Esecuzione e fallimento: revisione della LEF

Il Consiglio Federale ha fissato al 1° gennaio 2019 l’entrata in vigore delle nuove norme della LEF che mirano a proteggere chi è oggetto di esecuzioni ingiustificate. La modifica della legge fa seguito all’iniziativa parlamentare promossa dal Consigliere di Stato ticinese Fabio Abate (09.530), il cui termine referendario è scaduto il 7 aprile 2017.

La revisione della LEF prevede tre nuovi istituti a favore del debitore:

  1. Revoca a terzi del diritto di consultazione di un’esecuzione ingiustificata;
  2. Richiesta in ogni tempo di produrre i mezzi di prova da parte del creditore;
  3. Diritto a richiedere in ogni tempo l’accertamento dell’inesistenza del debito.

La nuova normativa non contiene disposizioni transitorie. Secondo la giurisprudenza del TF (cfr. DTF 126 III 431, consid. 2b; 122 III 324 consid. 7) si applicano i principi generali dell’art. 1 titolo finale del CC che prevedono l’applicazione immediata delle norme procedurali.

Pertanto le nuove disposizioni della LEF si applicano anche alle esecuzioni promosse prima del 1° gennaio 2019.

Revoca a terzi del diritto di consultazione di un’esecuzione ingiustificata

A seguito dell’entrata in vigore della nuova disposizione, trascorsi 3 mesi dalla notifica del precetto esecutivo contro il quale è stata interposta opposizione, il debitore potrà richiedere all’Ufficio esecuzioni (UE) che tale esecuzione non sia comunicata a terzi. Per la scadenza del termine dei 3 mesi fa stato l’art. 142 cpv. 2 CPC (art. 31 LEF). A seguito della richiesta del debitore, l’UE assegnerà d’ufficio un termine di 20 giorni al creditore chiedendo di comprovare di aver avviato a tempo debito una procedura di eliminazione dell’opposizione. Il creditore dovrà quindi dimostrare all’UE di aver avviato una procedura di rigetto (provvisorio o definitivo) dell’opposizione oppure un’azione creditoria nei confronti del debitore nel termine di 3 mesi + 20 giorni dalla notifica del precetto esecutivo. In caso di mancata prova in tal senso, l’UE non potrà dar notizia a terzi dell’esecuzione. In concreto tale specifica esecuzione non apparirà più sull’estratto delle esecuzioni rilasciato dall’UE.

Il creditore in ogni tempo, ma entro il termine di un anno di cui all’art. 88 cpv. 2 LEF, potrà promuovere una procedura di rigetto dell’opposizione o un’azione creditoria. Qualora in seguito il creditore fornisse prova all’UE di aver avviato una delle menzionate procedure anche successivamente al termine di 3 mesi + 20 giorni, l’UE dovrà nuovamente comunicare a terzi l’esistenza della relativa procedura esecutiva.

La decisione dell’UE di non dar notizia di un’esecuzione a terzi costituirà un provvedimento passibile di ricorso ai sensi dell’art. 17 LEF.

Secondo l’avamprogetto sull’Ordinanza sulle tasse riscosse in applicazione della legge federale sulla esecuzione e sul fallimento (OTLEF), la cui entrata in vigore non è ancora stata determinata, il Consiglio Federale intende fissare a CHF 20.- la tassa per la richiesta formulata dal debitore. Secondo il rapporto esplicativo dell’avamprogetto, tale tassa dovrà essere pagata dal debitore insieme alla domanda e resterà a suo integrale carico indipendentemente dall’esito della procedura.

Nuovo tenore di legge:

Art. 8a cpv. 3 lett. d LEF

3 Gli uffici non possono dar notizia a terzi circa procedimenti esecutivi:

  1. per i quali il debitore abbia presentato una domanda in tal senso almeno tre mesi dopo la notificazione del precetto esecutivo, sempre che entro un termine di 20 giorni impartito dall’ufficio d’esecuzione il creditore non fornisca la prova di aver avviato a tempo debito la procedura di eliminazione dell’opposizione (art. 79–84); se tale prova è fornita in un secondo tempo o l’esecuzione è proseguita, gli uffici possono nuovamente dar notizia di quest’ultima a terzi. 

Richiesta in ogni tempo di produrre i mezzi di prova da parte del creditore

Un’ulteriore novità introdotta dalla novella legislativa è la facoltà del debitore di richiedere in ogni tempo all’Ufficio esecuzioni che il creditore depositi i mezzi di prova relativi alla pretesa di cui all’esecuzione promossa. Nel diritto previgente il debitore aveva facoltà di richiedere la produzione di tali mezzi di prova entro 10 giorni dalla notifica del precetto esecutivo.

La nuova norma prevede che qualora il creditore non dovesse fornire o dovesse fornire tardivamente all’Ufficio esecuzioni i mezzi di prova richiesti, il giudice chiamato in seguito a dirimere una vertenza relativa all’esecuzione, terrà in considerazione l’agire del creditore nella ripartizione delle spese processuali e delle ripetibili indipendentemente dall’esito della vertenza.

Testo dell’articolo in questione:

Art. 73 LEF

1 Dopo l’apertura dell’esecuzione il debitore può chiedere in ogni tempo che il creditore sia invitato a presentare presso l’ufficio i mezzi di prova concernenti la pretesa unitamente a una panoramica di tutte le sue pretese scadute nei confronti del debitore.

2 L’invito non ha alcun effetto sui termini, che continuano a correre. In caso di inadempimento o di adempimento tardivo del creditore il giudice, in una lite successiva, tiene tuttavia conto nella decisione sulle spese processuali e sulle ripetibili del fatto che il debitore non aveva avuto la possibilità di prendere visione dei mezzi di prova.

Diritto a richiedere in ogni tempo l’accertamento dell’inesistenza del debito

La terza e ultima novità introdotta nella LEF permette al creditore di promuovere in ogni tempo un’azione tesa all’accertamento dell’inesistenza del debito oltre che richiedere in via giudiziaria l’estinzione o la concessione di una dilazione. Nel diritto previgente il Tribunale Federale (DTF 141 III 68) ha precisato che l’accertamento dell’inesistenza del debito rispettivamente della sua estinzione poteva essere promossa dal debitore escusso unicamente qualora avesse omesso di interporre opposizione al precetto esecutivo oppure se il rigetto dell’opposizione fosse cresciuto in giudicato. Il Tribunale Federale (DTF 141 III 68) ha poi in seguito precisato che un’azione tesa all’accertamento negativo era possibile anche nel caso in cui contro l’esecuzione fosse stata interposta opposizione in quanto era dato un interesse degno di protezione del debitore a poter accertare l’inesistenza del debito.

A seguito dell’introduzione del nuovo articolo di legge sarà dunque possibile promuovere un accertamento dell’inesistenza del debito in qualsiasi stadio dell’esecuzione, indipendentemente se il debitore ha interposto o meno opposizione oppure se l’opposizione è stata rigettata giudizialmente.

Il testo di legge che entrerà in vigore sarà il seguente:

Art. 85a cpv. 1 LEF

1 A prescindere da una sua eventuale opposizione, l’escusso può domandare in ogni tempo al tribunale del luogo dell’esecuzione l’accertamento dell’inesistenza del debito, della sua estinzione o della concessione di una dilazione.

Conclusioni

Le novità introdotte dalla revisione mettono a disposizione dei nuovi mezzi a favore del debitore affinché possa tutelarsi contro esecuzioni ingiustificate anche senza dover necessariamente avviare procedure giudiziarie anticipandone le relative spese.

Sono ancora presenti alcune costellazioni che potrebbero apparire problematiche e insoddisfacenti ai fini della tutela del debitore che ha subito un’esecuzione ingiustificata.

Nella revisione non è stata presa in considerazione la possibilità di richiedere la cancellazione o di non comunicare a terzi le procedure esecutive perente ai sensi dell’art. 88 cpv. 2 LEF. Tali esecuzioni potrebbero infatti risultare visibili nell’estratto delle esecuzioni del debitore qualora l’istanza di rigetto (provvisorio o, in taluni casi, definitivo) oppure l’azione creditoria promossa dal creditore non venissero accolte dal Giudice.

Infine, l’ammontare e l’obbligo dell’anticipo dei costi giudiziari per una procedura di accertamento negativo da parte del debitore oggetto di esecuzione ingiustificata non è stato modificato. Il debitore istante dovrà farsi carico di anticipare tali spese il cui costo continuerà ad essere proporzionato con il valore dell’importo oggetto di esecuzione. Ciò comporterà che il debitore che vorrà promuovere un’azione di accertamento dell’inesistenza del debito, in particolare a seguito di esecuzioni ingiustificate di elevato valore, sarà ancora costretto ad anticipare dei costi non indifferenti. Tuttavia tale difficoltà all’accesso alla giustizia è mitigata, a giusta ragione, dalla prassi di alcune Preture di mantenere al minimo l’anticipo delle spese giudiziali.

 


Avv. Patrick Fini,

Studio legale e notarile
Respini Jelmini Beretta Piccoli & Fornara,

Lugano

 

 

Per ulteriori approfondimenti:
–  Patrick Fini, La revisione della legge federale sulla esecuzione e sul fallimento (esecuzioni ingiustificate) in: Novità fiscali, l’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale, edito da SUPSI, n. 12, dicembre 2018 

Fonti:
Iniziativa parlamentare Cancellazione dei precetti esecutivi ingiustificati
– Rapporto della Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale
Istruzione n. 5 dell’Alta vigilanza in materia di esecuzione e fallimento (nuovo art. 8a cpv. 3 lett. d LEF)
– Revisione dell’ordinanza sulle tasse riscosse in applicazione della legge federale sulla esecuzione e sul fallimento (OTLEF)

Moduli:
Domanda di non dar notizia di un’esecuzione a terzi (art. 8a cpv. 3 lett. d LEF)

Proprietà intellettuale in azienda: asset da comprendere e valorizzare

I beni della proprietà intellettuale, come i marchi e i brevetti, non devono essere inquadrati solo come strumenti di tutela legale; essi invece rappresentano a tutti gli effetti un investimento che genera un ritorno anno per anno in termini di competitività, di immagine, di mantenimento in esclusiva di fasce di mercato, configurandosi come cespiti di altro profilo al pari di macchinari sofisticati.

Le cronache odierne pongono sotto i riflettori storie ed esperienze diverse, che dimostrano come la crescita possa avvenire anche grazie alla capacità, ed alla lungimiranza, di investire su questo fronte.

La proprietà intellettuale rappresenta cioè un patrimonio da adoperare non solamente nel momento in cui si affronta una controversia, bensì da valorizzare anche a livello “psicologico” facendo si che costituisca uno sprone nel pianificare e gestire l’attività dell’impresa.

In un mondo che evolve a velocità impetuosa e in un mercato, globale, che cerca soluzioni sempre nuove ai propri problemi, ciò che diventa decisivo per il successo di un’azienda è il suo patrimonio intellettuale, la sua creatività, ed anche la forza di rispondere prima dei concorrenti alle nuove sfide. Non a caso si qualificano e si valutano le imprese in funzione del loro know-how, e della capacità di governare questa ricchezza attraverso procedure sempre nuove di gestione della conoscenza. Amministrare questo capitale è un requisito fondamentale, altrettanto lo è proteggerlo.

Per operare in modo corretto e non lasciare nulla al caso o all’improvvisazione, al pari di qualsiasi altro processo aziendale, la gestione della proprietà intellettuale richiede di conoscere gli strumenti a disposizione e sapere come utilizzarli al meglio, per avvantaggiarsi nell’affrontare le sfide del nostro tempo.

Il patrimonio di proprietà intellettuale di un’azienda è composto infatti da una serie di diritti derivanti da brevetti, modelli registrati e marchi d’impresa, che possono essere detenuti nazionalmente e/o in più paesi esteri, con presupposti ed effetti di volta in volta anche diversi. In tutto questo è importante avere una gestione corretta, applicando tecniche e metodi che permettano di far rendere al massimo gli investimenti profusi, verificando quali strumenti scegliere in chiave sinergica, anche in base alle mutazioni, nel tempo, del quadro concorrenziale e del mercato.

Un consapevole e opportuno utilizzo e sfruttamento degli strumenti disponibili è infatti alla base di una strategia di successo resiliente e rivolta al futuro.

Testo a cura di:
Hermann Padovani e Riccardo BiazziM. ZARDI & Co. S.A., Lugano

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Tempo … di vacanze

Tempo e vacanza (art 329 CO)

Il datore di lavoro:

  • deve accordare al lavoratore, ogni anno di lavoro, al minimo 4 settimane di vacanza, durante le quali deve versare il salario completo che spetta al dipendente.
  • ai lavoratori sino ai 20 anni compiuti, sono dovute almeno 5 settimane di vacanza, durante le quali deve versare il salario completo che spetta al dipendente.
  • nel caso di un anno incompleto di lavoro, le vacanze sono conteggiate proporzionalmente alla durata del rapporto di lavoro nell’anno considerato.
  • in caso di prolungamento del termine di disdetta a causa di un impedimento al lavoro senza colpa del lavoratore, il diritto alle vacanze cresce in maniera proporzionale.
  • il cpv 2 della disposizione che prevedeva la quinta a settimana di vacanza accordata ai lavoratori con più di 50 anni è stata soppressa nel 1983. Tuttavia, questa regola (o varianti simili) è spesso prevista nei CCL.

Il datore di lavoro deve pagare al lavoratore il salario completo per la durata delle vacanze e sino a quando dura il rapporto di lavoro, le vacanze non possono essere compensate con denaro o altre prestazioni.

Rendiamo attenti che, nel caso il lavoratore esegua durante le vacanze un lavoro rimunerato per conto di terzi, ledendo quindi i legittimi interessi del principale datore di lavoro, il datore di lavoro può rifiutargli il salario delle vacanze o esigerne il rimborso.

Esiste l’eventualità di derogare quanto espresso precedentemente per alcune particolari categorie di lavoratori per i quali è effettivamente difficile calcolare durante l’anno la somma dovuta per le vacanze e di versare, quindi, la corretta somma al momento stesso che le vacanze vengono godute.

Questo potrebbe essere il caso per i rapporti di lavoro su chiamata, impropriamente detti anche “a tempo parziale”, per il lavoratori a tempo parziale per i quali il tasso d’attività è molto variabile, o per i lavoratori interinali al servizio di più datori di lavoro, ecc.

In questo caso, il contratto di lavoro, quando è concluso per iscritto, così come i le relative dichiarazioni salariali periodiche, devono indicare chiaramente ed espressamente quanto del salario totale è destinato al risarcimento delle ferie.

La semplice indicazione che l’assegno di vacanza è incluso nel salario totale non viene ritenuta esaustiva!

La somma che rappresenta il pagamento delle vacanze in aggiunta al salario, deve essere fissata in percentuale o in cifre, e questa menzione deve apparire chiaramente nel contratto di lavoro scritto e nelle dichiarazioni di salario periodiche.

Laddove le parti abbiano stipulato un contratto orale, è ragionevole pensare che anche gli accordi riferiti alle ferie siano stati espressi oralmente.

In questa situazione, la voce specificante le vacanze nella dichiarazione salariale periodica è sufficiente a fornire la necessaria chiarezza e conferma che l’accordo verbale abbia trovato una corretta applicazione.

Lavorare a tempo parziale

I contratti per il lavoro a tempo parziale sono sempre più apprezzati a causa della flessibilità dell’orario di lavoro. Fondamentalmente, sono identici ai contratti di lavoro a tempo pieno. Tuttavia, alcune differenze significative sono ovvie.

Nel caso del lavoro orario, la retribuzione per le vacanze viene solitamente aggiunta al salario orario. Questa prassi è (sempre) autorizzata dalla giurisprudenza corrente, riferita ai lavori di breve durata o molto irregolari.

Ciò significa anche che per i giorni liberi del dipendente, lo stipendio non verrà pagato durante questo periodo di assenza.

In queste realtà lavorative, è essenziale che i datori di lavoro garantiscano che le vacanze siano menzionate non solo nel contratto di lavoro, ma anche in ogni singola dichiarazione di stipendio.

In assenza di tale “voce” formale, potrebbero essere richiesti pagamenti aggiuntivi, anche diversi anni dopo.

Se 4 settimane di ferie sono concordate per contratto, l’indennità di ferie è dell’8,33%, contro il 10,64% per 5 settimane di ferie.      

I giorni festivi

Un obbligo legale intrinseco di pagare i giorni festivi esiste solo per il 1 ° agosto, giorno parificato alla domenica. I Cantoni possono parificare la domenica al massimo a altri 8 giorni festivi all’anno e ripartirli diversamente secondo le regioni. Questo vale anche per i dipendenti a ore ed è riconosciuto anche dal Tribunale Federale.

In Ticino gli 8 giorni parificati alla domenica sono: oltre il 1°agosto, Capodanno, Epifania, Lunedì di Pasqua, Ascensione, Assunzione, Ognissanti, Natale e Santo Stefano.

La questione del pagamento dei giorni festivi non è chiaramente regolata a livello legislativo, poiché la LL ed il CO sono silenti al proposito. Di regola, il problema viene risolto nei CCL o nei contratti individuali oppure ci si orienta agli usi in vigore in un determinato settore o in una certa regione.

La prassi giudiziaria è però chiara per quanto concerne chi percepisce un salario mensile. Questa categoria di dipendenti non può subire riduzioni di salario a causa dei giorni festivi, indipendentemente dal numero di giorni festivi mensili (è però possibile che l’azienda disponga il recupero del lavoro perso a causa dei giorni infrasettimanali non parificati alle domeniche).

Diversa è invece la situazione di chi è pagato a ore o al giorno. In linea di principio, questi dipendenti sono pagati solo per il lavoro effettivamente svolto, a meno che un CCL o il contratto individuale non garantisca loro in modo esplicito il pagamento del salario anche nei giorni festivi.

E’ possibile che, quale compromesso, CCL o contratto individuale prevedano un certo numero di giorni festivi (ad esempio 8) in cui viene compensato il guadagno perso.

Si tratta di solito delle festività parificate alle domeniche che non possono essere recuperate. In questo caso i giorni festivi non parificati alle domeniche non sono pagati, a meno che non vengano recuperati.

Il recupero dei giorni festivi

Per i giorni festivi parificati alle domeniche non vi è alcun obbligo di recuperare le ore perse, indipendentemente dal fatto che i lavoratori abbiano un salario mensile o che siano pagati ad ore.

Per gli altri giorni festivi non parificati alle domeniche il recupero è possibile, a meno che nel contratto non figuri altro.

Il recupero, la cui forma va stabilita d’intesa con il personale, è quindi possibile senza formalità particolari (permessi) né indennità speciali per lavoro straordinario.

I giorni festivi e le ferie

Secondo la costante prassi giudiziaria, le domeniche e gli altri giorni parificati alle domeniche che cadono durante un periodo di vacanza non possono essere dedotti dalle vacanze.

D’altra parte, è chiaro che i giorni festivi che cadono di domenica (come può ad esempio capitare per il 1° maggio) non danno il diritto ad un recupero da parte del dipendente, nel senso di un giorno di vacanza supplementare.

Anche chi è malato in occasione di un giorno festivo non ha diritto di recuperarlo più tardi, a differenza di quanto avviene per le vacanze, per le quali il dipendente malato ha un diritto di recupero.

Spesso le aziende si organizzano in modo da lavorare qualche minuto in più ogni giorno ed accumulare così ore che permettono di chiudere l’azienda in occasione dei cosiddetti “ponti” (ad esempio il venerdi dopo l’Ascensione, oppure per le chiusure fra il periodo natalizio e Capodanno).

Di per sé, tale operazione è poco problematica, salvo nei casi in cui un dipendente lascia l’azienda o si ammala durante i giorni liberi “creati” con il lavoro supplementare accumulato durante l’anno.

In casi del genere, in particolare in quello della partenza dall’azienda, il dipendente ha il diritto di farsi pagare i minuti giornalmente prestati in più, se non ha potuto godere del relativo tempo libero (ad esempio uscita dalla ditta prima della chiusura aziendale del periodo natalizio).

In caso di lavoro part-time regolare, lo stipendio mensile non sarà generalmente ridotto, anche se le festività cantonali cadono nel corso del mese in questione.

Tuttavia, deve essere annotato che le festività che cadono nei giorni liberi dei dipendenti part-time non dovranno essere pagate in aggiunta.

FAQ sul tempo di lavoro

Il datore di lavoro può pretendere dal dipendente che la mail del lavoro venga consultata e venga data risposta se fosse richiesto?

No. Le vacanze servono quale recupero delle proprie energie. Questo obiettivo, fissato dalla legge, viene ovviamente messo in discussione se si dovesse essere in contatto quotidiano con il proprio posto di lavoro e con l’obbligo di dover interagire attivamente.

Questa regola può essere riconsiderata solo in presenza di una reale e comprovata emergenza.

Come regola generale, il tragitto verso il lavoro non è considerato tempo di lavoro. Ma vale anche per un trasferimento temporaneo in una filiale più distante?

Se il lavoratore deve recarsi al lavoro in un altro località da quella concordata nel suo contratto di lavoro, la durata supplementare del tragitto è considerata come tempo di lavoro (es. se il tragitto normale è di 30 minuti e il nuovo posto si trova a 50 minuti, i 20 minuti di differenza saranno considerati come tempo lavorativo

Cos’è il servizio di picchetto e quando conta come tempo di lavoro?

Si parla di picchetto ai sensi della legge quando il lavoratore parallelamente al sul tempo di lavoro ordinario deve tenersi pronto a intervenire in casi di eventuali guasti, a prestare il proprio aiuto in casi d’urgenza, a fare turni diversi dai propri, o a mantenersi a disposizione in caso di avvenimenti eccezionali.

È solo quando un servizio di picchetto deve essere fornito all’interno dell’azienda che quest’ultimo è considerato come orario di lavoro.

Se il servizio di picchetto viene effettuato al di fuori dell’impresa, vengono presi in considerazione solo gli impegni effettivi assunti (tragitto incluso) quale tempo di lavoro.

Il rimborso dei costi viene definito dal contratto di lavoro. I forfaits orari o giornalieri sono i più comuni. Esiste una regolamentazione speciale per ospedali e cliniche.

Un datore di lavoro può richiedere ai suoi dipendenti di fare pausa nel locale adibito e non di non lasciare il perimetro dei locali dell’azienda?

Si. Il Tribunale Federale ha recentemente ammesso che le pause non dovrebbero offrire la stessa libertà di movimento e organizzazione di quelle richieste per il tempo libero di per sé.

La condizione rimane, tuttavia, che lo spazio riservato alle pause sia appropriato, in particolare per quanto riguarda i mobili e l’igiene, al fatto che i dipendenti interessati a prendersi una pausa in pace non vengono costantemente richiamati da interferenze lavorative.

Il Servizio Giuridico della Cc-Ti è volentieri a disposizione dei soci per consulenze in ambito di diritto del lavoro o HR.

Obbligo di annuncio: un’opportunità

Dal 1. luglio entra in vigore l’obbligo di annuncio dei posti vacanti presso gli Uffici regionali di collocamento (URC). La nuova procedura, decisa dalle Camere federali per concretizzare l’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, è presentata in queste settimane alle aziende dal Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE).

Si stanno infatti organizzando, anche in collaborazione con le associazioni professionali, momenti informativi a cui hanno partecipato finora diverse centinaia di imprenditori, che hanno così potuto scoprire i sei passi della nuova procedura:

  1. Check – I datori di lavoro sono tenuti ad annunciare agli URC i posti vacanti che rientrano nei generi di professione con un tasso medio di disoccupazione pari o superiore all’8% (soglia che, dal 1. gennaio 2020, sarà abbassata al 5%). Il sito http://lavoro.swiss (raggiungibile anche attraverso www.ti.ch/servizioaziende) propone uno strumento di verifica dell’assoggettamento all’obbligo.
  2. Procedura di annuncio – Sul portale http://lavoro.swiss si può annunciare il posto vacante online, in modo semplice e veloce. Occorre fornire informazioni essenziali relative alla professione cercata, all’attività, al luogo di lavoro, al grado di occupazione, e così via.
  3. Gestione URC – Il servizio aziende URC verifica l’esaustività dell’annuncio e invia una conferma di iscrizione del posto vacante soggetto all’obbligo. Quest’ultima vale come prova dell’adempimento dell’obbligo d’annuncio. Il posto vacante viene inserito in un’area protetta accessibile solo alle persone in cerca di impiego iscritte agli URC.
  4. Pubblicazione – Per i posti vacanti annunciati soggetti all’obbligo vale un divieto di pubblicazione di cinque giorni lavorativi. Il posto vacante può essere pubblicato solo dopo la scadenza di tale termine.
  5. Proposte candidati – Nel periodo di pubblicazione di cinque giorni, chi è in cerca di un impiego ha accesso privilegiato ai posti vacanti soggetti all’obbligo e può autocandidarsi. Entro tre giorni lavorativi dalla conferma di iscrizione del posto vacante annunciato, il datore di lavoro riceve dal Servizio aziende URC una risposta riguardo a candidature idonee.
  6. Riscontro sulla selezione – Il datore di lavoro esamina le candidature trasmesse al Servizio aziende URC e comunica i candidati ritenuti adeguati che sono stati invitati a un colloquio, l’eventuale assunzione di uno di questi e la chiusura del posto vacante.

In conclusione, la nuova procedura, in modo semplice e mirato, permette da un lato di adempiere l’obbligo e, dall’altro, di avvalersi della professionalità e dell’offerta mirata del Servizio aziende URC. Proprio il rapporto di partenariato tra quest’ultimo e gli imprenditori permetterà di incentivare la segnalazione di tutte le posizioni vacanti, indipendentemente dall’obbligo d’annuncio, offrendo al nostro Cantone un’occasione in più per creare nuove opportunità lavorative per chi è alla ricerca di un impiego. Il servizio aziende URC risponde a domande e dubbi delle aziende confrontate con la nuova procedura: www.ti.ch/servizioaziende.

 

A quest’argomento è stato dedicato il Networking Business Breakfast del mese di giugno. Inoltre il Servizio Giuridico della Cc-Ti è volentieri a disposizione dei soci per consulenze diverse.

Il trattamento dei dati personali dei collaboratori

Aziende e imprenditori sono confrontati oggi con richieste di procedure di sicurezza sempre più sofisticate, atte a proteggere quella sfera dell’azienda che non può e non deve essere resa pubblica.
Nel Codice delle Obbligazioni, all’articolo 328b, troviamo un riferimento alla Legge federale sulla protezione dei dati:

Il datore di lavoro può trattare dati concernenti il lavoratore soltanto in quanto si riferiscano all’idoneità lavorativa o siano necessari all’esecuzione del contratto di lavoro. Inoltre, sono applicabili le disposizioni della legge federale del 19 giugno 1992 sulla protezione dei dati”.

Con il termine di dati personali è intesa qualsiasi tipo d’informazione relativa a una persona identificata o identificabile.

Trattamento dei dati

  • In generale il datore di lavoro non può trasmettere alcuna informazione a terzi senza il consenso della persona interessata.
  • Solo se esiste un obbligo legale, come ad esempio nel caso dell’AVS o di altre assicurazioni sociali, i dati possono essere trasmessi anche senza il consenso del collaboratore.
  • La documentazione dei candidati non selezionati deve essere restituita agli stessi ed eventuali copie distrutte.
  • La protezione dei dati non termina nel momento in cui termina il contratto di lavoro. Senza il consenso dell’ex-collaboratore non è possibile divulgare nessun tipo d’informazione.

Attenzione ai “file segreti”

I dossier non ufficiali (“file segreti”), tenuti all’insaputa del dipendente e senza sottostare alla corretta regolamentazione della protezione dei dati, non sono legali.

Dati soggetti a protezione speciale    

Il file del personale contiene spesso dati sensibili relativi alla persona del collaboratore. In questo caso, si deve fare stretto riferimento alla raccolta dei dati, ai sensi della legge sulla protezione dei dati.
Sono proprio questi dati che vengono annunciati al registro FDPIC.

 

La legge dice che…

Scarica il file completo con il testo integrale su quest’importante argomento! Il nostro Servizio giuridico è a disposizione degli associati per consulenze in merito.

Uso privato dei veicoli commerciali da parte di lavoratori frontalieri

Alcune ditte nostre associate ci hanno informato della comunicazione dello scorso marzo dell’Agenzia delle Dogane italiane relativa al cambiamento di prassi in relazione all’utilizzo di veicoli commerciali da parte di lavoratori frontalieri, la quale escludeva un utilizzo promiscuo dei mezzi di trasporto.

Abbiamo successivamente preso contatto con l’Agenzia delle Dogane e fornito una nostra valutazione e interpretazione dell’art. 215 RD, dove ritenevamo che la differenziazione «uso privato» /«uso commerciale» non doveva avvenire secondo il tipo di veicolo (per es. furgone/autovettura), ma secondo l’uso effettivo che se ne fa nel caso concreto.

In tal senso abbiamo quindi chiesto che la nuova prassi venisse riconsiderata al fine di permettere un uso promiscuo (commerciale e privato) dei veicoli in oggetto.

L’Agenzia delle Dogane ha preso concretamente posizione sulla nostra richiesta di chiarimenti, rivedendo la propria posizione.

In concreto, ci è quindi stato comunicato che, come da noi auspicato, in generale, è possibile associare ad un uso commerciale un uso privato dell’automezzo, a condizione che tale ultimo uso sia espressamente previsto nel contratto di lavoro.

Ulteriori informazioni?
Gli associati alla Cc-Ti possono contattare:
Avv. Michele Rossi, +41 (0)91 911 51 30

Obbligo di annuncio dei posti vacanti per i datori di lavoro

Il prossimo 1° luglio entrerà in vigore l’obbligo di annuncio per i datori di lavoro di segnalare agli Uffici Regionali di Collocamento (URC) i posti vacanti in azienda. Si tratta di un’importante modifica legislativa che, al momento attuale, vista l’economia in crescita e con trend positivi (dati emersi sia dalla nostra inchiesta congiunturale, che dallo studio BAK Economics), con un mercato del lavoro che deve fare fronte a numerose sfide (nuovi modelli di business, sviluppi dati dalla digitalizzazione, specializzazioni settoriali, ecc.), rappresenta un nuovo tassello nell’attività quotidiana delle PMI e delle aziende ticinesi.

Questa modifica legislativa è stata introdotta a seguito della votazione del 9 febbraio 2014, quando il popolo elvetico ha accolto l’iniziativa popolare “Contro l’immigrazione di massa”, che ha iscritto nella Costituzione federale, all’articolo 121a, il quale prevede l’applicazione di contingenti e del principio della preferenza nazionale nei confronti degli stranieri, compresi i cittadini dell’Unione Europea.

Alfine di sfruttare la manodopera locale, il Parlamento svizzero ha deciso di introdurre l’obbligo di annuncio per i generi professionali con un elevato tasso di disoccupazione.

La procedura in vigore dal 1°.7.2018

I datori di lavoro sono tenuti a notificare agli URC i posti vacanti che rientrano nei generi professionali con un tasso di disoccupazione che a livello nazionale ammonta almeno all’8%; il 1° gennaio 2020 questo valore soglia sarà ridotto al 5%; anche i posti vacanti affidati ad agenzie di collocamento private, headhunter o imprese di fornitura di personale a prestito vanno annunciati all’URC.

Il calcolo del tasso di disoccupazione si basa sulla statistica del mercato del lavoro della SECO. I generi professionali toccati saranno elencati pubblicamente da parte delle autorità federali.

In pratica

Entro tre giorni lavorativi dalla ricezione dell’annuncio completo, l’URC trasmette ai datori di lavoro che hanno effettuato gli annunci i dati sulle persone in cerca d’impiego con un dossier adeguato o comunica ai datori di lavoro che non sono disponibili persone corrispondenti al profilo richiesto. I datori di lavoro comunicano all’URC quali candidati hanno ritenuto adeguati e hanno invitato a un colloquio di assunzione o a un test di attitudine professionale, se hanno assunto uno dei candidati o se il posto è ancora vacante.

Non vi è alcun obbligo per il datore di lavoro di assumere i candidati segnalati dall’URC.

In ogni modo il datore di lavoro può pubblicare in altro modo i posti vacanti che è tenuto ad annunciare solo dopo cinque giorni lavorativi dalla ricezione della conferma dell’annuncio da parte dell’URC.

Sono previste eccezioni all’obbligo di annuncio se i posti vacanti sono occupati da persone che già lavorano in azienda, se il rapporto di lavoro non supera i 14 giorni, o in caso di legami di parentela.

Il sito lavoro.swiss

Su questo portale, oltre che tutte le informazioni sulla modifica legislativa, si trovano i dettagli inerenti:

  • I profili dei candidati in cerca di impiego registrati presso gli URC
  • L’elenco dei generi professionali soggetti all’obbligo di annuncio
  • Le modalità di annuncio dei posti vacanti
Attraverso questo link è possibile accedere al sito dedicato lavoro.swiss.

Dialogo efficace fra aziende ed Amministrazione federale

Da sempre la comunicazione fra aziende ed Amministrazione federale è buona. La Segreteria di Stato dell’economia (SECO)  ha implementato negli anni un vero e proprio portale dedicato alle PMI ed alle aziende per informazioni, un’interazione costante e numerosi servizi online, proprio per essere ancora più performante nel suo dialogo tra autorità ed aziende.

Quale Cc-Ti riceviamo spesso domande in relazione ai temi di costituzione di un’attività, successione, IVA, eccetera. Tra i numerosi servizi dedicati agli associati  vi sono le consulenze in ambito giuridico  e relative all’internazionalizzazione ed export. Pensiamo però valga la pena segnalare il portale della Confederazione per una prima efficace informazione su dubbi e/o domande che possono trovare una risposta immediata, anche negli orari di chiusura dei nostri uffici.

Il portale www.pmi.admin.ch

Questa piattaforma è stata strutturata con lo scopo di alleggerire il carico amministrativo delle PMI, offrendo una fonte di risposte pratiche a tutta una serie di quesiti che spesso gli imprenditori si pongono. Le domande infatti spaziano dalla creazione e gestione di un’impresa, alla successione, passando per le questioni di import/export, a quelle giuridiche. Oltre a ciò vi è la possibilità di un comunicazione diretta con la SECO, oltre a diversi servizi online.

Contenuti

In pratica, dunque, sul portale della SECO si trovano informazioni utili su come creare un’attività, muovendo i primi passi, sia per cittadini svizzeri che stranieri, sulle diverse forme giuridiche in essere in Svizzera, dettagli utili sulle pratiche di import/export di beni e prodotti vari, ma sono trattati anche temi quale la gestione del personale e il diritto del lavoro.  Vi sono poi i link diretti agli sportelli online della Confederazione, come pure anche a quelli cantonali (con una panoramica su tutti i Cantoni svizzeri), oltre alla possibilità di accedere a EasyGov. Si tratta di un altro portale dedicato alle PMI che snellisce le pratiche amministrative, poiché offre l’opportunità di svolgere online procedure per autorizzazioni, notifiche e presentazione delle domande.

La Cc-Ti è sempre a disposizione dei propri associati per consulenze specifiche.
Non siete ancora affiliati alla Cc-Ti? Contattate Lisa Pantini, Responsabile delle Relazioni con i soci per ogni dettaglio in merito.

Gratifica o benefici in natura: quali riflessioni fare?

In una storia di forte competizione economica, il rafforzamento della motivazione e dello sviluppo dei team aziendali è diventato una priorità. Il riconoscimento del lavoro svolto in modo individuale o di gruppo può diventare un fattore chiave per il successo del business.

L’incentivo è apparso nei paesi anglosassoni negli anni 90. Questo metodo consente ai datori di lavoro di motivare i propri collaboratori principalmente in due modi:

  • da un lato, la motivazione di “essere”, che permette di creare una coesione nella squadra e di fare leva sull’atteggiamento dei collaboratori;
  • d’altra parte, la motivazione del “fare”, che volge a migliorare le prestazioni singole e di gruppo.

In entrambi i casi, i dipendenti ricevono una contropartita che mira a gratificarli e a incentivare la loro voglia di fare e collaborare al meglio (ad esempio seminari, formazione supplementare, viaggi o regali).

È necessario rammentare una sola condizione perché questi metodi si rivelino realmente efficaci:

l’azienda deve premiare durante un periodo di crescita, perché il premio è un acceleratore di performance.
Assolutamente da sconsigliare in caso quindi, ad esempio, di un piano sociale.

Proviamo a fare chiarezza.

La gratifica o il bonus

 Per definizione, la gratifica è un premio straordinario pagato in aggiunta al salario. Potrebbe essere accordata come ricompensa per un lavoro già fornito e concluso o come incoraggiamento per il lavoro futuro.

L’ammontare della gratifica dipende, in linea di principio, dalla volontà del datore di lavoro.

Secondo l’art. 322d al 1 CO la gratifica è una retribuzione eccezionale che il datore di lavoro accorda in aggiunta al salario e in determinate occasioni, come Natale o a fine anno contabile.

Concetto opposto quando parliamo di bonus, il cui ammontare è determinato in anticipo dalle parti o dipende da criteri oggettivi convenzionalmente predeterminati, come l’ammontare della cifra d’affari art. 322aCO.

La partecipazione al risultato viene considerata come una componente del salario (si differenzia ancora dalla provvigione – art. 322bCO- in quanto si riferisce al risultato globale dell’azienda, mentre la provvigione è una remunerazione fissata in base ai risultati personali dal lavoratore).

Esistono comunque circostanze per le quali la gratifica può divenire anch’essa parte integrante del salario e quindi dovuta; questo accade se il carattere facoltativo di questo versamento viene a decadere e il datore di lavoro, di anno in anno, concede puntualmente la gratifica.

Nella misura in qui perde la propria caratteristica opzionale, entra a fare parte delle voci di salario (da ricordare che la gratifica non deve eccedere di principio dal 10% del salario fisso).

Per qualificare invece il bonus e la gratifica è necessario interpretare le volontà delle parti.

Prima di tutto, è necessario stabilire se il bonus è determinato (rispettivamente determinabile) o indeterminato (rispettivamente indeterminabile).

  • Se il bonus è determinato o determinabile, il dipendente ha diritto a questo bonus. La remunerazione è oggettivamente determinabile quando non dipende più dal giudizio del datore di lavoro.
  • Questo è il caso in cui il dipendente ha diritto a una parte dell’utile o del fatturato o altrimenti partecipa al risultato aziendale (articolo 322a CO). Il datore di lavoro deve quindi mantenere il suo versamento, pagando al dipendente la remunerazione concordata (elemento essenziale del contratto di lavoro) e il bonus deve essere considerato come un elemento attivo (variabile) del salario.
    L’obbligo (contrattuale) del datore di lavoro di pagare al suo dipendente questa remunerazione fissa (o oggettivamente determinabile) può venire regolamentata da subito (all’inizio del rapporto di lavoro, all’interno del contratto stipulato tra le parti) o accordata in un secondo tempo, durante il decorrere del rapporto contrattuale di lavoro.

Un bonus può anche essere soggetto a decadere: in particolare, non è dovuto (pro rata  temporis), in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della circostanza che dà    luogo al suo pagamento, a meno che non si abbia concordato diversamente (art. 322 D, paragrafo 2, CO).

  • Se il bonus non è determinato o oggettivamente non determinabile, il dipendente generalmente non ha alcun diritto: la remunerazione dipende dalla buona volontà del datore di lavoro e il bonus viene allora qualificato come gratifica. Questo è il caso in cui la quota non è fissata in anticipo, ma dipende principalmente dal margine di manovra del datore di lavoro.

Quando la quota non è determinata o oggettivamente determinabile, deve essere definita e qualificata come gratifica.

La gratifica può diventare un diritto?

La gratifica può perdere la propria caratteristica di facoltatività nel momento in cui il datore di lavoro, senza riserve, la versa per 3 anni consecutivi:

la gratifica diviene, allora, tacitamente obbligatoria e il collaboratore può pretenderne il pagamento come parte integrante del salario.

Attenzione quindi: una somma, il cui importo e la scadenza sono fissati in anticipo o dipendono
dall’adempimento di determinate condizioni, non potrà essere considerata come gratifica, ma sarà un elemento salariale.

Come deve comportarsi il datore di lavoro?

 Per impedire che la gratifica venga convertita in un elemento salariale, il datore di lavoro deve dichiarare espressamente che tale importo viene pagato a sua discrezione e che questo pagamento può interrompersi in qualsiasi momento.

Si consiglia vivamente di rinnovare questa riserva in occasione di ogni pagamento.

Tuttavia, anche se reintegrata sistematicamente, tale riserva può diventare inefficace se si dimostra puramente formale o nel caso in cui il datore di lavoro dimostri, con il suo comportamento, che il versamento viene effettuato a prescindere da agenti interni o esterni.
Il Tribunale federale ha precisato, per esempio, che una gratifica retribuita sistematicamente per dieci anni consecutivi può vincolare il datore di lavoro al dipendente.

Se il datore di lavoro paga la gratifica ogni anno, compresi gli anni in cui avrebbe avuto un motivo oggettivo per non riconoscerla al dipendente, come ad es. la cifra d’affari in calo, il dipendente ha il diritto di credere che la gratifica gli è dovuta.

Sebbene sia accompagnata da una riserva, la gratifica assume dunque comunque un carattere obbligatorio.

Benefici in natura e fisco

Attualmente, i datori di lavoro sono pieni di immaginazione quando si tratta di motivare e premiare i propri dipendenti. In effetti, metodi alternativi di ricompensa e fidelizzazione sono diffusi, specialmente all’interno delle multinazionali.

Vengono integrati, ad es., sistemi di accumulo punti che danno diritto a buoni sconto per attività rilassanti, abbonamenti sportivi, regali materiali (ad es. orologi di marca), percentuali di sconto per l’acquisto di merci e così via..

I benefici in natura si sono decisamente dimostrati efficaci in termini di motivazione e fidelizzazione dei dipendenti.

Sebbene questi vantaggi particolari non siano, in linea di principio, considerati come una voce salariale dal diritto del lavoro, sarà invece più difficile sfuggire alla qualifica di “reddito”
da un punto di vista fiscale.

Secondo le direttive per la stesura del certificato di salario e del certificato della Cassa pensione, rilasciato dalla Conferenza svizzera delle imposte (CSI) e dall’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), tutti i benefici che il datore di lavoro fornisce al dipendente sono, in linea di principio, tassabili e devono essere dichiarati sul certificato di salario.

Tuttavia, per ragioni pratiche, alcuni elementi sfuggono a questo principio. Alcuni benefici offerti dal datore di lavoro non devono essere necessariamente dichiarati.

Ciò vale per doni di valore inferiore a CHF 500 per particolari occasioni (compleanno, Natale, ecc…), abbonamenti FFS a metà tariffa rilasciati gratuitamente, biglietti di ingresso a manifestazioni culturali, sportive (di un valore pari o inferiore a CHF 500/a evento) e altri casi speciali.

Se si considera una concessione di prestazioni in natura, si deve considerare il fatto che, in generale, questi benefici dovranno essere inclusi nella dichiarazione stipendio del dipendente e saranno pertanto imponibili.

Concludendo

Pertanto, seppur encomiabile qualsiasi gesto del datore di lavoro per condividere con i propri collaboratori la propria realtà aziendale, è auspicabile riflettere anticipatamente sullo scopo e la durata di quanto si propone quando si imposta un sistema di benefici. Il datore di lavoro deve tenere presente che la linea tra la stessa gratifica e la voce definitiva salariale è sottile.

Social media: attenzione a cosa dite!

Facebook, LinkedIn e piattaforme social: attenzione a come vi comportate!

“Un computer su ogni scrivania e uno in ogni casa”: questa era l’idea che ispirava l’attività di Microsoft a metà degli anni ’70.

Ma quando i dipendenti rivelano informazioni sui social network o usano le piattaforme in modo improprio?

In Svizzera, i comportamenti inadeguati dei dipendenti e la criminalità economica sono i principali rischi che devono affrontare le aziende. La quantità di danni causati da casi di frode e abuso raggiunge diversi miliardi. Inoltre, perdita di reputazione e fiducia sono incommensurabili per le aziende.

La legge parla chiaro

Come per i blog, la creazione e l’uso dei social network è una libertà di espressione, ai sensi dell’articolo 16 della Costituzione federale. Tutti hanno il diritto di formulare, esprimere e diffondere liberamente il proprio pensiero.

Nel diritto del lavoro, questa libertà è limitata da alcuni obblighi contrattuali del dipendente nei confronti del suo datore di lavoro.

Calunnie, discorsi diffamatori, offensivi o minacciosi contro l’ambiente di lavoro, i quadri, i colleghi di lavoro e l’azienda, resi pubblici o pubblicati sui social network possono costituire reato penale, punibile quindi ai sensi del codice penale.

Conformemente all’art. 321a cpv. 1 CO, sotto obbligo di fedeltà la legge intende l’obbligo del lavoratore, di salvaguardare con fedeltà gli interessi legittimi del datore di lavoro. L’obbligo di fedeltà è soprattutto un obbligo di non fare: detto in modo semplificato, il lavoratore deve omettere qualsiasi cosa che potrebbe danneggiare economicamente il datore di lavoro.

Correttezza reciproca

Il dovere di diligenza e fedeltà, sancito dall’articolo 321a capoverso 1 del Codice delle obbligazioni, obbliga i dipendenti ad astenersi da qualsiasi comportamento che possa pregiudicare gli interessi legittimi, economici o altro, del proprio datore di lavoro.

Il lavoratore è tenuto ad astenersi assolutamente dal provocare intenzionalmente danno d’immagine e di reputazione al suo datore di lavoro.
Quando si utilizzano i social network, il dipendente deve responsabilizzarsi e astenersi dall’associare il proprio datore di lavoro a commenti, immagini o altro che potrebbero danneggiare la reputazione aziendale, ma anche il personale stesso dell’azienda.

Allo stesso modo, resta inteso che il datore di lavoro è tenuto a proteggere la personalità, la salute e l’integrità personale dei suoi dipendenti. Questo obbligo deriva dalle sezioni 6 della legge sul lavoro e 328 del Codice delle obbligazioni.

Dovere di riservatezza

L’uso dei social network nasconde anche altri rischi, come la divulgazione di informazioni riservate.

Immaginiamo il CEO di un’azienda che s’imbatte sui piani dei suoi nuovi prototipi esposti sulla pagina di LinkedIn del suo manager R&D o un Account Manager che rivela pubblicamente informazioni personali sui clienti del proprio datore di lavoro.
Nel diritto del lavoro, per tutta la durata del contratto, ma anche dopo la fine del rapporto di lavoro, il dipendente è soggetto ad un obbligo di riservatezza (sezione 321a (4) CO).

Deve astenersi dall’utilizzare, rivelare o sottintendere su Internet qualsiasi informazione confidenziale, della quale è venuto a conoscenza durante il suo servizio, a proposito del suo datore di lavoro, sulla produzione, gli affari o sui clienti, ecc. .

Il datore di lavoro può cautelarsi e prendere posizione

Quando il datore di lavoro subisce un danno, può e deve imperativamente esigere la cancellazione definitiva, completa e immediata di tutte le informazioni pubblicate dal dipendente.

Se quest’ultimo non procede alla cancellazione richiesta, il datore di lavoro potrà avvalersi di un’azione legale per la cessazione dell’infrazione (articolo 28a del codice civile).
A seconda della gravità del danno causato al datore di lavoro, queste divulgazioni illecite o improprie di dati possono anche essere un motivo legittimo di licenziamento, anche immediato. L’immediato licenziamento di un manager che denigrava il suo datore di lavoro con i clienti è stato accettato dal Tribunale Federale.

Il controllo dell’utilizzo di Internet e della messaggistica privata è autorizzato quando viene previsto nel regolamento aziendale. Il tipo di controllo eseguito deve, in ogni caso, rispettare il principio di proporzionalità.

Attenzione: Per quanto riguarda la supervisione dei lavoratori, è vietato utilizzare sistemi di controllo progettati per monitorare il comportamento dei dipendenti nel loro lavoro (articolo 26 dell’ordinanza 3 sul diritto del lavoro, di seguito OLT3). Con sistemi di monitoraggio e controllo, si intendono tutti i tipi di dispositivi tecnici (ottici, acustici ed elettronici) atti a registrare e controllare le attività e i comportamenti dei lavoratori.
È consentita una sorveglianza che non abbia scopo di controllo e giudizio sui dipendenti e sul loro lavoro, ma con un obiettivo diverso, come la sicurezza dell’azienda e dei propri collaboratori.

Come comportarsi, come prevenire

Al fine di prevenire gli abusi sui social network il datore di lavoro deve elaborare delle apposite direttive legate all’utilizzo dei canali social network privati e professionali (art 321 d CO.) e inglobarle nel “Regolamento aziendale”, sin dall’inizio del rapporto lavorativo.

Le regole decise dal datore di lavoro devono e possono, di regola, indirizzarsi solo all’ambito professionale del collaboratore e quindi, del suo comportamento all’interno della sfera lavorativa. Solo a titolo eccezionale e per evidenti ragioni correlate al proprio ruolo o ambito lavorativo, il datore di lavoro può prevedere regole che incorporano anche la sfera privata.

Il datore di lavoro può disciplinare un divieto di tutte quelle pubblicazioni che potrebbero lenire la sua reputazione, l’onore, l’immagine propria e quella dei propri collaboratori aziendali. Proibire, senza eccezioni, la divulgazione sotto qualsiasi forma di tutti i dati confidenziali resi noti nell’ambito professionale.

Il datore di lavoro preciserà esplicitamente le sanzioni previste per il collaboratore che viola suddette direttive.

Prevenire meglio che curare – Integrity Management

Purtroppo gli scandali segnano le aziende anche se risolti e accantonati da anni. Le aziende hanno un grande interesse nel prendere rapidamente coscienza dei possibili casi di abuso e nel garantire che le informazioni corrispondenti non siano pubblicate. Più velocemente reagiscono, più basso è il rischio di danni o minore sarà il danno stesso.

Su questo tema, I risultati del “Global Economy Crime Survey 2014” confermano che in Svizzera il 36% dei crimini è stato scoperto a seguito di segnalazioni interne.

La creazione di un sistema indipendente, professionale e anonimo rappresenta quindi una misura efficace in termini di organizzazione al fine di identificare il prima possibile le operazioni discutibili e pericolose nelle aziende.
Negli ultimi 15 anni, molte società attive a livello internazionale hanno istituito questi centri di annunci. Secondo uno studio del 2011, quasi tutte le 20 maggiori società quotate in Svizzera dispongono di un sistema di allarme rapido; la maggior parte consente anche annunci anonimi.

Nel 2013 il Consiglio federale ha presentato al Parlamento proposte di revisione parziale del diritto del lavoro volte a migliorare la protezione dei dipendenti che segnalano abusi. La base giuridica si basa sul principio di una “cascata” di annunci secondo i quali, gli abusi devono prima essere annunciati internamente. Solo quando il datore di lavoro non avrà preso nessuna misura entro 60 giorni o se quanto segnalato e appurato risulta chiaramente insufficiente a chiarire i fatti, sarà reso possibile un annuncio alle autorità esterne.

Riassumiamo e rendiamo attenti

Divulgare informazioni confidenziali, danneggiare l’immagine o ledere in qualsiasi modo all’integrità della propria azienda e al proprio datore di lavoro è considerata una violazione contrattuale grave e il collaboratore può andare in contro a sanzioni che comprendono il licenziamento, il licenziamento in tronco o il perseguimento penale.

Il comportamento scorretto dei dipendenti e il crimine economico costituiscono un rischio considerevole per l’azienda e in Svizzera causano ogni anno miliardi di danni. Un sistema di annunci può essere considerato un importante strumento di gestione e di aiuto per la prevenzione delle azioni dolose degli stakeholder.