interno dell’apprendistato talune professioni sono quasi sminuite. In realtà coloro che ottengono un AFC (attestato federale di capacità) e seguono poi una formazione professionale superiore, ottengono risultati concreti più facilmente rispetto a chi segue un percorso accademico, grazie all’esperienza pratica già acquisita.
A cosa imputare i pregiudizi di fondo? Essi sono dovuti principalmente a due fattori:

  • esiste ancora una scarsa conoscenza da parte delle famiglie sulle molteplici possibilità che si aprono con un tirocinio, e l’accesso, dopo un AFC alla maturità professionale e quindi ad una formazione accademica-professionale;
  • vi è un’insufficiente valorizzazione dell’immagine di alcuni percorsi professionali. A torto, poiché le stesse professioni sono evolute in modo importante dal punto di vista IT e digitale.

Una maggior consapevolezza delle scelte

In che modo correggere il tiro ed andare a sostenere sempre più la formazione? Sicuramente agendo su fronti diversi: con un migliore orientamento professionale, rafforzando le competenze tecniche e linguistiche dei giovani, ed andando ad informare in modo incisivo pubblici diversi sulle molteplici opportunità che si aprono alla fine della scuola dell’obbligo. Capovolgendo quindi l’immagine in bianco e nero di taluni percorsi.
In questo senso la Cc-Ti è da sempre impegnata nel supporto fattivo alle associazioni di categoria e alle aziende per un aggiornamento costante, nonché un dialogo proattivo. Ma non solo: la Cc-Ti si impegna anche in consessi differenti e con progetti innovativi che permettono interazioni anche fra famiglia-economia-scuola, facendo da ponte fra due mondi.

Un esempio concreto: il progetto LIFT

La transizione tra scuola dell’obbligo e formazione professionale è un passaggio molto delicato. Per aumentare le possibilità d’integrazione degli allievi nel mercato del lavoro, è nato LIFT. Si tratta di un percorso per i giovani di 3a e 4a media, che prevede stages nelle aziende. La Cc-Ti ha aderito con entusiasmo a questo progetto, sin dalla sua introduzione e fase pilota, risalente ormai al 2013. È così entrata a far parte del plenum direttivo, svolgendo il ruolo di trait d’union fra mondo del lavoro e scuola, coordinando la rete di aziende che si sono messe a disposizione per offrire un posto di stage e sostenendo il progetto con contatti e promozione dello stesso.

Andando poi ad indagare i risultati emersi dai percorsi scolastici e/o professionali di ragazzi che hanno concluso LIFT negli scorsi anni (fonte: Divisione della scuola – progetto LIFT Ticino), si evidenzia come certamente la ripartizione dei giovani nei diversi curricola formativi al termine della scuola dell’obbligo varia da un anno all’altro. Ad accomunare invece i  percorsi è la percentuale di coloro che al termine della scuola dell’obbligo hanno iniziato una formazione professionale, ben al di sopra del 50%. Utile evidenziare anche come il riscontro dell’inserimento in azienda con degli stages continuativi (su 12 settimane per 3 ore a settimana) rafforzi la motivazione e le competenze dei giovani, che si affacciano al mercato del lavoro con più forza. Interessante anche verificare quale sia lo spettro delle professioni che sono state scelte dai ragazzi del progetto LIFT, che variano dall’ambito del commercio al dettaglio, all’edilizia fino all’artigianato.

La formazione è uno strumento imprescindibile  per garantire la prosperità ed il benessere della società e dell’economia. Il contatto fra il tessuto economico ticinese ed i giovani di scuole di diverso genere ed età è una missione su cui la Cc-Ti continuerà a profilarsi concretamente.

Scopri l’impegno della Cc-Ti nell’ambito della formazione professionale per i giovani!

Uniti per la formazione professionale

La Cc-Ti rinnova l’impegno verso l’orientamento scolastico e professionale con le aziende in seno al Comitato di Espoprofessioni.

Sviluppo di azioni e misure a sostegno della formazione professionale di base, continua e dell’orientamento scolastico e professionale, promozione delle professioni di tutti i settori economici e supporto alle associazioni di categoria affiliate per iniziative di vario genere. Sono questi alcuni dei temi su cui – anche – volge l’attività della Cc-Ti, al fine di rispondere in maniera concreta alle necessità di manodopera qualificata e garantire alle aziende figure professionali specializzate.

Una conferma per Espoprofessioni

Abbiamo più volte evidenziato come la formazione e l’orientamento professionale siano prioritari per il successo dell’economia ticinese e svizzera. Infatti da sempre sosteniamo che la formazione professionale porta una pluralità di visioni e di professionisti, che sono le risorse per il nostro Paese. In questo senso abbiamo il piacere di confermare ancora una volta il nostro impegno nel Comitato organizzatore di Espoprofessioni 2020, che si terrà a Lugano dal 9 al 14 marzo, con Lisa Pantini, Responsabile delle relazioni con i soci Cc-Ti.

La formazione professionale in primo piano

Ricordiamo che la Cc-Ti è attiva in numerosi ambiti che promuovono il tema e la sua sensibilizzazione verso pubblici diversi, lavorando in sinergia con associazioni di categoria, enti differenti, istituzioni, scuole, sindacati, ecc. Tra essi possiamo citare:

  • il progetto LIFT (che prosegue con successo in 7 Scuole Medie pubbliche ticinesi, attivo dal 2013), un percorso per i giovani di 3a e 4a media, che prevede stages nelle aziende. La Cc-Ti ha aderito con entusiasmo a questo progetto, entrando a far parte del plenum direttivo e offrendosi quale trait d’union fra mondo del lavoro e scuola, coordinando la rete di aziende che si sono messe a disposizione per offrire un posto di stage e sostenendo il progetto con contatti e promozione
  • il costante dialogo con le associazioni di categoria, che si occupano in prima linea di formazione professionale per gli apprendisti e la formazione professionale superiore.
  • l’erogazione di corsi di formazione puntuale e un percorso di formazione professionale superiore con la propria Scuola Manageriale.

Scopriamo di più sul tema della formazione professionale verso i giovani e sulle esperienze con Espoprofessioni in questa video intervista a Lisa Pantini, Responsabile delle relazioni con i soci Cc-Ti e membro di comitato della manifestazione. 

Spazi di lavoro in evoluzione

Il “corpoworking” si sta affermando quale spazio di lavoro per generare innovazione e incrementare la flessibilità e creatività delle persone e dei team di lavoro

Si chiama “corpoworking”, è definito come spazio di lavoro atipico nel quale l’innovazione e la creatività sono dei must. Un fenomeno che sta prendendo piede anche in Ticino con alcune aziende che si aprono a nuove forme di lavoro e possibilità diverse per i dipendenti di interagire tra loro e con altri professionisti, tema tra l’altro a cui la Cc-Ti ha dedicato un evento nel corso del 2018 .

Corpoworking è l’insieme di ‘corporate coworking’, ossia il coworking del business. Luogo di lavoro non solo fisico, ma interno ed esterno all’azienda e composto dall’essenza stessa dell’azienda, dove lavorano, parlano, discutono, si incontrano e si rilassano, dipendenti, freelance, visitatori dell’azienda, ospiti e dirigenti. Si tratta di una ‘comunità’ basata sulla condivisione e sullo scambio, come punto nevralgico di una crescita sana e condivisa.

La diversità stimola la performance

Spazi di lavoro condivisi dunque, dove l’azienda non ha un vero e proprio confine, ma in cui viene permesso di innovare, crescere e stimolare nuovi concetti ed idee. Chi ne fa parte? Chiunque lavori o si trovi nell’azienda. Lo spazio viene infatti concepito come un luogo di lavoro dove associare e intersecare competenze diverse, abbinando abilità complementari per performance più efficienti. Grafici, contabili, designer, dirigenti, ecc. la lista dei profili è lunga e non ha limiti. Così facendo si coniugano collaborazione interna fra team differenti e apertura verso l’esterno.

Nuove forme di lavoro

Ancora poco sviluppato in Ticino, il “corpoworking” sta trovando grande interesse per dinamizzare e flessibilizzare le realtà aziendali, stimolando la collaborazione e generando innovazione. Anche a livello gestionale, vengono riscontrati benefici per le risorse umane, in termini di mobilità ed incremento della soddisfazione e della produttività dei collaboratori. Non solo: l’assenza di barriere gerarchiche nei rapporti umani che si instaurano in questi spazi permette di valorizzare al meglio la centralità dell’individuo, elemento cardine per ogni azienda.

Una testimonianza concreta

Nell’intervista con Dario Dellanoce, Design Strategist di Sketchin, cerchiamo di capire meglio il ‘corpoworking’, quali benefici porta e su cosa puntare per mantenersi innovativi.

Il “corpo-working” è una nuova concezione del lavoro. Presso di voi come è stato implementato?

In Sketchin questo tipo di approcci – corpoworking, ma anche altri – emergono solitamente in maniera molto spontanea. Insomma, non ci siamo svegliati un giorno dicendo “Oggi implementiamo un nuovo modo di lavorare”… Piuttosto il contrario: siccome operiamo in un settore un po’ atipico, e il valore che offriamo ai nostri clienti è dato proprio dalla nostra capacità di pensare e operare fuori dagli schemi, alla fine questo si riflette anche nel modo in cui concepiamo le modalità e gli spazi di lavoro all’interno dell’azienda. Uffici luminosi e moderni, che invogliano i clienti a venire da noi per workshop e attività collaborative. Spazi aperti con postazioni mobili, dove i nostri team possono confrontarsi e contaminarsi in maniera continua (e dove a volte organizziamo anche piccoli eventi informali). Aree comuni con cucina, divani, libri, maxi-schermi. Orari flessibili e politiche di remote working, per garantire alle persone il miglior equilibrio possibile tra lavoro e vita privata. In generale, un ambiente stimolante, inclusivo e divertente, che tutti viviamo con una logica molto “aggregativa”. In questo senso, siamo sempre stati parecchio lontani dall’idea di ufficio tradizionale… Si potrebbe dire che il tema del corpo-working ha sempre fatto parte del nostro modo di pensare, anche se non l’abbiamo mai chiamato così.

Quali benefici porta ai dipendenti ed alla performance aziendale?

Sicuramente ci sono tanti vantaggi. Per le persone, significa avere maggiore flessibilità e un ambiente più piacevole in cui lavorare, oltre al fatto implicito di non sentirsi “controllate”, come invece succede in altri posti di lavoro più gerarchici e tradizionali. A livello di performance, gli spazi aperti (e rispettosi della persona a tutto tondo) stimolano la collaborazione, il confronto e il lavoro di squadra. Le persone quindi lavorano meglio, sono più motivate e sorridenti. Il modo di concepire il lavoro in Sketchin è allo stesso tempo frutto e origine dell’asset più importante che abbiamo: la nostra cultura. Lavorare insieme è il modo migliore per farla circolare tra le persone e fare in modo che queste la interiorizzino, a tutto vantaggio della qualità delle cose che facciamo e, in ultima istanza, anche nella soddisfazione dei clienti che collaborano con noi.

Sempre alla ricerca di nuovi stimoli e di innovazione costante. Su quali altri strumenti e/o strategie occorre far leva per essere dinamici oggi?

Ovviamente non basta avere un bell’ufficio per essere competitivi. Serve una visione chiara di dove si vuole andare e del perché ci si sta andando, metodi di lavoro più snelli ed efficienti, capacità di anticipare il futuro e di adattarsi a sfide sempre più complesse. Ma soprattutto servono Persone che abbiano nel DNA questo modo di fare, questa curiosità, questa voglia di mettersi in gioco. Abilitarle a dare il meglio. Alla fine l’ambiente di lavoro diventa un po’ il riflesso di tutte queste cose: flessibile, aperto, creativo, in movimento. La conseguenza di un certo modo di fare e di pensare, non la causa.

Imparare lavorando grazie all’apprendistato

Invecchiamento della popolazione, pensionamento della generazione dei baby boomers e un clima politico che non favorisce, di certo, l’arrivo di lavoratori dall’estero, e non solo di personale qualificato, di cui il nostro sistema produttivo ha invece bisogno. Problemi che possono avere ripercussioni pesanti sulla crescita economica.  Ne abbiamo parlato con Mauro Dell’Ambrogio, già Segretario di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione.

Imparare lavorando, grazie all’apprendistato.

“Con più pensionati, meno lavoratori e risparmi non remunerati, crollano lo Stato sociale e il sistema pensionistico, non solo la crescita economica” sottolinea Mauro Dell’Ambrogio, ex Segretario di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione. “L’immigrazione non va combattuta- precisa- ma selezionata: sì a imprenditori e specialisti in grado di mantenerci al top della concorrenza mondiale, no a chi non si integra e non produce. Questa cinica necessità non contraddice misurati atteggiamenti di solidarietà, anche globale: una civiltà tesa solo al benessere materiale, magari mal ripartito, senza altri valori non sopravvive”.

Da anni si lamenta nel nostro Paese la mancanza di manodopera qualificata, un deficit evidenziato anche in Ticino dall’ultima inchiesta congiunturale della Cc-Ti. Come risolvere questo problema?

“Dipende dal settore. Rafforzare l’offerta di formazione, riqualificare (ad es. nel settore informatico), trattenere o far tornare sul mercato del lavoro (come il personale femminile nelle cure). Prestigio e condizioni di lavoro hanno pure effetto su vocazioni e disponibilità, in una società nella quale nessuno deve lavorare per sopravvivere, ma talento e volontà richiesti superano quelli disponibili. Importare è inevitabile per i lavori che i residenti non amano o non hanno il talento per fare. Nelle professioni regolamentate si può anche esaminare se i requisiti d’accesso non siano troppo selettivi”.

La Svizzera vanta un sistema di formazione duale invidiato dagli altri Paesi, questo modello sarà anche in futuro la strategia vincente o bisognerà in qualche modo migliorarlo?“

Migliorarlo si può sempre, ma attenzione a non stravolgerlo, come ogni tanto si rischia di fare dando più peso alla parte scolastica che a quella aziendale. All’estero lo si è fatto con risultati catastrofici”.

Lei si è dimostrato alquanto scettico sulla proposta del DECS di prolungare l’obbligo scolastico sino a 18 anni. C’è il rischio di parcheggiare a scuola per altri tre anni i ragazzi? Con quali misure si potrebbe favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro?

“Il DECS parla di obbligo di formazione, non scolastico. Ciò è giusto. Ho dubbi sull’obbligo. Non solo la scuola, ma anche il lavoro medesimo è strumento principe di formazione e quindi di successive possibilità di inserimento. Le esperienze all’estero dimostrano che ritardando l’entrata nel mondo del lavoro si ha non solo un minor successo d’inserimento, ma anche una maggiore discriminazione sociale: in Svizzera l’apprendistato apre ogni tipo di carriera, anche a chi è d’origine sociale sfavorita; altrove fra i tanti che studiano trova posto chi ha radici sociali privilegiate”.

Formati a livello globale

In quest’intervista con Christoph Wild, CEO Argor-Heraeus SA, capiamo meglio le necessità dell’industria sui temi dell’esigenza di personale specializzato, come pure del contesto internazionale in cui Argor-Heraeus SA opera. 

Per l’industria è fondamentale poter contare su personale specializzato. Come occorre agire nell’incentivare i giovani nello scegliere le professioni tecniche?

La risposta va cercata a livello sistemico affinché tutti gli attori coinvolti – aziende, enti formativi, istituzioni e associazioni di categoria – contribuiscano a rendere l’industria più attrattiva. Un ruolo importante è giocato dall’orientamento professionale, ma ritengo che ciò sia solo la punta dell’iceberg. Tutti dovrebbero contribuire mettendosi a disposizione, manifestando le proprie necessità e promuovendo l’industria come un settore ricco di opportunità. Nel nostro piccolo collaboriamo da tempo con SUPSI in questo senso: negli anni abbiamo accolto molti studenti presso la nostra sede affinché potessero vedere da vicino quello che è il nostro lavoro e ogni anno consegniamo un premio per il migliore lavoro di diploma tra gli studenti del Master in Engineering. Un premio che vuole valorizzare i giovani di talento e al tempo stesso a fare capire ai ragazzi come le loro competenze possono essere impiegate.

Come affronta oggi il vostro comparto (nello specifico la vostra azienda) le sfide legate all’internazionalizzazione?

La maggiore sfida legata all’ambito internazionale per il nostro settore riguarda la definizione di un contesto di riferimento chiaro e condiviso che permetta di garantire che il metallo prezioso venga estratto nel pieno rispetto dell’ambiente e delle comunità locali. In tal senso la parola chiave è collaborazione. Lavoriamo con organismi sovranazionali, Governi e associazioni di settore per la definizione di linee guida, standard, regolamenti e best practice viepiù stringenti affinché il nostro settore diventi sempre più trasparente e responsabile. Svolgiamo anche un lavoro di sensibilizzazione verso i partner lungo la filiera rispetto all’importanza, anche meramente economica, di operare secondo determinati standard.

Outplacement o Newplacement e gestione del licenziamento

“La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità” Lucio Seneca.  Dal dizionario: “Particolare forma di consulenza che prevede l’affidamento a un’agenzia specializzata dell’incarico di ricollocare in una nuova attività il personale in esubero di un’azienda”.

Outplacement, noto anche come newplacement, inteso come ricollocamento professionale di un collaboratore dopo la fine del rapporto di lavoro, è uno strumento relativamente nuovo nella gestione del personale e sta ottenendo sempre maggiore attenzione.

L’outplacement è nato negli Stati Uniti quale sistema di reintegrazione sistematica dei soldati americani in occupazioni non militari, diffondendosi poi dopo la seconda guerra mondiale. Questo “appoggio sociale” è stato introdotto nei paesi di lingua tedesca negli anni 80, purtroppo poco diffuso invece negli altri stati dell’Europa occidentale. Aziende specializzate nell’orientamento professionale accompagnano le persone che hanno perso il proprio impiego nel loro percorso. La consulenza può non essere orientata solo nella ricerca di un nuovo impiego, ma anche verso una semplice rivisitazione della propria carriera. Uno degli obiettivi di un buon outplacement è quello di ottenere, dopo un licenziamento, un risultato “vincente-vincente” tra l’ex collaboratore e il datore di lavoro. Gli aspetti conflittuali legati a questa situazione possono, così, essere largamente ridimensionati. L’outplacement non esaurisce la propria utilità nel solo campo HR. Nel suo percorso di accompagnamento possono essere contemplati e analizzati anche i mutamenti degli scenari aziendali: ad esempio la centralizzazione delle unità produttive, nuove tecnologie, difficoltà legate al crollo dei mercati, cessazione dell’attività o fusione, ecc..

L’outplacement può fornire risposte concrete all’esigenza di un potenziamento economico o del recupero della propria competitività aziendale.

Il licenziamento comporta ripercussioni negative per tutte le parti coinvolte (studio Baum, 2009). Per il 67% rappresenta un peggioramento dell’immagine aziendale, per il 62% la perdita della pace sociale in azienda e per il 53% la diffusione di voci critiche all’interno e all’esterno all’azienda. Possiamo comprendere che il modo in cui l’azienda guida il processo di separazione ha quindi un impatto importante sulla propria immagine di datore di lavoro (attento e responsabile / irrispettoso e ingannevole), utile per un futuro reclutamento di manodopera, per la credibilità e anche per la motivazione dei propri dipendenti.

Una condotta ragionevole permetterà che eventuali conflitti giuridici alla fine del contratto di lavoro, abbiano un impatto nettamente inferiore, presenterà una scemata responsabilità sociale nei confronti del lavoratore, una limitazione importante dei conflitti durante il tempo restante di collaborazione, un’immagine di correttezza verso l’esterno, nei confronti dei clienti o sindacati. L’outplacement fornisce al dipendente una migliore percezione del mercato del lavoro commisurata alla sua persona, la conoscenza di mercati meno noti ma altrettanto validi, il riconoscimento dei propri punti di forza o debolezza, il sostegno attivo in caso di crisi, la prevenzione per scelte errate o affrettate, il rafforzamento della fiducia in se stesso.

Deve essere chiaro per il dipendente che deve affrontare un licenziamento e una ricollocazione, che l’outplacement non è pensato per fornire una nuova opportunità di lavoro fine a se stessa. Il valore aggiunto di questo sistema risiede nel fornire gli strumenti necessari per identificare le capacità soggettive, le diverse esigenze e l’importanza di queste per la singola persona. Il dipendente deve elaborare e fare proprio un obiettivo professionale chiaro e reale. L’outplacement fornisce al dipendente tutto il supporto per realizzarsi a 360°,

Riassumendo il suo funzionamento, l’attività di outplacement presuppone la presenza di tre protagonisti fondamentali:

  1. l’azienda, che conferisce l’incarico di affiancare l’ex dipendente durante tutto il processo di reinserimento lavorativo;
  2. la società che fornisce il servizio di outplacement e si impegna a seguire l’ex dipendente a tempo indeterminato, fino all’avvenuto reinserimento nel mercato del lavoro;
  3. il dipendente, che si impegna a seguire il programma di ricollocamento stabilito dalla società fornitrice del servizio.

Questi tre soggetti collaborano tra loro, ognuno con doveri specifici: l’azienda, ad esempio, deve farsi carico del costo dell’operazione, la società di Outplacement è tenuta a fornire al candidato mezzi e servizi per favorire in tempi ragionevoli il ricollocamento professionale e il dipendente ha l’obbligo di impegnarsi nella ricerca del lavoro.

L’Outplacement può essere previsto nel contratto di lavoro o con un accordo separato tra l’azienda e il dipendente; il servizio può essere proposto prima, dopo o durante il periodo di preavviso di licenziamento.
Inoltre, è importante sottolineare che le agenzie che offrono questa prestazione lavorano solo su incarico dell’azienda: è quindi necessario che sia quest’ultima a richiederne il servizio.

Aiutare la persona a fronteggiare l’impatto emotivo della perdita del lavoro e a migliorare le capacità di ricercare nuove opportunità occupazionali (descrizione del mercato del lavoro, self – marketing, costruzione del curriculum vitae, simulazione di colloqui, …), dimezza spesso i tempi di reinserimento.

Qualche nota generale

L’ambiente lavorativo comporta nella quotidianità di un’azienda diverse responsabilità e un’alternanza di aspetti soddisfacenti e positivi con “appuntamenti” purtroppo meno gratificanti, difficili da affrontare, da gestire e analizzare. La decisione di rinunciare a un dipendente, indipendentemente dalla ragione, è un compito che un HR gestisce sempre con difficoltà e stress. Il licenziamento è un momento amaro per entrambi le parti coinvolte, un “arresto” anche per la vita aziendale. In molte occasioni, per fortuna, permette anche a entrambi di rimediare a un errore e guardare avanti, verso un futuro più calzante.

Il licenziamento è spesso affrontato solo nel suo aspetto legale e tecnico. Quello che però non bisogna dimenticare è che rappresenta la fine di un rapporto umano oltre che lavorativo. Una decisione di questa portata deve sempre presupporre una riflessione profonda e seria che escluda una qualsiasi alternativa.

Licenziare qualcuno non significa screditare la persona, ma giudicare in virtù delle abilità professionali che non ha saputo esprimere al meglio in azienda.

Vi sono diverse teorie sulla scelta più appropriata del giorno e ora per questa comunicazione al dipendente. L’inizio di settimana, ad esempio, permette al dipendente di attivarsi subito per un nuovo impiego o per svolgere la burocrazia necessaria. Per contro, la comunicazione della notizia il venerdì pomeriggio potrebbe ridurre il tempo per potenziali conflitti “del momento” con il resto del team.

Ogni passo o scelta deve essere portato a termine considerando sempre prioritari gli interessi dell’attività e dello staff. Alcuni consigli:

  1. Immediatezza senza giri di parole (meglio: “Si accomodi. Devo parlarle seriamente” piuttosto di un “Si accomodi. Le sembra che il suo lavoro sia soddisfacente negli ultimi tempi?”).
  2. Comunicare i motivi in modo chiaro e concis Non dare false speranze per una seconda opportunità. Evitare le frasi fatte.
  3. Ascoltare il dipendente, aspettandosi reazioni differenziate a dipendenza del carattere della persona. Prestare attenzione ai segnali non verbali aiuta a gestire più correttamente la situazione.
  4. Risolvere subito i sospesi: scadenze, pagamenti arretrati, giorni di vacanza non goduti, ecc.
  5. Con un colloquio di persona: il licenziamento va sempre comunicato di persona: l’idea di licenziare qualcuno per telefono o tramite email non deve essere neanche presa in considerazione. Un tale comportamento denoterebbe mancanza di rispetto, scarsa professionalità e una grave insensibilità.

Prima di congedarsi è importante prepararsi nell’azienda e con i collaboratori alla migliore gestione post-evento: a dipendenza delle mansioni del dipendente è importante riorganizzare le procedure che lo coinvolgevano e ricollocare, eventualmente, i collaboratori già presenti fino a quando si troverà, se necessario, un valido sostituto. Utile e gradito è il certificato di lavoro, da rilasciare alla fine del tempo previsto, dove riconoscere le abilità della persona (le cosiddette “soft skills” – problem solving, negoziazione, lateral thinking, team management, gestione dello stress, proattività, ecc.) e non solo le sue mansioni (articolo 330a del Codice delle obbligazioni). Un licenziamento non deve venire, per forza, giustificato. Al contrario, secondo l’articolo 335 p. 2 CO, il datore di lavoro è invitato a dare una giustificazione solo nel caso l’altra parte la richieda. Nella pratica non è necessario giustificare per iscritto il provvedimento, ma si può introdurre una frase che indichi “come discusso verbalmente” a questo proposito. Se il datore di lavoro si rifiuta di dare una giustificazione è pensabile che, in caso di controversia, questo atteggiamento non giocherà a suo favore. Anche senza una giustificazione, il licenziamento sarà comunque valido.

Il Servizio giuridico della Cc-Ti è a disposizione dei soci per qualsiasi informazione in merito!

Pianificare le risorse umane in azienda

Nell’ambito delle risorse umane, la pianificazione del personale è il processo che si occupa di rendere coerente la consistenza e la qualità delle risorse umane con la missione aziendale. La riflessione sulle reali esigenze aziendali nell’ambito del personale costituisce “l’anima” per la costituzione della pianificazione del personale.

Il sistema di gestione delle risorse umane è lo strumento principale mediante il quale le imprese cercano di allineare l’organizzazione e le persone alle strategie di business. Quindi “prevedere e provvedere” diventano le parole chiave per affrontare con successo questo processo.

Di quante persone necessito realmente?

Quali caratteristiche e competenze devono avere i nostri attuali e futuri collaboratori?” 

  • utile l’utilizzo di metodi statistici in grado di stabilire il fabbisogno di personale sulla base di analisi relativamente obiettive, basate sull’andamento di indicatori guida degli anni precedenti. L’indicatore guida (Leading indicator) è una misura quantitativa che consente di prevedere il futuro fabbisogno di personale; sulla base dei dati storici aziendali si affronta il processo di elaborazione del budget del personale consistente nell’analisi dell’organico e della determinazione del fabbisogno. Essa è strettamente connessa agli obiettivi gestionali aziendali.

Di norma la determinazione del fabbisogno di manodopera trae origine dal numero di ore di lavoro necessarie alla realizzazione del Budget di produzione.

  • utile un’analisi dettagliata che identifichi le persone che appartengono alle diverse famiglie professionali. Tale analisi viene modificata e adattata successivamente, considerando i cambiamenti causati da pensionamenti, promozioni, trasferimenti, uscite volontarie e licenziamenti.

Se la vostra valutazione riconosce una carenza di forza lavoro, il reclutamento del personale sarà il passo successivo mirato alla ricerca di quelle figure in grado di rispecchiare le esigenze dell’immediato, unitamente a quelle future. La formazione del personale già esistente o l’integrazione di nuovi collaboratori, richiede chiari parametri delle conoscenze e competenze che i dipendenti devono aver acquisito, acquisire o consolidare.

Cambiamenti interni o esterni all’azienda possono dare luogo a una rivalutazione dell’assegnazione del personale. Questo tipo di manovra consentirà di distribuire o ridistribuire il lavoro più razionalmente, tenendo conto di tre variabili-chiave: quantità, qualità e tempo. Chi lavorerà dove? Di quanti dipendenti per un lavoro specifico? Per quanto tempo saranno impegnati per settore o ordine?

Nelle grandi aziende deve essere presa in considerazione anche una suddivisione del personale per età, sesso, nazionalità, qualifica e altri criteri. Ad es. è importante che una generazione non raggiunga l’età della pensione “contemporaneamente” in un corto intervallo di tempo, o che troppi dipendenti prendano le loro vacanze nello stesso periodo di tempo.
Per la maggior parte delle realtà aziendali si possono identificare due prime conclusioni che prevedono passi adeguati per ognuna.

Disponete di un numero insufficiente di persone:

  • previsione di ore supplementari di lavoro;
  • razionalizzazione dei processi lavorativi (automazione, semplificazione dei processi,ecc.) e identificazione dei punti deboli nella produzione;
  • assunzione di nuovi collaboratori a tempo indeterminato o collaboratori temporanei (prestito di personale);
  • più funzioni per alcuni collaboratori o prestito di personale interno tra i reparti (ripartizione temporanea);
  • distribuzione di alcune attività ad altri dipartimenti interni;
  • aiuto da aziende esterne per alcuni processi.

Disponete di un numero in esubero di persone:

  • compensazione delle ore supplementari con vacanze;
  • riduzione del tempo di lavoro, congedi (congedi di lunga durata o di formazione);
  • pensione anticipata  o disoccupazione parziale;
  • nuovi tempi di lavoro (es. tempo di lavoro annuale);
  • ripartizione nuova delle competenze (a tempo determinato o indeterminato);
  • licenziamento (piani sociali);

La pianificazione delle risorse umane assume una grande importanza per permettere di reagire in tempo utile alle esigenze di mutazione di ogni mercato aziendale, mantenendo l’azienda concorrenziale, sana e più facile gestione.

All’interno di questo planning è d’obbligo un breve cenno al tasso di rotazione aziendale (job rotation).

Si distinguono diverse tipologie di base all’interno di un tasso positivo:

  • Job rotation orizzontale: s’intende un tipo di rotazione su ruoli di pari livello all’interno di un settore aziendale. Lo scopo è quello di far acquisire al dipendente competenze maggiori relative alla sua attuale posizione
  • Job rotation verticale: il soggetto nel subire un cambio di posizione cresce di livello
  • Job rotation interfunzionale: la rotazione si configura su più aree e ruoli aziendali, in questo modo la risorsa assume una conoscenza del business allargata.

Il percorso di crescita internazionale è attivabile solo nelle aziende internazionali o multinazionali. Il collaboratore ha la possibilità di intraprendere un percorso di crescita in altri paesi del gruppo

Un sano tasso di rotazione di personale presenta dei vantaggi spesso sottovalutati. Il cambiamento può diventare sinonimo di dinamismo. Le nuove collaborazioni incentivano il personale esistente e presentano idee nuove e nuove forme di organizzazione o produzione. I nuovi collaboratori portano con sé l’esperienza acquisita nelle aziende precedenti o/e in realtà concorrenti. L’azienda da parte sua, ovviamente, deve essere recettiva all’innovazione e aperta ai cambiamenti per approfittare a fondo e valutare attentamente quanto proposto.  La partenza dei nostri collaboratori (rotazione negativa), spesso mina o mette a repentaglio le relazioni consolidate con i nostri clienti ; altre volte crea un clima d’insicurezza anche all’interno del team stesso. Durante il tempo di disdetta la motivazione del dipendente può diminuire, unitamente alla sua resa. Questo tempo viene occupato, normalmente, da attività di chiusura della sua posizione e alla conservazione del know how. Quando la posizione resta vacante per un lungo periodo, è possibile che i progetti importanti legati a essa subiscano una fase di reale arresto. L’effetto di questa « frenata », purtroppo, sarà quantificabile solo sul medio lungo termine.

La fluttuazione del personale può generare costi diretti elevati: perdita di produzione, costi di transizione, di reclutamento, d’integrazione e a volte anche di liquidazione. Paradossalmente, spesso, un posto vacante di breve durata, crea costi maggiori di un posto vacante di lunga durata. Questo meccanismo in quanto, nel secondo caso, il personale viene sollecitato a reinventarsi e a ricercare soluzioni pratiche immediate per sostituire la persona fino al suo avvicendamento.

Non esiste alcuna soluzione rapida per ridurre il tasso di rotazione: è necessario un solido precedente lavoro di consolidazione e fidelizzazione sul lungo termine.

Una riorganizzazione interna o una decisione del quadro direzionale possono produrre un aumento temporaneo della rotazione e questo non può essere impedito. Lo stesso tasso di rotazione può però essere contenuto da un corretta informazione, attenzione e rispetto per il personale aziendale.

Di nuovo, come per la pianificazione del personale, un’analisi differenziata per settore può rivelare all’interno di quale gruppo di collaboratori è presente una maggiore rotazione di personale (es. nuovi dipendenti, gruppi professionali, fasce d’eta, singoli settori, ecc.).

Esempio: se fossero specialmente i nuovi dipendenti a lasciare l’azienda, i processi che regolano la selezione e l’integrazione del personale dovrebbero essere riveduti e migliorati.

Quali fattori fidelizzano in azienda:

  • immagine dell’azienda percepita dall’esterno;
  • strategie aziendali trasparenti e di successo;
  • informazione aperta e leale tra tutti i dipendenti;
  • settori interessanti e motivanti presenti nell’azienda e opportunità di sviluppo professionale;
  • accredito di responsabilità e potere decisionale;
  • riconoscenza del valore, rispetto delle risorse umane e integrazione nei team;
  • retribuzione appropriate a conferma anche della solidità aziendale.

Attenzione: l’insoddisfazione anche di singole aree può influenzare e intaccare aree più vaste, anche se «sane». La fidelizzazione del personale presuppone solide competenze sociali da parte dei responsabili del personale e della stessa dirigenza. Un buon datore di lavoro si differenzia da un semplice datore di lavoro quando riesce a coinvolgere i propri collaboratori nel proprio progetto creativo di crescita aziendale. Lavorare insieme e nella stessa direzione, spesso, crea i presupposti necessari e le basi tangibili per la costruzione di un futuro di successo sotto tutti i punti di vista: aziendali, personali, familiari e finanziari.

Il Servizio giuridico Cc-Ti è sempre a disposizione degli associati per maggiori informazioni a riguardo delle tematiche sulle risorse umane

Previdenza professionale: capitale o rendita?

Capitale o rendita? Una decisione con conseguenze significative per il reddito nella terza età. I futuri beneficiari di rendita devono attendersi minori prestazioni di vecchiaia dalla previdenza professionale. È anche per tale ragione che la questione della forma di prelievo dell’avere di vecchiaia, ovvero il fatto che si scelga una liquidazione in capitale o una rendita, acquista una rilevanza sempre maggiore.

Lo studio di Credit Suisse illustra le singole opzioni a disposizione degli assicurati in considerazione dell’aliquota di conversione, del contesto dei rendimenti, dell’aspettativa di vita e dell’onere fiscale. La decisione irrevocabile tra capitale e rendita può avere effetti rilevanti sul reddito disponibile durante la vecchiaia, a dipendenza del luogo di residenza e della situazione fiscale.

Un’ampia riforma del sistema previdenziale tarda ad arrivare. Per questo motivo, le casse pensione hanno cominciato a sfruttare il margine di manovra esistente nel regime sovraobbligatorio per far fronte, per quanto possibile, alla nuova realtà caratterizzata da tassi bassi e da un progressivo invecchiamento demografico. Di conseguenza, le aliquote di conversione e i tassi d’interesse tecnici sono stati ridotti. Inoltre le casse pensione trasferiscono in misura sempre maggiore i rischi d’investimento e di longevità sugli assicurati, obbligandoli a percepire l’avere di vecchiaia almeno in parte sotto forma di capitale. Alcune casse pensione prevedono che l’avere di vecchiaia risparmiato per alcune componenti salariali di importo più elevato possa essere versato alla data del pensionamento esclusivamente come capitale.

I piani di previdenza «1e» offrono alle casse pensione nuove opportunità per ridurre i rischi d’investimento e di longevità. Per le imprese ciò si traduce nella possibilità di alleggerire il bilancio degli obblighi pensionistici a lungo termine. Con questi piani, disponibili per le quote di salario superiori a CHF 126 900, gli assicurati hanno la possibilità di scegliere la propria strategia d’investimento e non devono mettere in conto alcuna redistribuzione – contraria al sistema – tra assicurati attivi e beneficiari di rendita. In questo modo gli assicurati possono beneficiare di opportunità di rendimento potenzialmente più elevate. A differenza di quanto accade con altre soluzioni di previdenza, nei piani 1e l’assicurato sopporta interamente in prima persona il rischio d’investimento e al pensionamento percepisce di norma una liquidazione in capitale. Tuttavia, solo un assicurato su dieci raggiunge l’ammontare del reddito richiesto e può così investire in un piano 1e offerto dal proprio datore di lavoro.

La pubblicazione «Previdenza professionale: capitale o rendita?» è disponibile su Internet in italiano, tedesco, francese e inglese.

Testo a cura del Credit Suisse, Lugano