I progetti rappresentano il veicolo principale attraverso cui l’innovazione si traduce in azione all’interno delle organizzazioni.
A differenza delle attività operative, che assicurano la continuità e la stabilità dei processi esistenti, i progetti servono a introdurre cambiamenti: nuovi prodotti, nuovi servizi, ma anche innovazioni di processo che migliorano l’efficienza e la qualità del lavoro. Ogni evoluzione, ogni risposta a un’esigenza di mercato, prende vita attraverso un progetto.
È grazie ai progetti che le strategie si trasformano in risultati concreti, che l’adattamento diventa reale e che l’innovazione si rende visibile. Governare i progetti con competenza significa guidare il cambiamento, creando le condizioni non solo per la sopravvivenza, ma per il successo duraturo delle organizzazioni in un contesto sempre più dinamico.
Negli ultimi anni, il project management si è affermato come leva strategica fondamentale, trainato dalla complessità crescente degli scenari economici, sociali e tecnologici. In un contesto dove il cambiamento è rapido, l’innovazione continua e l’incertezza perenne, la gestione dei progetti ha smesso di essere una funzione meramente operativa per diventare un elemento essenziale della visione strategica delle organizzazioni. Non si parla più soltanto di controllare tempi, costi e qualità: il project management è oggi parte integrante dei processi decisionali, capace di incidere sulla capacità di innovare, adattarsi e generare valore in modo concreto e duraturo.
Negli ultimi vent’anni, la crescita della disciplina è stata esponenziale. Sempre più aziende hanno compreso che il successo non nasce solo da buone idee, ma dalla capacità di trasformarle in risultati concreti attraverso una gestione efficace e coordinata. Questa consapevolezza ha portato a una crescente domanda di professionisti in grado di combinare competenze tecniche, capacità analitiche, leadership e gestione del cambiamento. La figura del project manager si è evoluta di pari passo, passando da esecutore di piani a protagonista delle strategie di innovazione.
Uno dei fattori chiave di questa evoluzione è stata l’adattabilità. I modelli tradizionali, inizialmente rigidi e sequenziali, si sono trasformati integrando approcci più agili e flessibili, capaci di rispondere alle esigenze di mercati in continuo movimento. Questa trasformazione ha reso il project management uno strumento estremamente versatile, adatto sia alle grandi multinazionali sia alle startup in fase di sviluppo. L’approccio ibrido, che unisce pianificazione rigorosa e capacità di reazione veloce, ha dimostrato di essere una delle risposte più efficaci alla crescente complessità degli ecosistemi economici.
L’importanza della gestione dei progetti non si limita al perimetro delle singole organizzazioni. I Paesi che investono nella formazione dei project manager e nella cultura della gestione per progetti mostrano una maggiore competitività, attraggono più investimenti esteri e registrano una crescita economica più robusta. È ormai evidente che la capacità di gestire progetti complessi ha effetti positivi non solo sul successo aziendale, ma anche sullo sviluppo socioeconomico generale.
Oggi il project management è diventato una lingua comune tra settori diversi. Dalle industrie manifatturiere ai servizi finanziari, dalla pubblica amministrazione alle organizzazioni no-profit, la gestione per progetti favorisce una maggiore collaborazione, una migliore tracciabilità e una più chiara responsabilizzazione dei team. Questo modo di operare riduce gli sprechi, aumenta la trasparenza e migliora la coerenza nell’uso delle risorse, creando una base solida su cui costruire il successo.
Uno dei segnali più forti della maturazione del project management è il suo crescente coinvolgimento nei processi di definizione strategica. Sempre più spesso, chi gestisce i progetti siede ai tavoli dove si prendono le decisioni cruciali, offrendo contributi basati su dati concreti, analisi dei rischi e valutazioni di impatto. In questo modo, il project management aiuta a ridurre l’incertezza, migliora la qualità delle scelte e assicura che ogni iniziativa sia allineata agli obiettivi a lungo termine dell’organizzazione.
Anche l’adozione delle nuove tecnologie ha avuto un ruolo trasformativo. L’intelligenza artificiale, l’automazione dei processi decisionali, la tracciabilità sicura delle informazioni e la simulazione virtuale dei progetti stanno cambiando profondamente il modo di pianificare, monitorare e gestire. Questi strumenti rendono possibile una gestione più predittiva, flessibile ed efficiente, rafforzando il ruolo strategico del project management come motore di innovazione e adattamento.
Il project manager di oggi non è più solo un controllore di tempi e budget. È un promotore dell’innovazione, un orchestratore del cambiamento e un catalizzatore della cultura del miglioramento continuo. Il suo compito non è solo assicurare che un progetto si concluda nei termini previsti, ma soprattutto garantire che ogni progetto sia un passo concreto verso la realizzazione della missione aziendale.
Guardando al futuro, il valore strategico del project management è destinato a crescere ulteriormente. In un mondo sempre più interconnesso e dinamico, la capacità di gestire il cambiamento attraverso progetti ben condotti rappresenterà un vantaggio competitivo imprescindibile.
È grazie ai progetti che le strategie si trasformano in risultati concreti
Investire nello sviluppo di competenze manageriali avanzate, integrare le potenzialità delle tecnologie emergenti e promuovere una cultura fortemente orientata ai progetti diventerà una necessità vitale. Non si tratterà più di una scelta, ma di una condizione essenziale per prosperare nella nuova economia globale. Il project management non è più soltanto una disciplina organizzativa: è uno dei pilastri su cui costruire il futuro delle organizzazioni e delle società.
A cura del Prof. Antonio Bassi, Presidente Associazione Project Management Svizzera
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/05/ART25-Project-management.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-05-12 08:00:002025-05-07 16:46:09Project Management: il motore invisibile della crescita e dell’innovazione
A partire dal 28 giugno 2025, l’European Accessibility Act (EAA – Direttiva UE 2019/882) entrerà in vigore nell’Unione Europea. L’impatto per il mercato elvetico sarà tutt’altro che secondario. Vediamo perché.
Cosa prevede l’Accessibility Act
La Direttiva impone che prodotti e servizi digitali – tra cui siti web, e-commerce, terminali self-service, app mobile, lettori e-book, servizi bancari e di trasporto – rispettino criteri di accessibilità funzionale. In pratica: dovranno essere percepibili, utilizzabili, comprensibili e robusti per tutti, comprese le persone con disabilità, entro il 28 giugno di quest’anno; non sono previsti periodi di tolleranza. Le sanzioni variano da Paese a Paese e vanno dall’oscuramento del servizio fino a multe salate (in Italia fino al 5% del fatturato annuo).
Un esempio: i non vedenti navigano i siti web grazie a software chiamati „screen reader“ che leggono a voce alta il testo e descrivono gli elementi visivi; è quindi indispensabile che le immagini siano state caricate con descrizioni alternative (alt text) che gli screen reader possano leggere. Indicazioni come questa, ispirazione della nuova legge, si rifanno alle linee guida WCAG 2.1 (Web Content Accessibility Guidelines), standard internazionale per rendere il Web accessibile anche ai portatori di disabilità visiva, auditiva, cognitiva, o motoria. Sono state sviluppate dal World Wide Web Consortium (W3C), organizzazione non governativa internazionale fondata da Tim Berners-Lee per valorizzare e diffondere le potenzialità del Web.
La situazione in Svizzera
Attualmente, l’Accessibilità dei siti web è un requisito obbligatorio per le istituzioni pubbliche, che sono tenute a riferirsi alle linee guida WCAG; per il settore privato, la situazione è più complessa: le aziende private non possono discriminare i dipendenti o il pubblico, ma non sono tenute ad adottare misure speciali per fornire i propri servizi ai portatori di disabilità.
Anche qui qualcosa sta cambiando: la proposta di modifica della legge sui disabili (LDis) dello scorso dicembre mira a una maggiore inclusività. Secondo l’Ufficio federale di statistica, circa il 21% della popolazione svizzera vive con una forma di disabilità; nella UE, la percentuale sale al 27% ossia un adulto su quattro sopra i 6 anni. La nuova normativa europea potrebbe quindi fungere da ispirazione anche per il Legislatore svizzero: pensiamo al precedente del GDPR, a cui è seguita la nLPD. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che, se un sito web svizzero si rivolge anche a un pubblico Europeo, deve necessariamente essere conforme alla Direttiva EAA.
Cosa significa “accessibile” per un sito web? Anche in questo caso, ci viene in soccorso la W3C, che stabilisce 4 principi fondamentali: per essere accessibile, un sito web deve essere:
Percepibile: il contenuto deve essere presentabile agli utenti, inclusi quelli con disabilità sensoriali (es. testo alternativo per le immagini per non vedenti, netto contrasto tra colore dei caratteri e colore dello sfondo per gli ipovedenti, ecc.).
Utilizzabile: i componenti e la navigazione devono essere utilizzabili da tutti, indipendentemente dalle capacità motorie o cognitive.
Comprensibile: il contenuto deve essere chiaro e facile da comprendere, con un linguaggio semplice e una struttura logica.
Robusto: il contenuto deve essere interpretabile correttamente da diversi strumenti (browser, screen reader, ecc.) e tecnologie assistive.
Queste caratteristiche migliorano il rendimento del sito. E non solo agli occhi degli utenti.
Accessibilità e SEO: un binomio vincente
Ecco 5 punti da seguire per rendere il proprio sito web più accessibile:
Condurre un audit di accessibilità: valutare lo stato attuale del sito rispetto alle linee guida WCAG 2.1.
Implementare miglioramenti tecnici: apportare le modifiche necessarie alla struttura e ai contenuti per garantire l’accessibilità.
Integrare strumenti per migliorare la navigazione, come widget che permettono agli utenti di personalizzare la fruizione del sito (es. navigazione da mobile con una sola mano).
Cambiare i processi consolidati nelle attività continuative, come la pubblicazione di postblog (es. curare l’impostazione di testi e metatesti);
Formare il personale: assicurarsi che designer, sviluppatori e content editor siano consapevoli delle best practice in materia di accessibilità, in modo da remare tutti nella stessa direzione.
Un punto di svolta
L’entrata in vigore dell’European Accessibility Act rappresenta un momento cruciale per le aziende svizzere. Adeguarsi agli standard di accessibilità non è solo una questione di conformità legale, ma un’opportunità per migliorare la propria presenza online, raggiungere un pubblico più ampio e dimostrare un impegno verso l’inclusività. Investire nell’accessibilità oggi significa prepararsi a un futuro digitale più equo.
Articolo a cura di Manuela Cuadrado, Account Manager Breva Digital Communication Sagl
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/05/ART25-access.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2025-05-09 16:45:002025-05-08 11:00:59Accessibilità digitale: l’onda lunga della Direttiva Europea arriva anche in Svizzera
La riforma dell’AVS 21, che è entrata in vigore il 1° gennaio 2024, prevede una maggiore flessibilità nel pensionamento. Ad esempio, il termine “età pensionabile” è stato sostituito da “età di riferimento”, per designare il momento in cui gli assicurati possono richiedere la rendita di vecchiaia senza essere soggetti a una riduzione per il pensionamento anticipato o a un supplemento per il differimento
Data la complessità della materia e le numerose specificità ed eccezioni, la presente scheda fornisce una panoramica delle nuove possibilità offerte dal primo pilastro, tenendo presente che il primo pilastro è solo uno dei fattori che entrano in gioco nel determinare le risorse disponibili al momento del pensionamento.
Pensionamento all’età di riferimento
L’età pensionabile di riferimento sarà gradualmente innalzata da 64 a 65 anni per le donne, con misure di compensazione per le donne nate tra il 1961 e il 1969. Queste possono assumere varie forme, tra cui prestazioni pensionistiche migliori in determinate situazioni, non soggette al massimale per le donne sposate. Tutti i futuri pensionati devono presentare una richiesta al fondo di compensazione competente alcuni mesi prima del raggiungimento dell’età di riferimento per attivare il pagamento della pensione.
Pensionamento anticipato
Anticipo totale È ora possibile percepire la pensione in anticipo a partire dal primo giorno del mese successivo al compimento del 63° anno di età. È possibile scegliere di percepire la pensione in anticipo, per intero o in parte. In questo caso, la pensione viene calcolata in modo normale, tenendo presente che la pensione anticipata è generalmente parziale, in assenza di un periodo completo di contributi. L’importo della pensione così calcolato viene poi ridotto di una percentuale che dipende dalla durata del periodo di prepensionamento. Durante il periodo di prepensionamento è necessario continuare a versare i contributi AVS, se necessario, come persona non attiva.
Anticipo parziale È ora possibile percepire tra il 20% e l’80% della pensione di vecchiaia prima di raggiungere l’età di riferimento. Durante il periodo di anticipazione, è possibile aumentare una volta la percentuale anticipata. In questo caso, il calcolo viene effettuato come per il prelievo anticipato completo.
Fine dell’anticipazione Al raggiungimento dell’età di riferimento, viene calcolata la pensione di vecchiaia definitiva, tenendo conto dei contributi versati durante il periodo di prepensionamento. Una volta stabilito l’importo della pensione, questo viene ridotto in base alla durata del periodo di pensionamento anticipato. Al momento del decesso dell’assicurato che ha versato la pensione anticipata, la pensione della vedova, del vedovo o dell’orfano che gli succede non viene ridotta.
Rinvio del pensionamento
Rinvio totale Chi raggiunge l’età di riferimento può differire la riscossione della pensione di vecchiaia da uno a cinque anni. Ciò consente di ricevere una pensione di vecchiaia maggiorata, a seconda della durata del differimento. Il meccanismo è quindi inverso a quello dell’anticipazione. Il differimento non può essere inferiore a un anno. Nel caso di assicurati coniugati, l’aumento legato al differimento non è influenzato dal massimale della pensione. Il differimento può riguardare la totalità o una parte della pensione, senza che sia necessario stabilire in anticipo la durata del differimento. Dopo un anno di differimento, è possibile revocarlo, in tutto o in parte, e ottenere il pagamento della pensione a partire dal mese successivo alla revoca. Tuttavia, il differimento non è possibile se l’assicurato percepisce una pensione di invalidità totale o un’indennità di frequenza.
Rinvio parziale Il differimento può riguardare solo una parte della pensione, dal 20% all’80% della stessa. Questa percentuale può essere ridotta una volta durante il periodo di differimento, ma non aumentata. Se una parte della pensione è stata anticipata, è possibile differire solo il saldo.
Fine del rinvio Il differimento termina quando l’assicurato revoca la rendita. La revoca si considera avvenuta anche quando è trascorso il periodo massimo di cinque anni, precisando che l’assicurato deve richiedere espressamente il pagamento della pensione. Anche la concessione di un assegno di invalidità o il decesso dell’assicurato pone fine al differimento. Le pensioni di reversibilità che seguono una pensione di vecchiaia differita non vengono aumentate.
Fonte: CVCI, Demain, agosto/settembre 2024. Traduzione ed adattamento: Cc-Ti
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/02/ART25-Pensionamento-flessibile.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-02-21 08:00:002025-02-17 15:35:02Pensionamento flessibile nel regime del 1° pilastro
Il passaggio di proprietà di un’azienda è, innegabilmente, una fase importante nella vita di un’azienda
Si tratta di un processo lungo e sfaccettato che tocca diversi ambiti, tra cui quello finanziario (valutazione e finanziamento dell’azienda), giuridico (redazione dei contratti) e fiscale (tassazione dell’imprenditore e dell’azienda). Il punto di vista di uno specialista del settore: Julien J. Collaud, della ditta VZ Conseil juridique et fiscal SA, raccolto dalla Camera di commercio e dell’industria del Canton Vaud.
Secondo alcuni studi, in Svizzera diverse decine di migliaia di PMI sono interessate da trasferimenti non regolarizzati. Quali sono le principali difficoltà incontrate dai proprietari?
A parte alcune difficoltà legate al settore o all’azienda da trasferire, i principali ostacoli incontrati dagli imprenditori che desiderano trasferire la propria azienda e che non cercano supporto sono la sottovalutazione del tempo da dedicare alla transazione, la ricerca di un rappresentante in grado di farlo, i cattivi consigli ricevuti da familiari e amici e il non valutare attentamente la complessità della transazione, in particolare in termini di tasse e successioni.
Quali sono le diverse opzioni a disposizione di chi vuole cedere la propria azienda?
In pratica, si distinguono tre tipi di trasferimento d’impresa, che rappresentano una serie di opzioni disponibili per chi desidera cedere la propria azienda:
il primo è la trasmissione all’interno della famiglia (Family Buy-Out – FBO), che consiste in una vendita o donazione (totale o parziale) ai membri della famiglia dell’imprenditore
il secondo è la trasmissione all’interno dell’azienda (Management Buy-Out – MBO), che consiste nella vendita ai dipendenti dell’azienda, spesso dirigenti
il terzo è la vendita a terzi, cioè a persone non legate all’imprenditore.
Possono essere aziende che operano nello stesso mercato, investitori finanziari (private equity, fondazioni d’investimento, fondi d’investimento, ecc.) o persone che desiderano diventare imprenditori.
Esistono scadenze ideali per affrontare questo passaggio?
Ogni caso è unico e ha le sue peculiarità. Possiamo tuttavia affermare che il momento ideale per iniziare a pensare al trasferimento dell’azienda è tra i cinque e gli otto anni prima. Quanto prima si inizia, tanto maggiori sono le possibilità di ottimizzare l’attività, la pianificazione finanziaria personale e la previdenza. È particolarmente consigliabile farlo in anticipo quando la società detiene molti beni non necessari per le operazioni. Poiché l’acquirente probabilmente non sarà interessato ad acquistarli, è opportuno ammortizzarli su più anni per limitare l’impatto fiscale. Inoltre, in caso di cambio di forma giuridica (ad esempio da ditta individuale a società a responsabilità limitata), è previsto un periodo di blocco di cinque anni prima di poter realizzare una plusvalenza esente da imposte.
Come garantire il successo del trasferimento? È consigliabile rivolgersi a degli esperti?
Il trasferimento dell’azienda è un’operazione complessa che tocca diversi ambiti, tra cui quello finanziario (valutazione dell’azienda e finanziamento), giuridico (redazione dei contratti) e fiscale (tassazione dell’imprenditore e dell’azienda). Si consiglia vivamente di avvalersi dei servizi di un esperto in materia di trasferimento d’azienda, che sarà in grado di fornire una consulenza personalizzata durante l’intero processo. Se necessario, può anche aiutarvi a trovare un acquirente. Inoltre, l’esperto vi permetterà di dedicare meno tempo alla vendita dell’azienda, in modo da potervi concentrare il più possibile sulla gestione dell’impresa. Sarebbe un peccato se i risultati dell’azienda diminuissero durante la fase di trasferimento perché l’imprenditore non può più dedicarvi abbastanza tempo.
Fonte: CVCI, Demain, agosto/settembre 2024. Traduzione ed adattamento: Cc-Ti.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/02/ART25-Cedere-azienda.png8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-02-18 08:00:002025-02-17 15:21:02Cedere la propria azienda è un’operazione complessa
Sarà capitato, navigando in rete o scrollando i social media, di vedere immagini quali il giochino del tetris che si faceva su carta, con la ‘X’ vincente posta fuori dalla griglia di gioco, accompagnata da una frase, solitamente in lingua inglese, che dice “think outside the box”, ovvero “pensa fuori dagli schemi”.
Sarebbe possibile riassumere così, graficamente, il concetto di ‘pensiero laterale’. Si tratta di una modalità di risoluzione di problemi, che prevede un approccio differente di pensiero, ovvero l‘osservazione del problema da diverse angolazioni, contrapposta alla tradizionale modalità che prevede concentrazione su una soluzione diretta al problema.
Gli studi sul tema sono stati sviluppati da Edward de Bono, psicologo maltese, negli anni ‘60, e rappresentano un approccio non convenzionale alla risoluzione dei problemi. A differenza del pensiero logico, che segue un percorso lineare e razionale, il pensiero laterale invita a esplorare strade alternative, distaccandosi, appunto, dai classici schemi di pensiero.
Definizione e caratteristiche
Il pensiero laterale è un metodo di pensiero che incoraggia l‘individuo a considerare problemi e soluzioni da angolazioni diverse. Invece di seguire un processo logico e lineare, il pensiero laterale si basa sull‘idea che spesso le soluzioni più efficaci si trovano al di fuori delle convenzioni
e delle norme stabilite. Questo approccio è particolarmente utile in contesti complessi e incerti, dove le soluzioni tradizionali possono risultare inadeguate. Abbracciando di volta in volta differenti modi di pensare si potranno trovare soluzioni creative, inusuali e stimolanti.
Applicandolo a diverse situazioni, anche aziendali, vengono favoriti alcuni aspetti, fra cui:
la creatività, stimolando la generazione di idee innovative
l’elasticità mentale, permettendo di adattarsi e modificare le traiettorie in corso d’opera
la collaborazione, promuovendo il lavoro di squadra ed il brainstorming.
Oltre alle analisi condotte da Edward de Bono, precedentemente citato, altri studiosi si sono chinati sulla tematica, condividendo molti assunti (con declinazioni diverse). Ad esempio, lo psicologo statunitense Joy Paul Guilford – noto per i suoi studi psicometrici sull‘intelligenza umana – identifica altri quattro elementi per definire il pensiero laterale:
la fluidità: elemento quantitativo che si riferisce al numero di idee
la flessibilità: l’attitudine all’adozione di diversi approcci di pensiero rispetto un problema da affrontare
l’originalità: la capacità di formulare pensieri unici, che non seguano necessariamente quelle della maggioranza
l’elaborazione: la modalità in cui queste idee e questi pensieri vengono concretizzati.
Il pensiero laterale può essere esercitato: quando ci si prepara per migliorare le proprie prestazioni sportive, ad esempio, un allenamento assiduo della creatività migliora sicuramente l’immaginazione e stimola le menti, attraverso la risoluzione di enigmi e giochi.
Vantaggi nell’utilizzo
In un contesto aziendale sempre più competitivo e in continua evoluzione, le organizzazioni devono cercare metodi innovativi per risolvere problemi, prendere decisioni e affrontare le sfide quotidiane con cui sono confrontate. Eccone alcune:
Promozione dell’innovazione, miglioramento della capacità di problem solving e aumento della collaborazione Il pensiero laterale permette di superare le soluzioni tradizionali, favorendo l‘emergere di idee innovative. Invece di seguire schemi logici predefiniti, i collaboratori sono spinti a esplorare opzioni alternative, sviluppando idee che altrimenti potrebbero non essere considerate. Questo approccio creativo è essenziale per l‘innovazione continua, che rappresenta uno dei principali fattori di successo per le aziende. Inoltre, si affrontano le tematiche da prospettive nuove, atto che consente di promuovere – all’interno di un team o un gruppo di lavoro, una maggiore sensibilità verso la collaborazione. Ogni individuo è incoraggiato a contribuire con le proprie idee, arricchendo le proposte tematiche.
Adattabilità al cambiamento, nuova cultura aziendale L‘ambiente aziendale è in continua evoluzione, e le aziende devono essere in grado di adattarsi velocemente ai cambiamenti. Il pensiero laterale favorisce la flessibilità mentale, consentendo ai dirigenti e ai dipendenti di adattarsi rapidamente a nuove circostanze, affrontare situazioni inaspettate e trovare soluzioni adeguate anche in contesti in continuo mutamento. L’utilizzo di nuove tecniche per affrontare sfide ed ostacoli crea anche una cultura aziendale che valorizza l’innovazione, promuovendo una mentalità orientata alla crescita, rendendo l’organizzazione, nel suo insieme, agile. In un precedente articolo (link: www.cc-ti.ch/abracadabra) abbiamo parlato delle organizzazioni adattive, quali entità composte da persone che, attivando meccanismi di adattamento finalizzati a mantenere lo stato ottimale dell’entità stessa, quale cambiamento evolutivo costante, si distinguono per la loro capacità di rispondere prontamente e in modo efficace ai cambiamenti nell’ambiente esterno, evidenziandone i benefici in termini di identificazione delle nuove tendenze e delle opportunità emergenti, adattando rapidamente le proprie strategie e operazioni per capitalizzare su tali cambiamenti. Agilità e flessibilità sono caratteristiche fondamentali, che spesso si traducono in una maggiore capacità di innovazione e di adattamento alle mutevoli condizioni congiunturali.
Conclusioni
Think outside the box? Sì, il pensiero laterale non è solo una tecnica per risolvere problemi complessi, ma un approccio che può trasformare la cultura aziendale e contribuire in modo decisivo alla crescita e al successo dell‘azienda nel lungo periodo. Con originalità, quale base dell’impulso creativo, la ricerca di nuove possibili combinazioni può essere una fonte di ispirazione per soluzioni, anche, inaspettate.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2025/02/ART25-Box.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2025-02-17 14:40:232025-02-17 14:40:24Think outside the box?
A partire dal 1° gennaio 2025, i crediti di diritto pubblico (IVA, multe, imposte, contributi previdenziali o premi assicurativi obbligatori) non saranno più perseguiti tramite pignoramento, ma tramite fallimento.
Quando nel 1889 è entrata in vigore la Legge federale sull’esecuzione e sul fallimento (LEF), è stata concordata un’eccezione per i crediti di diritto pubblico. I crediti di diritto pubblico sono perseguiti tramite pignoramento e non tramite fallimento, come avviene per i crediti di diritto privato. A partire dal 1° gennaio 2025, le eccezioni previste dai paragrafi 1 e 2 dell’articolo 43 della Legge federale sulla esecuzione e sul fallimento (LEF) saranno abrogate. Questa modifica legislativa fa parte della nuova legge federale sulla lotta all’abuso del fallimento.
Di conseguenza, a partire dal 1° gennaio 2025, i crediti di diritto pubblico (IVA, multe, imposte, contributi previdenziali o premi assicurativi obbligatori) non saranno più perseguiti tramite pignoramento, ma tramite fallimento. Questo vale solo per le persone giuridiche (società, associazioni) e le persone fisiche (ditte individuali) iscritte nel registro di commercio ai sensi dell’articolo 39 LEF. Si noti che il titolare di una ditta individuale è soggetto al fallimento nel suo cantone di domicilio, anche se la sua società è iscritta nel registro di commercio di un altro cantone.
Quali debiti sono coinvolti?
Questo vale per tutti i crediti di diritto pubblico, comprese le imposte (comunali, cantonali e federali), l’IVA, le multe, le sanzioni e i contributi sociali (compresi i contributi AVS). Sono compresi anche i premi dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni. Tuttavia, due tipi di crediti di diritto pubblico continueranno a essere disciplinati dal regime eccezionale previsto dall’art. 43 LEF. Si tratta dei crediti relativi al recupero degli alimenti periodici e dei contributi alimentari derivanti dal diritto di famiglia, nonché dei contributi alimentari derivanti dalla legge sul partenariato del 18 giugno 2004 (art. 43 cpv. 2) e della prestazione di garanzie (art. 43 cpv. 3).
Questa revisione prevede una particolarità giuridica: oltre ai procedimenti giudiziari avviati a partire dal 1° gennaio 2025, saranno interessate anche le procedure avviate prima di tale data. Inoltre, anche le persone con un certificato di inadempimento patrimoniale emesso prima del 1° gennaio 2025 potranno avviare una nuova procedura fallimentare. Va notato che un credito stabilito da un atto di mora si prescrive dopo 20 anni dalla data di emissione (art. 149° cpv. 1 LEF).
Cosa ci si può aspettare?
Tutti i crediti, recenti o pregressi, compresi i certificati di inadempimento rianimati, saranno ora soggetti alla procedura fallimentare. In pratica, la procedura iniziale (solleciti, citazioni) rimane invariata. Tuttavia, dopo la notifica dell’intimazione di pagamento e in caso di opposizione,
il creditore beneficerà di un processo di recupero semplificato, poiché le decisioni dell’autorità pubblica costituiranno titoli di scarico definitivi. In questo modo sarà più facile revocare l’ingiunzione di pagamento e procedere direttamente alla procedura fallimentare. Il creditore dovrà quindi richiedere un decreto di fallimento, che darà il via alla liquidazione di tutti i beni dell’azienda. Uno dei vantaggi del fallimento è che consente a un maggior numero di creditori di partecipare alla procedura, garantendo così una distribuzione più equa dei beni. Al termine del fallimento, il creditore ottiene un certificato di inadempienza per l’importo del credito non pagato. Tuttavia, la chiusura del fallimento comporta lo scioglimento della società e la sua cancellazione dal registro di commercio.
Gli amministratori possono comunque essere ritenuti personalmente responsabili, in particolare se l’amministratore non ha adempiuto ai suoi obblighi, come il pagamento dei contributi sociali (art. 51 LAVS), causando così un danno.
Come prevenire la situazione?
Per evitare spiacevoli sorprese, si consiglia alle aziende interessate di saldare gli arretrati entro il 31 dicembre 2024. Se ciò non fosse possibile, si consiglia di contattare i creditori (autorità fiscali, fondo AVS, ecc.) per negoziare accordi o piani di pagamento che consentano di ripartire i debiti nel tempo. È inoltre possibile avviare una procedura di riorganizzazione richiedendo una moratoria per la ristrutturazione del debito. Se non si raggiunge un accordo, l’ufficio di recupero crediti non avrà alcun margine di manovra per concedere una dilazione degli arretrati, essendo vincolato alle scadenze legali obbligatorie. Il rischio di fallimento è quindi molto concreto.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/12/ART24-recupero-crediti-2025.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-12-13 08:00:002024-12-11 09:26:45Recupero crediti e fallimento: le novità per le aziende
Lo scorso mese di giugno la Cc-Ti ha organizzato un evento intitolato “AI-volution: il futuro è oggi”, che ha riunito una quarantina di partecipanti, che hanno potuto discutere del tema dell’intelligenza artificiale e delle tendenze nell’ambito delle HR e della gestione aziendale, con un occhio di riguardo ai risvolti a livello legale che si dovranno fronteggiare. Vi proponiamo di seguito alcune considerazioni dei due relatori dell’evento, il Prof. Andrea Martone, Director Research & Studies Von Rundstedt – Svizzera e Roberta Bazzana-Marcoli, Avvocato, Titolare dello studio RBLegal.
Riflessioni “a ruota libera” su come l’AI sta cambiando i modelli di gestione delle HR
Immaginate di lavorare con un collega robot; non è fantascienza, ma la quotidianità di molte imprese, in cui i sistemi di Intelligenza Artificiale (AI) rispondono a domande, gestiscono le richieste di ferie, organizzano riunioni e monitorano le scadenze dei progetti. Se però il robot, non è un collega, ma assume i poteri di capo l’idea sembra ancora più sorprendente, magari anche disturbante. In realtà già oggi, molti lavoratori operano alle dipendenze di un’intelligenza non umana: pensate agli autisti di un servizio di taxi le cui corse sono regolate da un algoritmo o ai cassieri di un supermercato, che sono chiamati alla postazione di lavoro da un sistema automatizzato di controllo delle code. Un capo robot può analizzare le prestazioni in tempo reale, offrire un feedback immediato e personalizzato e prendere decisioni basate su dati concreti piuttosto che su intuizioni soggettive. Ciò nonostante, l’assenza di empatia e intelligenza emotiva rappresenta una sfida significativa per l’AI sia in ruoli operativi che in ruoli di leadership. La capacità di comprendere le sfumature delle interazioni umane, di creare fiducia e di gestire conflitti richiede competenze che attualmente solo gli esseri umani possiedono. Lavorare con un robot richiede un adattamento culturale: l’AI arriva fino ad un certo punto, poi deve intervenire l’uomo; è fondamentale vederla come uno strumento complementare, piuttosto che un sostituto del lavoro umano. La cultura e la comunicazione interna giocano un ruolo cruciale nel dissipare paure e pregiudizi legati all’automazione.
Ora però vorrei proporvi alcune considerazioni sulla gestione delle risorse umane: accettereste che il vostro direttore del personale fosse un robot? Oggi l’AI è in grado di fare ragionamenti logici sempre più complessi, così, anche i processi di gestione del personale possono essere condotti da “soggetti pensanti” di natura non umana. nonostante siano, per loro natura, molto delicati, perché vanno a toccare direttamente la vita dei lavoratori e le loro sensibilità personali (come giudichereste essere licenziati da un robot?). Non penso di esaurire l’argomento nelle poche righe di questo articolo, ma vorrei condividere alcune riflessioni sulle tendenze prevalenti.
La selezione del personale è una delle aree in cui l’AI sta avendo maggiore impatto. Innanzitutto, può intervenire sul dimensionamento degli organici, attraverso l’analisi predittiva dei fabbisogni: in questo modo, al posto di lunghe trattative con i vari dirigenti, una macchina pensante pianifica con oggettività le assunzioni e i licenziamenti. Una volta stabiliti i fabbisogni di organico, l’AI può analizzare migliaia di curriculum in pochi secondi, identificando i candidati più promettenti in base a competenze, esperienze e parole chiave. I sistemi di intelligenza artificiale possono anche proporre esercitazioni, prove pratiche e test per comprendere le reali capacità del candidato. Il sogno dei programmatori è che in un futuro non lontano saranno in grado di tenere anche i colloqui di selezione, lasciando alla mente umana solo la scelta finale tra un rosa di candidati (a questo punto perfetta, perché frutto di una preselezione ottimizzata). Tutto questo, non solo velocizza il processo di reclutamento, ma elimina anche molti bias umani, favorendo una selezione più equa e meritocratica (anche se ci sono alcune evidenze sui pregiudizi che gli uomini trasferiscono alle macchine quando le programmano).
L’AI può monitorare e valutare le performance dei dipendenti in modo continuo e dettagliato molto più di quanto possa fare qualsiasi dirigente. Attraverso l’analisi dei dati raccolti da vari sistemi aziendali, il capo robot può fornire feedback personalizzati e tempestivi, aiutando i dipendenti a migliorare le proprie performance. Inoltre, può identificare potenziali aree di sviluppo per ciascun lavoratore, suggerendo percorsi di carriera e opportunità di formazione.
Un tema assai delicato, in cui l’AI sta irrompendo è quello del benessere dei dipendenti: monitorando il linguaggio nei messaggi di posta elettronica o nei commenti sui social aziendali e confrontando queste evidenze con le performance aziendali, l’AI è in grado di valutare lo stato di salute dei lavoratori. Questi insight possono essere utilizzati per avviare interventi di sostegno preventivi (con molte precauzioni in tema di privacy).
Da ultimo dobbiamo menzionare i sistemi di formazione e sviluppo che l’AI sta trasformando, grazie soprattutto alla creazione di piattaforme di e-learning che possono adattare i percorsi formativi alle esigenze specifiche di ciascun dipendente. Analizzando le performance e i progressi individuali, l’AI può suggerire corsi e contenuti specifici, garantendo che ogni dipendente riceva la formazione di cui ha bisogno. Va anche ricordato che l’AI offre esperienze di apprendimento, che possono simulare situazioni reali, migliorando così l’efficacia della formazione in tutti i campi del sapere.
Conclusioni
L’integrazione dell’intelligenza artificiale nella vita delle imprese non è solo una questione di efficienza e produttività, ma rappresenta un cambiamento culturale significativo. Le aziende devono essere pronte a gestire questa transizione, assicurandosi che la tecnologia sia utilizzata in modo etico e che i dipendenti siano adeguatamente supportati in questo nuovo ambiente di lavoro. Dialogare con un collega robot o avere un capo digitale potrebbe presto diventare la norma: essere pronti sarà la chiave per il successo futuro delle organizzazioni.
Futuro: attenzione alle sfide giuridiche, non c’è solo la privacy
È ormai risaputo che l’intelligenza artificiale (IA) sta rapidamente rivoluzionando molti settori, offrendo un potenziale straordinario per aumentare l’efficienza e migliorare le prestazioni in vari ambiti, compresa la gestione delle risorse umane. Dall’IA derivano strumenti avanzati per la selezione del personale, la valutazione delle performance e il monitoraggio del benessere dei dipendenti. Ma si va ben oltre: non è più fantascienza immaginare dipendenti che interagiscono con macchine o addirittura ricevono ordini e direttive da un capo robot. L’IA promette enormi vantaggi in termini di produttività ed efficienza, aprendo interessanti prospettive. Ciononostante, accanto a queste opportunità, emergono rilevanti questioni etiche e giuridiche che non possono essere ignorate.
In questo scenario, diventa cruciale bilanciare l’entusiasmo per l’innovazione tecnologica con una riflessione attenta sui potenziali rischi e sulle implicazioni legali. Sono ormai ricorrenti i dibattiti sulle problematiche giuridiche legate all’interazione professionale con l’IA, come la tutela dei dati personali, la necessità di trasparenza e, soprattutto, l’importanza di garantire processi equi e non discriminatori. Tuttavia, non va trascurato un altro aspetto che, pur apparendo una questione etica, ha anche rilevanti implicazioni legali: quale impatto ha l’IA sulla salute psicofisica di un collaboratore che si trova a interagire o addirittura a sottostare, alle direttive di una macchina dotata di intelligenza artificiale? La protezione della salute dei lavoratori, inclusa quella psicofisica, è al centro delle normative sul lavoro in molti Paesi.
Le Normative che richiedono la gestione dei rischi psicosociali, come lo stress e il burnout, sono ormai diffuse in diversi ordinamenti, a testimonianza di una crescente attenzione verso la salute mentale, considerata fondamentale per garantire il benessere complessivo dei lavoratori. Questa crescente attenzione alla salute psicofisica dei lavoratori diventa ancor più indispensabile con l’introduzione di macchine basate sull’intelligenza artificiale. Questi strumenti, pur essendo progettati, come detto, per migliorare l’efficienza e ottimizzare le operazioni, possono in realtà generare nuove fonti di stress e frustrazione, mettendo a rischio il benessere mentale dei dipendenti. L’automazione e il monitoraggio continuo rischiano di ridurre l’autonomia e la serenità dei lavoratori, compromettendo un equilibrio che la normativa aveva faticosamente cercato di costruire. Nel processo di selezione del personale, ad esempio, sempre più aziende ricorrono all’intelligenza artificiale per valutare performance, analizzare curriculum e persino condurre interviste virtuali. In alcuni casi, l’IA viene impiegata perfino per decidere chi richiamare o chi licenziare. Il dipendente o il candidato, a quel punto, potrebbe percepire di ritrovarsi in una posizione passiva, sentendosi giudicato da un sistema di cui non conosce a fondo i criteri sui quali si basa, ma che immagina precisi e impeccabili, proprio perché dettati da una macchina, ritenuta priva di errori. Nonostante l’elevata raffinatezza della tecnologia, questa non è -ancora-in grado di cogliere appieno le sfumature emotive o le difficoltà individuali, generando così potenzialmente un inevitabile senso di frustrazione e stress. Il non “potersi spiegare” potrebbe collocare la persona in una situazione di assoluto disorientamento. Tale situazione, nella quale si viene valutati da un algoritmo, piuttosto che da una persona, può far crescere un senso di inadeguatezza difficile da gestire, con possibili conseguenze sulla salute psichica.
Un esempio particolarmente significativo è quello dei driver che operano per le piattaforme di consegne online. Non sempre l’intelligenza artificiale si limita a ottimizzare la logistica, ma spesso definisce in ogni dettaglio della giornata lavorativa. Alcuni algoritmi monitorano ogni aspetto del loro operato: dal tempo impiegato per completare una consegna, alla velocità di guida, fino a quante pause vengono prese. In casi estremi, telecamere all’interno dei veicoli scrutano persino le espressioni facciali per valutare se il conducente è stanco o distratto. Questa sorveglianza pervasiva ha dimostrato di generare un costante senso di pressione, addirittura oppressione. I driver lavorano con la consapevolezza di essere osservati da un occhio digitale che non perdona errori, alimentando la paura di sanzioni ogni qualvolta non si allineano ai rigidi parametri imposti dall’algoritmo. Il risultato è uno stato di tensione permanente, un’ansia che non considera le variabili umane, come il traffico, la fatica o gli imprevisti quotidiani. Così, invece di migliorare l’efficienza, è emerso che questa forma di controllo finisce per erodere il benessere mentale dei lavoratori, trasformandoli in semplici ingranaggi di un sistema che dimentica il loro lato umano. Gli esempi di questo tipo sono numerosi. Dalle fabbriche automatizzate ai magazzini dove l’IA guida le operazioni, fino ai call center in cui il monitoraggio costante è la norma.
Il quadro che emerge è chiaro: l’evoluzione tecnologica è ormai una realtà inarrestabile e senz’altro un’opportunità da cogliere. Tuttavia, ciò che oggi richiede una riflessione urgente, sia etica che giuridica, è come procedere da qui in avanti. Se da un lato non possiamo ignorare i benefici tangibili dell’intelligenza artificiale, dall’altro è fondamentale che questo progresso non avvenga a discapito della salute psichica di chi interagisce con l’IA. La sfida non è fermare la tecnologia, ma piuttosto integrarla in modo che sia tutelata la dignità umana, riconoscendo che dietro ogni algoritmo c’è un individuo, con emozioni, limiti e diritti.
I principi di informazione e trasparenza rappresentano i pilastri fondamentali di questa trasformazione tecnologica Nel processo informativo, il coinvolgimento di tutte le risorse umane dei dipendenti è imprescindibile e la garanzia di trasparenza non deve riguardare solo il funzionamento degli algoritmi, ma anche i criteri su cui si basano le valutazioni, garantendo che tutti i dipendenti possano comprendere il processo decisionale e non percepiscano l’IA come uno strumento impenetrabile. È in tal senso che stanno andando le giurisdizioni europee. Il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale concretizza questi principi di informazione e trasparenza, stabilendo obblighi precisi per i datori di lavoro riguardo alla comunicazione chiara e accessibile sui meccanismi di monitoraggio e sui criteri di decisione automatizzata, con l’obiettivo di proteggere i diritti e la salute psicofisica dei lavoratori. “L’innovazione distingue un leader da un seguace.” – (Steve Jobs)
Articolo a cura di Avv. Roberta Bazzana-Marcoli, Titolare dello studio RBLegal
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/09/ART24-capo-robot.jpg8531280Giulia Scalzihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngGiulia Scalzi2024-09-27 08:00:002024-09-26 14:42:55Pronti a dialogare con un collega robot?
Le organizzazioni adattive rappresentano un elemento chiave nel contesto economico contemporaneo, in un’epoca in cui i modelli di business e le situazioni di mercato sono in costante evoluzione.
Mai come negli ultimi anni abbiamo avuto testimonianza di quest’assunto. E, con ’abracadabra’, non ci riferiamo ad una formula magica pronunciata per evocare un incantesimo. È invece diventata una realtà imprescindibile per un’azienda possedere la capacità di reinventarsi e adattarsi alle mutevoli condizioni che oggi il mercato presenta, perché questa abilità è determinate per il successo a lungo termine.
Una definizione
Le organizzazioni adattive (intese come “gruppo di persone formalmente unite per raggiungere uno o più obiettivi comuni, riunite in un sistema aperto che percepisce l’ambiente interno ed esterno, attivando meccanismi di adattamento finalizzati a mantenere lo stato ottimale dell’entità stessa, quale cambiamento evolutivo costante”) si distinguono per la loro capacità di rispondere prontamente e in modo efficace ai cambiamenti nell’ambiente esterno. Esse sono in grado di riconoscere le nuove tendenze e le opportunità emergenti, adattando rapidamente le proprie strategie e operazioni per capitalizzare su tali cambiamenti. Agilità e flessibilità sono caratteristiche fondamentali, che spesso si traducono in una maggiore capacità di innovazione e di adattamento alle mutevoli condizioni congiunturali.
Fare impresa oggi
Nel contesto attuale, le aziende devono affrontare una serie di sfide e opportunità senza precedenti. I rapidi avanzamenti tecnologici, i cambiamenti demografici, gli scenari internazionali, le pressioni competitive e i repentini cambiamenti nei gusti dei consumatori rappresentano solo alcune delle forze che richiedono alle aziende di essere agili e pronte a reinventarsi. Un esempio evidente di questa necessità è stato (ed è tuttora) rappresentato dalla trasformazione digitale, che ha spinto molte aziende a ridefinire i loro modelli di business e ad adottare nuove tecnologie per rimanere competitive.
Il capitale umano è sempre determinante
Nelle organizzazioni adattive vive una forte cultura aziendale, dove deve fiorire l’innovazione, l’apprendimento continuo e il coinvolgimento dei dipendenti. L’agilità organizzativa non può essere raggiunta senza un impegno diffuso a tutti i livelli dell’azienda e senza un’apertura al cambiamento. Per questi motivi la formazione e lo sviluppo dei dipendenti, così come il dialogo fra i diversi componenti del team intergenerazionali sono cruciali per garantire che l’azienda abbia le competenze necessarie per adattarsi a nuovi modelli di business e situazioni congiunturali (junior e senior non sempre approcciano i cambiamenti nello stesso modo e sono guidati da leve motivazionali diverse). Attraverso l’adozione di queste pratiche, le aziende possono prepararsi ad affrontare con successo le sfide del mercato in continua evoluzione.
Parole chiave: la nostra ’top 5’
Restare competitiva sul mercato oggi è una sfida complessa. Ecco alcune riflessioni in termini di temi a cui prestare particolare attenzione:
Innovazione e competitività: mantenere un costante flusso di innovazione è essenziale per restare passo con i cambiamenti del mercato in continua evoluzione, rappresentando un vantaggio competitivo ragguardevole nei confronti degli altri competitors.
Tecnologia: l’adozione di tecnologie all’avanguardia e la trasformazione digitale sono cruciali per migliorare l’efficienza operativa di ogni organizzazione.
Flessibilità: essere in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato è una delle caratteristiche imprescindibili per le aziende moderne.
Sostenibilità: è un concetto che è ormai diventato di uso corrente nella vita quotidiana, così come nel lessico imprenditoriale. Oggi parliamo di ’responsabilità sociale’, concetto ampio che include 3 assi di azione: l’ambito ambientale, il benessere economico e quello sociale. Occorre quindi integrare pratiche sostenibili nella strategia aziendale. Sottolineiamo che la Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ha sviluppato – con il supporto scientifico della SUPSI e in collaborazione con il Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) – un modello online di rapporto di sostenibilità, accessibile su www.ti-csrreport.ch.
Talent management: attrarre, sviluppare e trattenere talenti qualificati è cruciale per l’innovazione e il successo a lungo termine di un’azienda. In questo senso la Cc-Ti eroga corsi di formazione puntuale e dei percorsi formativi di gestione aziendale, che rappresentano un’offerta solida e variegata per uno sviluppo sostenibile delle risorse umane, in risposta alle richieste del tessuto economico ticinese (www.cc-ti.ch/formazione).
Di fronte ai nuovi rischi parzialmente o non coperti dalle assicurazioni tradizionali come l’assicurazione di cose e le assicurazioni RC (responsabilità civile), le compagnie di assicurazione mettono a disposizione delle imprese diverse polizze raggruppate sotto il nome generico di “assicurazioni linee finanziarie”.
L’assicurazione ’Responsabilità dei dirigenti e degli amministratori’ (nota anche come D&O)
Questa copertura protegge dirigenti e amministratori di un’impresa dai reclami di terzi (fornitori, creditori, varie azioni legali da parte di dipendenti, concorrenti o azionisti, ecc.) derivanti dalle loro decisioni e dalla loro gestione nell’esercizio delle loro funzioni o del loro mandato. Questo funziona sia per le violazioni degli obblighi legali, regolamentari e statutari, come pure per qualsiasi errore di gestione commesso per imprudenza o negligenza, per omissione, per errore, per dichiarazione inesatta, …
Sono coperte:
le spese legali della difesa dei dirigenti in caso di implicazione della loro responsabilità personale,
le conseguenze finanziarie derivanti dalla responsabilità dei dirigenti quando assicurabili, comprese le sanzioni pronunciate da un’autorità,
le spese legali ed eventuali conseguenze per la società.
Questa protezione considera che l’assunzione di rischi fa parte della vita quotidiana. Gli assicuratori offrono un vero supporto e prevenzione.
L’assicurazione cyber
Copre i rischi legati a un incidente informatico, che di solito mira ai dati personali e riservati di un’azienda. Le fughe di dati possono generalmente comportare sanzioni regolamentari, danneggiare gravemente l’immagine dell’azienda e mettere in discussione la sua sostenibilità. Di fronte agli effetti devastanti di un attacco informatico, le coperture proposte solitamente riguardano:
l’assistenza e la gestione della crisi,
le responsabilità legate ai dati,
le spese di indagine,
il ripristino dei dati elettronici,
l’interruzione della rete,
le spese legate alla richiesta di riscatto.
È importante notare che oggi l’assicurazione cyber offre un supporto completo in termini di prevenzione e assistenza, con il coinvolgimento di specialisti in sicurezza informatica e gestione delle crisi, nonché avvocati per assistere le vittime.
L’assicurazione contro le frodi
Inizialmente destinata alle istituzioni finanziarie, questa copertura si estende oggi a tutti i tipi di aziende, assicurando le perdite finanziarie derivanti da atti di frode interna ed esterna commessi da dipendenti o terzi, come l’appropriazione indebita, l’ottenimento o l’appropriazione criminale o fraudolenta di capitali, titoli o beni, attività tecnologiche o finanziarie.
Una necessaria presa di coscienza
È essenziale che le aziende valutino regolarmente i rischi a cui sono esposte, sviluppino piani di gestione adeguati e considerino soluzioni assicurative adeguate per limitare l’impatto sulle loro attività.
A tal fine, è consigliabile consultare un esperto assicurativo per valutare i rischi specifici legati all’ecosistema aziendale e per determinare la copertura più adatta. In questo senso, il vostro broker di fiducia può fornirvi preziosi consigli.
Fonte: Articolo a cura di Qualibroker-Swiss Risk & Care Group, apparso su “CCIG Info” nr 9 – 10.2023. Traduzione ed adattamento Cc-Ti.
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/05/ART24-nuovi-rischi.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2024-05-17 08:00:002024-05-10 11:14:45Affrontare i nuovi rischi
Assieme alla rete ferroviaria, quella stradale nazionale è vitale per il buon funzionamento del nostro Paese. La mobilità individuale, quella pubblica, così come quella necessaria alla consegna delle merci, sono possibili unicamente con infrastrutture ferroviarie e stradali moderne ed efficienti.
Entrambe con importanti necessità di manutenzione e sviluppo, la rete stradale nazionale e quella ferroviaria sono oggi in più punti sovraccariche. Quella autostradale, in particolare, pur rappresentando meno del 3% delle strade in Svizzera, assorbe oltre il 40% del traffico privato e il 70% di quello delle merci su strada, garantendo in particolare anche il tragitto tra i grandi centri di smistamento ferroviari e i destinatari.
Nel breve volgere degli ultimi 10 anni, malgrado i chilometri percorsi da tutti i veicoli siano aumentati soltanto del 5,3%, le ore di colonna complessive sono raddoppiate (+ 100%), raggiungendo le 40’000 ore in coda all’anno. E la tendenza, con l’aumento previsto della popolazione e il sempre crescente bisogno di mobilità, tanto su strada, quanto su ferrovia, è di un incremento esponenziale, con quindi l’elevata probabilità che il traffico, in più punti congestionato sulla rete autostradale, alla stessa stregua di quella ferroviaria, si riversi sulle strade cantonali e comunali, all’interno degli agglomerati. Ora, se i necessari investimenti nella ferrovia (garantiti a livello nazionale dal fondo per il finanziamento e l’ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria, FIF, approvato in votazione popolare nel 2014) non vengono attaccati per motivi ideologici, raccogliendo quindi il giusto consenso, quelli per il buon funzionamento delle strade nazionali e la risoluzione dei problemi di traffico negli agglomerati (pure garantiti da un fondo federale, FOSTRA, anch’esso approvato dal popolo nel 2017) devono invece, non di rado, superare lo scoglio di posizioni contrarie per principio.
L’ultimo in ordine di tempo è il referendum lanciato da associazioni ambientaliste capeggiate dall’Associazione traffico e ambiente (ATA) e sostenuto da PS e Verdi contro il programma di sviluppo (la cosiddetta “fase di potenziamento 2023”) della rete stradale nazionale concernente cinque progetti maturi per il decongestionamento di tratte correntemente interessate da ingorghi con il conseguente traffico parassitario che si riversa sulle strade di quartiere degli agglomerati limitrofi e quindi con la conseguenza di maggiori rumori, pericoli e inquinamento, che i progetti in questione si propongono invece di migliorare.
Nello specifico, si tratta della costruzione della terza galleria nel tunnel del Rosenberg a San Gallo, della seconda galleria nel tunnel di Fäsenstaub a Sciaffusa, del tunnel del Reno a Basilea, di una corsia supplementare per senso di marcia sul tratto Wankdorf-Schönbühl-Kirchberg a Berna, così come tra Le Vengeron, Coppet e Nyon, nei Cantoni di Ginevra e Vaud.
Dal canto suo, il referendum in questione costituisce una posizione di principio, contro “nuovi investimenti nelle strade”, che – se accolta – verrà replicata con la medesima motivazione ideologica (“basta investire nelle autostrade”) e determinerà il posticipo di tutta la pipeline dei progetti previsti in futuro sangallesi, sciaffusani, basilesi, bernesi, vodesi e ginevrini non lasceranno ovviamente che altri passino davanti ai loro già maturi adesso), fra cui, in coda, ci sono anche quelli che concernono il Cantone Ticino, collegamento A2-A13 (Bellinzona-Locarno) in testa. Quest’ultimo è attualmente in fase di affinamento da parte dell’Ufficio federale delle strade (USTRA), che ha ripreso in buona parte quanto era stato elaborato dal Cantone Ticino per accelerare i tempi. Il risultato confluirà nel progetto generale che dovrà essere approvato dal Consiglio federale e poi inserito definitivamente in uno dei prossimi (si confida il prossimo) programma di sviluppo della rete nazionale con un orizzonte realizzativo per ora previsto al 2040.
Sostenere il referendum in questione, per il quale si andrà al voto il prossimo autunno, oltre che impedire il decongestionamento di importanti arterie stradali e la messa in sicurezza delle strade secondarie su cui il traffico intasato sempre più devierebbe, vuol quindi pure dire mettere a repentaglio i nostri interessi cantonali e segnatamente la realizzazione, finalmente, del collegamento autostradale tra Bellinzona e Locarno, così come altri futuri progetti anche a sud delle Alpi.
Articolo a cura di Simone Gianini, Consigliere nazionale, Presidente ACS Sezione Ticino
https://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2024/05/ART24-autostrade.jpg8531280Lisa Pantinihttps://www.cc-ti.ch/site/wp-content/uploads/2020/05/LG-cc-ti-03.pngLisa Pantini2024-05-10 10:48:502024-05-10 10:48:52Sviluppo della rete autostradale: un referendum che danneggia anche il Ticino
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