La guerra in Ucraina aumenta il rischio di fame

La Russia e l’Ucraina insieme forniscono un quarto del fabbisogno mondiale di grano. La guerra tra i due Paesi fa salire alle stelle i prezzi di alcuni prodotti alimentari e ha conseguenze destabilizzanti per diversi Paesi del terzo mondo.

L’Ucraina è spesso chiamata il “granaio d’Europa”. In effetti, il grano vi cresce particolarmente bene perché questo grande Paese dell’Europa orientale ha una caratteristica geologica speciale: la maggior parte della rara ed estremamente fertile terra nera del mondo si trova sul suo territorio.

Secondo l’International Trade Centre di Ginevra, l’agenzia congiunta delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione mondiale del commercio, l’Ucraina è però solo il quinto esportatore mondiale di grano. La Russia figura infatti al primo posto, seguita da Stati Uniti, Canada e Francia. La Germania, a sua volta, è all’ottavo posto. De facto, quindi, l’Ucraina non è l’unico granaio europeo.

Insieme, Ucraina e Russia coprono un quarto della domanda mondiale di grano. E al momento, i due esportatori di grano sono fatalmente legati: a causa della guerra, infatti, i porti ucraini sul Mar Nero sono bloccati, con conseguente interruzione delle catene di approvvigionamento, mentre le sanzioni economiche imposte dalla comunità internazionale alla Russia hanno frenato massicciamente le esportazioni di grano da parte di quest’ultima.

Il prezzo del grano è il grande problema

La guerra in Ucraina non ha ancora causato una vera carenza di grano. Per ragioni di stagionalità, l’Ucraina e la Russia esportano la maggior parte del loro grano in estate e in autunno. Al momento, quindi, i loro clienti internazionali stanno attingendo alle loro scorte o comprano il grano altrove. Secondo l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), la produzione mondiale di grano è attualmente in calo, ma si stima che a medio termine sarà ancora di circa l’1% superiore alla media dell’anno scorso.

Ciò che attualmente pesa sul mercato internazionale del grano è tuttavia il prezzo. Secondo i dati della Deutsche Börse, dal nuovo anno il prezzo del grano è aumentato di quasi un terzo a circa 400 euro per tonnellata ed è praticamente raddoppiato dall’inizio del 2020. Per l’orzo si osserva più o meno lo stesso sviluppo, mentre il fertilizzante è diventato addirittura più costoso del 40%. Dato che il 15% del mais mondiale e più del 50% dell’olio di girasole provengono direttamente dall’Ucraina, anche questi prezzi sono in forte movimento. Per quanto riguarda l’orzo e il mais, a differenza del grano, da quando è iniziata la guerra in Ucraina, la FAO rileva una produzione globale significativamente più bassa rispetto all’anno scorso. Pertanto, altri grandi esportatori di cereali grezzi come l’Argentina, l’India e gli Stati Uniti stanno venendo alla luce.

I prezzi erano già alti prima della guerra

Tuttavia, i prezzi in generale erano già aumentati prima della guerra in Ucraina. Sono da biasimare i problemi logistici e le strozzature di approvvigionamento legate alla pandemia: secondo la FAO, alla fine di gennaio 2022 l’indice dei prezzi alimentari era quasi un quarto più alto dell’anno precedente. Questa tendenza è semplicemente esacerbata dalla guerra in Europa orientale.

Le vere vittime in questo momento sono alcuni Paesi del terzo mondo. Al primo posto c’è l’Egitto, che ottiene circa il 70% del suo grano dall’Ucraina e dalla Russia ed è il più grande consumatore al mondo di grano ucraino. Secondo un recente servizio della televisione svizzera SRF, il governo egiziano ha ridotto l’importante sussidio per il pane e la popolazione è ora costretta a pagare di più. Inoltre, il Paese sta facendo scorta di tutto il suo grano e non esporta più nulla nei Paesi dell’area sahariana, con conseguenze drammatiche per queste Nazioni.

Stando alle statistiche commerciali delle Nazioni Unite relative al 2020 gli altri principali importatori di grano sono Indonesia, Bangladesh, Pakistan, Turchia, Tunisia, Marocco e Libano. La situazione è particolarmente grave in Libano in quanto non può quasi immagazzinare il grano perché i grandi sili nel porto di Beirut sono stati distrutti durante un’esplosione nel 2020. Un ultimo, importante acquirente di grano proveniente dall’Europa orientale, dalla Russia nello specifico, è la Siria, già devastata dalla guerra civile, e il cui governo ha ora introdotto il razionamento del grano.

Anche l’Africa orientale importa molto grano

Poiché i porti del Mar Nero sono bloccati, molti Paesi invieranno navi da trasporto negli Stati Uniti e in Argentina, India e Australia per caricare grano e cereali secondari. Tuttavia, la FAO fa notare che queste opzioni alternative possono compensare solo parzialmente la perdita delle esportazioni provenienti dalla regione settentrionale del Mar Nero.

Anche l’Africa orientale, che ha un’elevata quota di importazione, deve accettare un forte aumento del prezzo del grano. In Kenya, Etiopia, Gibuti e Somalia diverse stagioni delle piogge non si sono concretizzate e i raccolti sono appassiti nei campi. Pertanto, il Programma alimentare mondiale (PAM) delle Nazioni Unite avverte del pericolo di carestia nei prossimi mesi. Insieme al grano, anche altri prodotti alimentari sono diventati più costosi e questo genererà grossi problemi per questi Paesi.

Le carestie e altre gravi crisi di approvvigionamento sono spesso accompagnate da rivolte, come si è potuto osservare in particolare nel Medio Oriente negli ultimi due decenni. Se i governi non accetteranno di accollarsi questo grosso peso sulle casse dello Stato e sovvenzioneranno sempre meno, il cibo si farà più caro e la popolazione ne risentirà. E questo a sua volta potrebbe portare a disordini e destabilizzazione politica.

La durata della guerra in Ucraina è cruciale

I grandi problemi devono quindi ancora arrivare e molto dipenderà dalla durata della guerra: in Ucraina non è ancora possibile prevedere quando e come potrà avvenire la semina del grano quest’anno, mentre per quanto riguarda la Russia, non è chiaro per quanto tempo resteranno in vigore le sanzioni.

Secondo il PAM, la guerra in Ucraina non sarà l’unica causa dei problemi che diverse grandi regioni del mondo dovranno affrontare tra qualche mese: alla guerra si sommano infatti diversi fattori, come il cambiamento climatico, la pandemia e i prezzi a spirale per il cibo e il carburante, aggravati dalle carenze di grano e fertilizzanti. Secondo l’Organizzazione, tutti questi fattori porteranno almeno 44 milioni di persone in 36 Paesi sulla soglia della fame.

L’emergenza fertilizzanti

La guerra in Ucraina tiene l’agricoltura sulle spine: oltre al grano, anche la quantità disponibile di materie prime per i fertilizzanti sta diminuendo. E il prezzo è almeno raddoppiato in un anno.

Il conflitto in Ucraina ha un impatto sul settore agricolo di molti Paesi. La Russia, colpita da gravi sanzioni, è infatti il secondo produttore al mondo di ammoniaca, urea e potassio e il quinto produttore di fosfati lavorati. La Bielorussia è responsabile di un quinto della produzione mondiale di potassio. Tutti elementi essenziali per produrre fertilizzanti.

Africa e Sud America i più colpiti

A causa delle sanzioni internazionali nei confronti di Russia e Bielorussia, le catene di approvvigionamento sono paralizzate. I prezzi dei fertilizzanti aumentano rapidamente a fronte di quantitativi decrescenti, costringendo molti agricoltori a risparmiare sul loro utilizzo. L’uso ridotto di fertilizzanti minaccia di abbassare la quantità e la qualità dei raccolti in diverse regioni del mondo.

Gli esperti di agricoltura stimano che l’Africa e il Sud America soffriranno maggiormente degli alti prezzi dei fertilizzanti, in quanto dispongono di minori scorte e molti agricoltori non potranno più permettersi il fertilizzante industriale a causa dei prezzi elevati.

E in Europa? I produttori del Medio Oriente hanno accettato di deviare le forniture verso l’Occidente. Questo dovrebbe perlomeno stabilizzare i prezzi, ma funzionerà solo se i prezzi dell’energia, già alti, non aumenteranno ulteriormente e se non ci saranno grandi arresti della produzione.

Anche il mercato svizzero dei fertilizzanti sta sentendo gli effetti del marcato aumento dei prezzi: secondo l’Ufficio federale dell’agricoltura, i prezzi dei fertilizzanti azotati sono aumentati da due a tre volte in un anno.

Il prezzo del gas rende costosa la produzione di fertilizzanti

L’incremento dei prezzi dei fertilizzanti non è dovuto unicamente alle catene di approvvigionamento interrotte. Infatti, incidono anche i crescenti costi di trasporto e l’elevato prezzo del gas, che aumenta sempre di più perché il gas naturale russo è attualmente disponibile solo in quantità limitate.

Il prezzo del gas pesa su circa l’80-90% dei costi di produzione di fertilizzanti e ad essere particolarmente colpiti sono i produttori europei perché fortemente dipendenti dal gas russo. Va altresì rilevato che il prezzo del gas naturale e di altri tipi di energia ha raggiunto un livello molto alto già dalla metà del 2020 a causa dell’improvviso aumento del consumo dopo il lockdown. Pertanto, nel quarto trimestre del 2021 molti produttori europei di fertilizzanti, soprattutto di quelli a base di ammoniaca, hanno temporaneamente interrotto la produzione di azoto. Nei paesi dell’UE questo potrebbe ripercuotersi negativamente già sul raccolto di quest’anno.

Nessuna carenza di fertilizzanti in Svizzera

Secondo l’Ufficio federale dell’agricoltura, nel 2021 la Svizzera ha importato circa l’11% dei fertilizzanti chimici ricchi di potassio dalla Russia e circa il 5% dalla Bielorussia. A questi va ad aggiungersi un ulteriore 10% di fertilizzanti chimici che consistono in diversi nutrienti, sempre dalla Russia. Germania e Francia sono invece i più importanti fornitori di fertilizzanti ricchi di potassio (70%). Al momento non c’è carenza di fertilizzanti per gli agricoltori svizzeri: infatti, i contadini hanno già comprato il fertilizzante minerale di cui hanno bisogno per l’anno in corso. Inoltre, i terreni agricoli sono ben forniti di potassio e il letame costituisce un’eccellente fonte di sostanza organica per il terreno.

Tuttavia, a causa della guerra in Ucraina e dello sviluppo generale della domanda e dell’offerta, è ipotizzabile che anche i prezzi in Svizzera continuino a salire, e i quantitativi di fertilizzante a disposizione a diminuire. La situazione va pertanto monitorata.

La crisi delle materie prime rende il pane più caro

Il mercato delle materie prime soffre di una congestione della domanda nonché di prezzi elevati sin dalla fine del confinamento dovuto alla pandemia. La guerra in Ucraina e le sanzioni internazionali stanno ora aggravando la situazione, anche per prodotti come il grano e i fertilizzanti.

Lo scoppio della pandemia e il successivo lockdown hanno messo un freno al commercio globale, con ordini cancellati e tagli alla produzione. Dopo il lockdown, la propensione al consumo della popolazione e la rapida ripresa dell’economia hanno portato ad un rilancio del commercio globale molto più celere del previsto, con un aumento vertiginoso della domanda di tutti i tipi di beni e di energia. La conseguenza: tempi di approvvigionamento più lunghi e prezzi di produzione più elevati. La situazione, già difficile, è ora esacerbata dalla guerra in Ucraina e dalle numerose sanzioni internazionali.

Preoccupazione nei principali settori produttivi

La penuria di materie prime e l’esplosione dei prezzi preoccupa i principali settori produttivi. È infatti salito il prezzo di carta e cartone: il materiale scarseggia e ne risente non solo l’editoria, ma anche l’industria del packaging. Stesso dicasi per il vetro, dove mancano le bottiglie per il mondo del beverage e i contenitori per i cosmetici. Altre materie prime come il legno, l’acciaio e la plastica sono in cima alla classifica dei prezzi. Esse servono in grandi quantità per beni durevoli come immobili, macchine, cellulari, elettrodomestici e, nel caso della plastica, gli imballaggi alimentari.

La scarsità di alluminio e nichel è una conseguenza diretta del conflitto in corso: la Russia è infatti il terzo rispettivamente il secondo produttore mondiale di nichel e nichel raffinato, mentre il gruppo Rusal è il maggiore produttore industriale di alluminio al di fuori della Cina. Grazie alla sua resistenza alla corrosione, il nichel è fondamentale per la produzione di batterie, di acciaio inossidabile e di materiali utilizzati nelle industrie del petrolio e del gas, della produzione di energia, delle tecniche mediche. Mancano anche palladio, rodio e il più economico platino, utilizzati principalmente nei catalizzatori automobilistici, di cui la Russia è il secondo produttore mondiale. L’industria automobilistica non ha pace: assieme all’aerospaziale dipende anche dal titanio proveniente dalla Russia, con alternative limitate disponibili. Il conflitto ha compromesso anche la speranza di una ripresa delle catene di fornitura di microchip, essenziali non solo per il settore auto, ma anche per oggetti di uso quotidiano quali cellulari, elettrodomestici e computer: tra le materie prime essenziali alla produzione dei chip, oltre al palladio, vi è infatti anche il neon, di cui il 70% della produzione mondiale proviene dall’Ucraina.

Infine, anche le materie prime secondarie metalliche (ottenute attraverso il riciclaggio di prodotti metallici smaltiti e usate come materia prima per nuovi beni) registrano un aumento notevole di prezzo.

Russia e Ucraina granai del mondo

Sale anche il prezzo delle materie prime agricole, ambiti in cui Russia e Ucraina primeggiano: i due Paesi generano il 53% del commercio globale di olio di girasole e semi, il 27% di grano, il 23% di orzo, il 16% di semi di colza e il 14% di mais.

Alcuni Stati sono fortemente dipendenti dal grano proveniente dai due Paesi, è il caso della Turchia, dell’Egitto e di molti Paesi del Nordafrica e del Medio e Vicino Oriente. Si prospettano una crisi alimentare mondiale e ripercussioni politiche: non dimentichiamoci che la Primavera araba cominciò proprio a causa del prezzo del pane. L’effetto della guerra si sta già facendo sentire anche in Europa: in Italia c’è allarme grano per il settore della pasta e mais per l’alimentazione del bestiame, mentre la Germania sembra aver esaurito le scorte di olio di girasole.

Emergenza fertilizzanti

La Russia è il secondo produttore al mondo di ammoniaca, urea e potassio e il quinto produttore di fosfati lavorati. La Bielorussia è responsabile di un quinto della produzione mondiale di potassio. Tutti elementi essenziali per produrre fertilizzanti: la loro scarsa reperibilità mette a rischio la quantità e la qualità dei raccolti per gli anni commerciali 2021/22 e 2022/23. Le attuali perturbazioni spingono i prezzi dei fertilizzanti verso l’alto e gli agricoltori dovranno assorbire costi sostanziali per raccolti meno voluminosi. Il rischio di effetti a catena sui consumatori è molto elevato: la crisi delle materie prime potrebbe infatti rendere il pane quotidiano più costoso.

Anche la Svizzera soffre

Se nel medio-lungo termine altri attori potrebbero sostituire Ucraina e Russia nell’industria di alcune delle materie summenzionate, le interruzioni di produzione e consegna stanno minando l’attività economica globale.

Il settore svizzero delle costruzioni soffre già della mancanza di materie prime e semilavorati e dei loro prezzi elevati. Essendo un’economia molto aperta e priva di materie prime, la Svizzera risente degli effetti della guerra anche in altri settori. Le prossime settimane determineranno quanto forte sarà l’aumento dei prezzi in generale e se la produzione ristagnerà.

Complice il franco forte e una produzione interna meno energivora di quella europea, in complesso la Svizzera dovrebbe però cavarsela meglio dei Paesi europei. Il caro franco crea tuttavia pressioni sulle esportazioni: la perdita globale di potere d’acquisto rischia infatti di abbassare la domanda di prodotti e servizi svizzeri.

La Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino sta attualmente conducendo un sondaggio tra le aziende della Svizzera italiana, volto ad ottenere una fotografia regionale dettagliata delle difficoltà legate agli approvvigionamenti e alle esportazioni.

Partecipate al sondaggio

Nuove sanzioni contro la Bielorussia

Il Consiglio federale ha proceduto ad una revisione totale dell’ordinanza che istituisce provvedimenti nei confronti della Bielorussia. Sulla scia di quanto adottato contro la Russia, le misure riguardano in particolare il settore commerciale e quello finanziario.

Tra le novità vi è il divieto di esportazione in Bielorussia di tutti i beni a duplice impiego (civile o militare), a prescindere dallo scopo o dal destinatario finale. Viene inoltre vietata l’esportazione di determinati macchinari e di beni per il rafforzamento militare e tecnologico o per lo sviluppo del settore della difesa e della sicurezza. In relazione a tali beni non è più permesso fornire assistenza tecnica, servizi di intermediazione né mezzi finanziari. Sono stati ampliati anche i divieti di importazione nei confronti della Bielorussia, che ora includono anche i prodotti del legno e della gomma, ferro, acciaio e cemento. In base alla nuova ordinanza è vietato fornire finanziamenti pubblici o assistenza finanziaria pubblica per gli scambi commerciali o gli investimenti in tale Paese. Altri provvedimenti in ambito finanziario concernono titoli di credito, mutui e l’accettazione di depositi. Le transazioni con la Banca centrale bielorussa non sono più consentite. Inoltre, le banche elencate nell’allegato sono escluse dal sistema di messaggistica internazionale SWIFT.

I nuovi provvedimenti possono essere visionati qui: https://www.seco.admin.ch/seco/it/home/Aussenwirtschaftspolitik_Wirtschaftliche_Zusammenarbeit/Wirtschaftsbeziehungen/exportkontrollen-und-sanktionen/sanktionen-embargos/sanktionsmassnahmen/massnahmen-gegenueber-belarus.html

Contatto per domande mirate: Segreteria di Stato dell’economia SECO, sanctions@seco.admin.ch, tel. 058 464 08 12


Situazione in Ucraina: ulteriori sanzioni contro la Russia

Il 4 marzo 2022 il Consiglio federale ha adottato la revisione totale dell’Ordinanza che istituisce provvedimenti per impedire l’aggiramento delle sanzioni internazionali in relazione alla situazione in Ucraina, riprendendo le sanzioni dell’UE del 23 e 25 febbraio e del 1° marzo 2022.

Si tratta principalmente di sanzioni commerciali e finanziarie, tra cui:

Provvedimenti relativi ai beni

  • fatte salve le deroghe previste all’art. 6, divieto di esportazione in Russia di beni a duplice impiego (art. 4 cpv. 1, allegato 2 OBDI), a prescindere dallo scopo o dal destinatario finale;
  • divieto di esportazione in Russia di beni militari speciali (art. 3 cpv. 1, allegato 3 OBDI) e, fatte salve le deroghe previste all’art. 6, divieto relativo ai beni che potrebbero contribuire al rafforzamento militare e tecnologico o allo sviluppo del settore della difesa e della sicurezza della Russia (art. 5 cpv. 1, allegato 1). In questo contesto sono vietate anche l’assistenza tecnica, l’intermediazione e la concessione di mezzi finanziari (art. 5 cpv. 2);
  • divieto di importare armi da fuoco, munizioni, esplosivi, pezzi pirotecnici e polvere da fuoco dalla Russia e dall’Ucraina (art. 2);
  • divieti relativi ai beni per l’aviazione e l’industria spaziale e ai servizi ad essi connessi (art. 9);
  • divieti relativi ai beni per la raffinazione del petrolio (artt. 10-12).

Provvedimenti finanziari

  • blocco di averi e di risorse economiche (art. 15);
  • obbligo di notifica relativo al blocco degli averi e delle risorse economiche (art. 16);
  • divieto concernente i valori mobiliari e gli strumenti del mercato monetario (artt. 18 e 23, allegati 9, 10 e 11);
  • divieto di concessione di mutui (art. 19);
  • divieto di accettare depositi di più di 100’000 franchi da cittadini russi o da persone fisiche e giuridiche nella Russia (art. 20);
  • dichiarazione obbligatoria relativa ai depositi esistenti (art. 21);
  • divieto legato alle transazioni con la Banca Centrale della Russia (art. 24);
  • divieto di fornire servizi specializzati di messaggistica finanziaria (art. 27).

Provvedimenti relativi ai territori designati

  • divieto d’importare i beni originari dei territori designati senza un certificato d’origine rilasciato dalle autorità ucraine (art. 13 cpv. 1);
  • divieto d’esportare certi beni e di fornire servizi connessi (art. 14);
  • divieto di finanziamenti, partecipazioni e certi servizi (art. 25).

Ulteriori restrizioni

  • divieto di entrata o di transito per talune persone (art. 29, allegato 8).

Coordinate di contatto per richieste specifiche sulle sanzioni: Segreteria di Stato dell’economia (SECO), sanctions@seco.admin.ch, tel. +41 58 464 08 12 (dalle 08:00-12:00 e 13:00-17:00)

Supply chain: concentrarsi sui clienti

Dalla fine del lockdown la domanda di taluni prodotti è in continuo aumento. Questo causa ripetutamente dei colli di bottiglia nella fornitura e nel trasporto. Le aziende della supply chain sono quindi nel mirino: devono superare i colli di bottiglia dell’approvvigionamento e fare di più per soddisfare i loro clienti.

Le richieste dei clienti sono aumentate significativamente spinte anche dalla rapida digitalizzazione nel settore delle vendite: sempre più processi legati ai prodotti si stanno spostando su internet (vedi e-commerce o shopping online).

Contatto e trasparenza

Cosa ricercano i clienti? Desiderano di certo modi facili e veloci di contatto attraverso vari canali. Richiedono anche informazioni/raccomandazioni complete e personalizzate su prodotti e servizi. È importante anche la rapidità nell’elaborazione di un ordine, non soltanto nella consegna.

Si evidenzia una tendenza alla trasparenza: innanzitutto, i clienti stessi vogliono leggere su internet le informazioni inerenti ai servizi. Inoltre, vogliono poter seguire l’intero processo di trasporto e le transazioni commerciali e vederli adattati ai loro standard personali (order-to-cash-process).

Quali sono questi standard personali? Sempre più clienti sono interessati alla protezione dell’ambiente e agli standard etici. Pertanto, spesso vogliono un monitoraggio in tempo reale per poter conoscere direttamente lo stato delle cose.

Incidono gli strumenti digitali

Gli strumenti di comunicazione sono cruciali. Le aziende devono essere raggiungibili via e-mail, telefono fisso, social media e anche tramite una chat sul proprio sito web. In questo contesto è utile disporre di un’unica piattaforma digitale per tutti i canali di comunicazione (omnichannel solution).

Oltre a ciò, le aziende dovrebbero anche essere in grado di inviare SMS e messaggi personali alle applicazioni smartphone dei clienti: infatti, i clienti apprezzano il fatto di ricevere messaggi utili al momento giusto.

Un unico sistema digitale può anche coordinare l’ordine, la consegna e consentire il monitoraggio in tempo reale della merce da parte dei clienti stessi. In questo caso, aiutano gli strumenti basati sull’Internet of Things (IoT). L’IoT può anche far uso di telecamere speciali in loco che permettono di monitorare le merci nei magazzini e durante il trasporto.

Infine, le aziende della catena di approvvigionamento dovrebbero mettere in rete i singoli dipartimenti e filiali. Così facendo, avranno ovunque gli stessi standard elevati di qualità e di servizio al cliente. In questo contesto la tecnologia blockchain può fornire un accesso rapido a tutti i documenti e processi interni.

La consulenza personale

Un servizio clienti personalizzato significa anche digitalizzare i processi banali e impiegare i dipendenti in modo mirato per la consulenza personale ai clienti. In questo modo, i collaboratori possono fidelizzare i clienti coniugando l’accoglienza e l’empatia alla loro competenza in materia di prodotti e servizi.

È altresì importante trattare i reclami in modo positivo: i clienti lo apprezzano. Infine, ogni feedback è utile all’ottimizzazione dei processi interni dell’azienda.

Commercio estero e “best practices” di sostenibilità

La sostenibilità è diventata un argomento rilevante nel mondo economico, anche nel commercio con l’estero.

Secondo diversi sondaggi internazionali, vi è un trend importante tra i consumatori: la stragrande maggioranza dei millenials, cioè i nati tra i primi anni ’80 e la metà degli anni ‘90, pagano volentieri di più per acquistare i prodotti se questi sono ecologicamente ed eticamente sostenibili. C’è anche un secondo trend: i clienti, così come i dipendenti, favoriscono le aziende che agiscono in modo ecologico e socialmente responsabile. Inoltre, sempre più investitori vogliono investire in aziende considerate sostenibili.

Sostenibilità economica, ecologica e sociale

Queste tendenze hanno implicazioni complesse per il supply chain management (SCM). Tre sono infatti gli aspetti importanti: la sostenibilità economica (efficienza delle risorse, costi), la sostenibilità ecologica (protezione dell’ambiente) e la sostenibilità sociale (etica sul lavoro).

Quali sono le “best practices” di sostenibilità per l’SCM? Queste risultano abbastanza chiare nell’area della sostenibilità economica: già da anni le aziende cercano di utilizzare le risorse in modo efficiente, ottimizzando i processi di lavoro tramite la tecnologia digitale e riducendo così i costi. Lo stesso vale per l’uso mirato dell’energia.

Qui incide anche il concetto della “circular economy” che incoraggia sempre più produttori e venditori a utilizzare più volte materiali e componenti di prodotti. Anche gli elementi che sono già stati smistati possono essere conseguentemente riciclati e rimessi in circolazione.

Le emissioni di CO2

Nell’ambito della sostenibilità ecologica, l’attenzione è rivolta alla riduzione delle emissioni di CO2. Il criterio della “product/corporate carbon footprint” (impronta di carbonio dell’azienda o del prodotto stesso) è decisivo: lungo tutta la catena di approvvigionamento si determina in modo trasparente il punto esatto in cui le emissioni di gas serra sono causate direttamente o indirettamente. In questo modo, si possono identificare i maggiori driver di CO2 e sviluppare contromisure mirate, come l’uso di materiali regionali a costi reali.

È anche importante usare le tecnologie moderne per monitorare o tracciare la sostenibilità della supply chain in ogni fase. Qui, il sistema dell’“internet of things” (IoT) offre la possibilità di monitoraggio in tempo reale tramite l’uso di dispositivi di misurazione e di telecamere esterne.

La sostenibilità etica

La sostenibilità etica riguarda il rispetto degli standard lavorativi e sociali che, nei principali paesi industrializzati, sono generalmente allineati. Questi standard non sono invece automaticamente garantiti nei vari siti di produzione delle catene di approvvigionamento internazionali. È qui che le aziende della supply chain europee possono intervenire, per esempio offrendo la prospettiva di benefici economici se si migliora la sostenibilità sociale oppure selezionando a monte fornitori che rispettino prerequisiti specifici.

Il database “Standards Map”

E dove si possono trovare le “best practices” di sostenibilità? Il database “Standards Map“, gestito dall’International Trade Center (ITC), offre una panoramica dettagliata: infatti si possono mettere a confronto più di 200 norme e i loro criteri, semplificando così il processo di valutazione dei fornitori o dei prodotti stessi.

Come stanno affrontando il tema della sostenibilità ambientale e sociale le aziende ticinesi che operano a livello internazionale? Ce ne parlerà il 24 marzo 2022 l’azienda Geomagworld SA di Novazzano, nel corso di un Lab congiunto di NZZ Impact e Switzerland Global Enterprise, con la collaborazione della Cc-Ti, di SUPSI e Rytec Circular. Maggiori ragguagli qui: Abbracciare la filosofia dell’economia circolare – Cc-Ti

Abbracciare la filosofia dell’economia circolare

Se ne parlerà il 24 marzo 2022

Oggi più che mai, l’innovazione deve andare di pari passo con due priorità fondamentali: minimizzare l’impatto sull’ambiente e massimizzare i benefici sociali. Il nostro pianeta ha bisogno che tutti noi facciamo uno sforzo consolidato per ridurre l’impatto ambientale dei nostri prodotti. Ma come si può attuare l’economia circolare in un contesto commerciale internazionale? Geomag gioca un ruolo di primo piano nella ricerca di soluzioni a questi problemi, anche in collaborazione con gli istituti locali.

Come? Se ne parlerà il 24 marzo 2022 presso Geomagworld SA a Novazzano: il Lab congiunto di NZZ Connect e Switzerland Global Enterprise, con il supporto della Camera di commercio e dell’industria del Canton Ticino, di SUPSI e Rytec Circular, inizia con un’immersione nel mondo Geomag, dove i partecipanti avranno la possibilità di visitare lo stabilimento e di partecipare ad un workshop di creazione.

Il direttore della Cc-Ti Luca Albertoni darà poi l’avvio alla tornata di discussioni, che prevede un keynote sulla circolarità nel business internazionale e tre workshop paralleli durante i quali i partecipanti potranno sviluppare con esperti soluzioni per implementare più circolarità nel loro business internazionale.

Il programma completo e il formulario d’iscrizione sono disponibili qui: CE2 | Labs (ce2lab.ch)

La Corea del Sud si unisce al RCEP

Il 1° febbraio 2022, il blocco commerciale più grande al mondo è entrato in vigore anche per la Corea del Sud.

Dell’RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) se ne è parlato molto a fine 2020-inizio 2021 dopo che è stato siglato, ma la sua entrata in vigore – il 1° gennaio 2022 – è avvenuta un po’ in sordina.

Questo accordo di partenariato economico globale regionale rappresenta circa il 30% della popolazione mondiale e il 30% del PIL globale e, oltre a mettere il Pacifico al centro del mondo, costituisce oggi il blocco commerciale più grande di sempre.

Vi hanno aderito i dieci Stati membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico ASEAB (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam), l’Australia, la Cina, la Corea del Sud, il Giappone e la Nuova Zelanda.

L’entrata in vigore sottotono è data dallo stato del processo di ratifica: dal 1° gennaio 2022 il RCEP si applica infatti unicamente a Brunei, Cambogia, Laos, Singapore, Thailandia, Vietnam, Australia, Cina, Giappone e Nuova Zelanda. La Corea del Sud si è unita al blocco il 1° febbraio 2022 e gli Stati rimanenti seguiranno 60 giorni dopo aver ratificato l’adesione.

Il RCEP è più che altro un accordo commerciale di prima generazione, in quanto si focalizza sulle concessioni tariffarie (oltre il 90% dei dazi saranno ridotti o eliminati a tappe) e l’armonizzazione delle regole d’origine. Esso copre però anche il commercio di servizi, gli investimenti, la cooperazione tecnica e commerciale, la proprietà intellettuale, la concorrenza e gli appalti pubblici.

È la prima volta che la Cina aderisce ad un patto commerciale multilaterale regionale, prediligendo finora accordi commerciali bilaterali. La particolarità del RCEP è però quella di essere il primo accordo di libero scambio che vede coinvolte Cina, Giappone e Corea del Sud, Paesi che non sempre hanno rapporti distesi. La grande assente è invece l’India, ritiratasi dai negoziati e la cui adesione non solo avrebbe reso ancora più ampia la portata dell’accordo, ma avrebbe anche attenuato il peso della Cina.

Questo accordo di partenariato cambia non solo il commercio con l’Asia, ma influisce anche direttamente sulle catene regionali del valore, con una potenziale riallocazione degli investimenti in risposta ai crescenti costi del lavoro in Cina e all’esigenza di differenziazione, contribuendo più in generale a rafforzare le catene globali del valore.

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Reshoring, nearshoring, backshoring

…e se la supply chain puntasse invece sulla circolarità?

La ripresa in contemporanea delle attività manifatturiere dopo i vari lockdown, la forte crescita della domanda di prodotti inaccessibili durante le chiusure, i ritardi nelle consegne, il rincaro dei trasporti (leggi: aumento dei costi di noli) così come l’aumento dei prezzi delle materie prime continuano ad esacerbare lo stato di salute delle catene di approvvigionamento. Molte fonti lo affermano: i colli di bottiglia e l’esplosione dei costi dovrebbero perdurare fino a fine 2022. Allo stesso tempo, notizie di reshoring, nearshoring e persino backshoring, in particolare delle attività attualmente basate in Cina, sono all’ordine del giorno. Non tutte però sono strettamente collegate con la pandemia… anche perché le catene di fornitura non possono essere cambiate rapidamente o facilmente: qualificare nuovi fornitori richiede analisi di qualità, accordi sui diritti di proprietà intellettuale, nuove certificazioni e molte altre valutazioni.

Un sondaggio effettuato a febbraio/marzo 2020 dalla società di consulenza strategica e di ricerca Gartner, Inc. su 260 leader della catena di approvvigionamento globale ubicati nei quattro angoli del mondo, ha ad esempio evidenziato che già all’epoca il 33% degli intervistati aveva trasferito la propria attività fuori dal Regno di Mezzo o prevedeva di farlo entro il 2023.
Tali decisioni erano pertanto state prese ben prima pandemia. Un dato confermato anche da Resilinc, che si occupa di supply chain analytics e secondo la quale il 2019 aveva registrato il più alto tasso di interruzioni delle catene di approvvigionamento degli ultimi anni.
Le cause? Chiusura di fabbriche sì, ma anche cambiamenti di proprietà dovuti a fusioni e acquisizioni, eventi meteorologici estremi e disastri naturali (inondazioni, terremoti), cambiamenti normativi e, non meno importante, i conflitti geopolitici. Negli ultimi anni pre-pandemia, quindi, sempre più aziende si sono trovate a far fronte a grossi rischi e interferenze per la propria filiera.

Una ricetta miracolosa per rafforzare le proprie catene di approvvigionamento non esiste. È vero però che gli enti regolatori chiedono però sempre più spesso alle aziende di stabilire catene del valore trasparenti e di effettuare una due diligence sulla condotta sociale e ambientale dei loro fornitori – non che questo influisca sulla capacità di questi ultimi di fornire nei tempi voluti i prodotti o materiali richiesti. Allo stesso tempo, da parte dei consumatori cresce la domanda di prodotti sempre più sostenibili. In generale si constata quindi un aumento delle pressioni su sostenibilità e trasparenza. Ciò crea per le aziende nuove opportunità di mercato e potenziali benefici in materia di reputazione.
Ne conseguono però per loro anche nuovi compiti, quali ripensare in modo strategico a come affrontano, valorizzano, costruiscono e ottimizzano le catene del valore.

La pressione sulla filiera dovuta alla pandemia da un lato, le esigenze degli enti regolatori e le tendenze di consumo dall’altro… perché non prendere due piccioni con una fava e rivoluzionare quindi i propri paradigmi e il proprio modo di intendere e di fare business? E quale paradigma economico integra sostenibilità ambientale (e sociale), all’interno di una nuova strategia aziendale meglio dell’economia circolare?

L’economia circolare è un modello economico che si basa sul riutilizzo, la riparazione, il riciclaggio di prodotti e materiali: allungando il ciclo di vita dei prodotti, essa riduce il volume, la velocità e il chilometraggio dei flussi di materiali, offrendo una soluzione contro il moltiplicarsi dei colli di bottiglia nella catena d’approvvigionamento, risparmi sui costi di approvvigionamento delle risorse e una minore esposizione al rischio legato alla volatilità dei prezzi delle materie prime. In sostanza l’economia circolare risponderebbe quindi a tematiche chiave quali la continuità del business e la gestione dei rischi (ambientali e di fornitura), contribuendo altresì a rafforzare la resilienza della filiera.

Come del caso del reshoring, nearshoring o backshoring, anche l’introduzione della circolarità non è però esente da sfide e sicuramente non è un processo a breve termine, in primis perché si tratta di una trasformazione che non può essere compiuta in modo isolato: riconfigurare le supply chain significa sperimentare nuove forme di collaborazione con tutti gli attori coinvolti – ovunque essi siano ubicati ed attuare meccanismi di reverse logistics (logistica inversa o logistica di ritorno) in grado di recuperare i prodotti a fine vita. Sì, perché i prodotti vanno riprogettati, adottando materiali green e biocompatibili così come logiche di durabilità, pensando quindi fin da subito al loro reimpiego e pertanto con caratteristiche tali da permetterne lo smontaggio o la ristrutturazione.

Il reparto acquisti deve lavorare con la squadra di progettazione per identificare i partner delle materie prime per le innovazioni e le tecnologie più adatte. L’approvvigionamento di materiali e tecnologie per prodotti circolari cambia quindi il processo di selezione dei fornitori influenzandone i criteri di valutazione e il modo in cui ci si relaziona con loro. Gestire e mantenere tali collaborazioni richiede tempo e risorse. La logistica inversa che ha l’impatto più diretto sulle catene di approvvigionamento è invece il ritorno dei prodotti dal consumatore finale al produttore: affinché questo modello possa funzionare, le aziende devono poter aver accesso ai loro prodotti a fine vita.
In alcuni settori la gestione della logistica di ritorno dei prodotti è già una realtà per le aziende, grazie a leggi specifiche. È il caso dei prodotti elettronici di consumo, che nell’Unione europea sono regolati dalla direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (WEEE), la quale obbliga i fabbricanti ad occuparsene a fine vita. Molte aziende di altri settori hanno invece “risolto” il problema promuovendo modelli alternativi di utilizzo, come lo sharing o il pay-peruse, che consentono loro di rientrare in possesso dei prodotti ad utilizzo terminato.

In conclusione, le attuali problematiche della supply chain rappresentano sì una sfida non indifferente per le aziende, ma anche un’opportunità per ripensare il proprio business e rendere la propria filiera più resiliente ma soprattutto più inclusiva.