Speciale votazioni: NO alla modifica della legge sui trasporti pubblici

Il prossimo 5 giugno 2016 il popolo ticinese sarà chiamato alle urne per un corposo giro di decisioni, voteremo infatti su ben 4 temi cantonali e 5 federali.

Tra i temi cantonali spicca la Modifica della legge sui trasporti pubblici dove la Cc-Ti raccomanda di esprimersi con un NO per i motivi che potete approfondire leggendo i documenti scaricabili qui sotto e visitanto il sito internet www.no-alla-tassa-sui-parcheggi.ch

NO ad una nuova tassa a carico dei ticinesi contro:

  • chi usa l’automobile
  • chi lavora
  • chi fa la spesa

No ad una nuova tassa che:

  • non risolve i problemi del traffico
  • penalizza i collaboratori delle aziende
  • Incentiva gli acquisti oltre confine mettendo ancora di più sotto pressione il nostro commercio

L’economia è a favore della riduzione del traffico ma non in questo modo.  Leggendo l’approfondimento di Ticino Business potete scoprire perchè non si è a favore e con quali serie motivazioni.

Scaricare il dossier di TB

Sharing economy e digitalizzazione: non solo rischi

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

Da qualche mese stiamo affrontando con particolare attenzione e vari approfondimenti i temi dell’economia condivisa e della digitalizzazione, per certi versi legati se pensiamo a come la digitalizzazione (vedi ad esempio le applicazioni per i telefoni) faciliti lo sviluppo di determinati fenomeni di sharing economy (Uber su tutti).

Ovviamente entrambi i temi hanno risvolti molto diversificati e ben più ampi, ma sono accomunati da una sola grande paura, quella della sostituzione dell’essere umano soprattutto nel settore industriale a causa della robotizzazione e quella della sostituzione di professioni o settori “tradizionali” e ben consolidati sul territorio, come possono essere i servizi di taxi o l’albergheria. Timori legittimi e comprensibili, che vanno affrontati con serietà, perché quando ci sono in ballo i destini economici e quindi esistenziali degli esseri umani non si può mai scherzare. E’ però opportuno ricordare che ogni evoluzione o rivoluzione tecnologica ha sempre portato con sé molte paure e innegabili difficoltà nel breve termine, ma grandi sviluppi nel medio e lungo termine. In altre parole, l’adattamento nel breve è talvolta doloroso, ma la prospettiva è di regola di maggiore benessere.
E’ sempre difficile fare previsioni e a volte siamo più nel campo degli auspici esorcizzanti che delle certezze. Eppure come dimenticare che negli anni ottanta fu presentato un atto parlamentare alle Camere federali che chiedeva l’introduzione di balzelli pesantissimi sui computer per evitarne la diffusione e quindi salvare i posti di lavoro degli umani, minacciati dalle macchine cattive? Oggi questo fa sorridere e non necessita di ulteriori commenti, ma illustra bene come sia necessario mantenere la mente aperta e il sangue freddo verso queste evoluzioni che, piaccia o non piaccia, sono comunque ineluttabili. Qualche tempo fa, in occasione di alcuni dibattiti, avevo sottolineato un elemento particolarmente importante, cioè che queste sfide poste in particolare da alcuni fenomeni di economia condivisa, dovevano essere l’occasione non per creare nuove regole ma per alleggerire quelle esistenti.

L’esempio pratico di Uber o di Airbnb è illuminante. E’ un errore dire che le regole non esistono, perché chi trasporta o ospita persone a pagamento comunque conclude un contratto che ha conseguenze giuridiche. Il problema è spesso legato piuttosto alle perdite per lo Stato per mancati versamenti di oneri sociali, imposte, tasse di soggiorno, ecc., con inevitabili risvolti di concorrenza sleale per gli attori che invece devono sottostare a regole ferree. Ma questi mancati versamenti non sono il frutto di mancanza di regole, perché di regola necessitano solo adattamenti sugli aspetti delle verifiche. Recentemente un tribunale americano ha considerato che gli operatori di Uber non esercitano un mandato ma hanno un contratto di lavoro, per cui le conseguenze giuridiche sono decisamente diverse. In Svizzera un tribunale probabilmente non deciderebbe altrimenti. Sappiamo infatti che, secondo la costante prassi delle autorità competenti in materia di assicurazioni sociali, lo statuto di indipendente e quindi il rapporto contrattuale di mandato che permette al datore di lavoro versare onorari senza oneri sociali, può essere riconosciuto, fra le altre cose, solo a chi ha diversi mandanti e non uno solo come è spesso il caso per chi lavora per Uber. Il fatto poi che Uber, negli Stati Uniti, abbia concluso una transazione con le autorità americane non cambia i termini del problema. Insomma, senza entrare in troppi tecnicismi, le regole ci sono, vanno un po’ adattate magari soprattutto sul piano del controllo, ma prima di crearne altre va verificato l’esistente. Incoraggiante in questo senso è la recente comunicazione del Consiglio federale che, rispondendo a mozioni presentate da due Consiglieri nazionali PLR, ha chiaramente indicato come sia disponibile a rivedere rapidamente le ormai obsolete regole imposte ai conducenti di taxi ufficiali e che si rivelano penalizzanti. La strada è quella giusta per ristabilire una concorrenza ad armi pari.

Per la mobilità servono soluzioni concertate

Di Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

Il prossimo 5 giugno voteremo sull’ormai famosa o famigerata (a seconda dei punti di vista) tassa di collegamento, che nel contesto della legge sui trasporti pubblici prevede una nuova e ulteriore imposta sui parcheggi. Finalmente si vota, si potrebbe dire, visto che la questione è ormai assurta a elemento fondamentale della politica ticinese, tanto che senza la tassa sembrerebbe imminente il blocco di tutti i progetti di potenziamento del trasporto pubblico. La realtà è ben diversa, ma purtroppo il peccato è originale, perché la discussione su questa misura di natura prettamente fiscale è stata dall’inizio impostata secondo canoni di tipo elettorale e poco oggettivo, sottolineando argomenti non sempre pertinenti.

E’ infatti stato pomposamente annunciato che sarebbe stata una tassa contro i frontalieri, quando in realtà l’autorità cantonale stessa ha poi dovuto ammettere che essa sarà a carico dei ticinesi e dei residenti nella misura del 70%. E’ anche stato sottolineato che si tratterebbe di un balzello fondamentale per lo sviluppo del trasporto pubblico, salvo poi candidamente ammettere che si tratta di una misura essenziale per tenere in piedi le finanze cantonali, pena l’aumento generalizzato del moltiplicatore d’imposta. Pura misura finanziaria e fiscale, quindi, senza ombra di dubbio. Che con il finanziamento del trasporto pubblico c’entra solo marginalmente, visto tra l’altro che tale finanziamento dovrebbe avvenire, come negli altri cantoni, attraverso il budget generale dello Stato. Si è anche detto che la tassa avrebbe colpito solo i centri commerciali, per definizione sempre brutti, sporchi e cattivi e quindi da massacrare, perché ormai fare la spesa (in Ticino) è una colpa di cui vergognarsi (con l’effetto paradossale che i tradizionali paladini dell’autarchia cantonale sostengono nella fattispecie chi va a fare la spesa in Italia). A parte il fatto che la demonizzazione dei centri commerciali è difficilmente comprensibile, in realtà la tassa (o imposta che dir si voglia) tocca tutte le aziende, visto che la discriminante è il numero di parcheggi e le aziende grandi non esistono certo solo nel settore del commercio, ma anche e soprattutto in quello industriale. Anche su questo punto vi sono quindi parecchie inesattezze, per usare un eufemismo.

E’ un vero peccato che sull’altare degli interessi elettorali sia stata sacrificata una vera e approfondita discussione sulle finanze cantonali e sulla mobilità, intesa in senso lato e non solo come fenomeno che tocca tutti ma che avrebbe pochi responsabili, le aziende in primis, ovviamente. La realtà, e lo sanno bene anche i promotori della tassa di collegamento, è molto più complessa, come chiaramente emerso dal convegno sulla mobilità che la Cc-Ti ha organizzato lo scorso 15 aprile (cliccate qui per visualizzare il resoconto dell’evento). L’appuntamento di respiro nazionale, con la partecipazione di esponenti dell’economia di altri cantoni, ha chiaramente mostrato come l’unica via per trovare soluzioni efficaci per la mobilità (non solo quella aziendale) sia l’approccio coordinato e concertato fra tutti gli attori pubblici (cantone e comuni) e privati (aziende, ma anche cittadine e cittadini). Il resto sono solo misure puntuali, di regola sanzionatorie, che non risolvono nulla e che rappresentano solo palliativi oltretutto temporanei. Oggi un approccio sistemico del genere non c’è e non vi è alcuna indicazione che potrebbe esservi in un prossimo futuro. E’ strano, perché, almeno sulla carta, il cantone si è dotato di linee direttive sulla mobilità che contengono molte misure che meritano di essere approfondite e discusse in vista di un’applicazione ad ampio respiro e condivisa. Invece sembra esistere solo la tassa, purtroppo. Intendiamoci, anche una tassa potrebbe avere una sua legittimità qualora vi fossero già in atto vere misure alternative. Un po’ come è stato deciso a Basilea, con la differenza che in quella regione la tassa può essere prevista se l’offerta di trasporto pubblico esiste e la sua efficacia è dimostrata. Situazione ben diversa dal Ticino, dove si dice “prima dammi i soldi, poi vedremo se e quale offerta di trasporto pubblico ci sarà”. Una tassa sulla fiducia, insomma, senza contropartita immediata come dovrebbe essere scontato giuridicamente per una tassa. Invece nulla, colpi di mazza sulla cattiva economia che devasta il territorio, tutti contenti e andiamo avanti così. Dimenticando che molte aziende si sono già da tempo attivate autonomamente con programmi di mobilità aziendale e gli esempi non mancano, per cui l’argomento che il mondo economico se ne frega del territorio non regge. Si può sempre migliorare e siamo pronti a discutere di correttivi su chi ha comportamenti criticabili, ma i correttivi devono esserci per tutti, perché come vi sono aziende poco rispettose del sistema, così esistono numerosi esempi di cittadine e cittadini, enti e istituzioni che se ne fregano altamente del territorio. Dire in maniera generica che le imprese non sono socialmente responsabili è una menzogna che non si può accettare. Il comportamento socialmente responsabile delle aziende, che da tempo stiamo promuovendo con decisione, ha sfaccettature talmente ampie che non può essere negato solo in virtù di una nuda e cruda cifra concernente il numero di parcheggi di cui si dispone. L’economia, esprimendosi contro la tassa di collegamento, non vuole quindi sottrarsi alle sue responsabilità, né verso il territorio, né nella discussione concernente le finanze cantonali, ma esige che questo avvenga su basi diverse, oggettive e parlando chiaramente, chiamando le cose con il loro nome e non vantando effetti taumaturgici di misure molto parziali.

Una tassa (o imposta) che non si sa bene a cosa sia destinata, che sanziona maggiormente il numero di parcheggi piuttosto che i movimenti (strano dal punto di vista ambientale…) e che opera inspiegabili distinzioni fra settori economici presenta troppe contraddizioni per essere accettabile, al di là del fatto che l’uso della leva fiscale senza pensare ai compiti dello Stato e quindi alle spese veramente necessarie è per noi insensato. Certo, in un cantone in cui le sei corsie fra Melide e Mendrisio sono promosse e addirittura avvallate da parlamentari cantonali che hanno combattuto con rara violenza la seconda galleria autostradale del San Gottardo perché più strade portano più traffico, può veramente capitare di tutto e non ci si deve più stupire di nulla. Ma questo non deve costituire un alibi per sdoganare qualsiasi proposta che permetta di raccogliere facili consensi. Dalle aziende si esige, giustamente, molto in termini di attenzione al territorio. Ma è altrettanto legittimo attendersi molto dalla politica, perché anche i rappresentanti del popolo devono tenere un comportamento socialmente responsabile.

L’economia non vuole guerre e, indipendentemente da come andrà il 5 giugno, sarà sempre pronta a fare la sua parte. Che non è quella della vittima sacrificale degli isterismi politici, ma quella di un attore a pieno titolo che merita rispetto.

Swissness + franco forte = futuro incerto

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

“A malincuore dobbiamo rinunciare ad utilizzare la croce svizzera su alcuni nostri prodotti”. Affermazione che emana non da qualche azienda contraffattrice della remota Cina (con tutto il rispetto) o da qualche sospetta impresa europea pizzicata a fregiarsi degli emblemi svizzeri grazie a strane triangolazioni. No, l’amara affermazione è della storica azienda svizzera Kambly, nota da generazioni per la produzione di biscotti, fra cui anche quelli mitici dell’esercito elvetico. Società con sede nella ridente Trubschachen (canton Berna, regione dell’Emmental), che impiega un gran numero di personale locale, spesso fedele alla causa per generazioni intere. Ebbene questo simbolo elvetico rinuncia alla croce svizzera perché le regole introdotte dalla nuova legislazione “Swissness”, in vigore dal 1° gennaio 2017, sono troppo restrittive e quindi punitive.

Un vero capolavoro politico-amministrativo, malgrado gli avvertimenti giunti anche dalle Camere di commercio e dell’industria svizzere. Il caso della Kambly non è infatti isolato, ma riguarda altri produttori di derrate alimentari, obbligati a garantire sistematicamente che l’80% delle materie prime (e il latte deve essere al 100% di produzione svizzera) siano elvetiche per tutti i prodotti. Senza questo elemento, niente passaporto rossocrociato. “Il meglio è il nemico mortale del buono” recita un celebre adagio e qui ne abbiamo una dimostrazione.

Durante i dibattiti parlamentari il progetto Swissness era stato presentato come lo strumento per creare impieghi in Svizzera e che le imprese avrebbero avuto tutto l’interesse ad adeguarsi per vendere i loro prodotti più cari. Vantaggi per tutti, aziende, dipendenti e consumatori, che avrebbero avuto a disposizione prodotti di migliore qualità. La realtà è ben diversa. Probabilmente, colmo dei paradossi, Toblerone non potrà più fregiarsi del marchio svizzero, così come la Knorr. Nota bene, per prodotti fabbricati in Svizzera. Le aziende dovranno pertanto basarsi maggiormente sulla (spesso vituperata) valorizzazione del marchio commerciale, piuttosto che sul prestigioso “Made in Switzerland” e quindi sull’origine del prodotto. Certo, è una tendenza mondiale, perché nessuno sembra essere infastidito dal fatto che i prodotti di Apple siano fabbricati in Cina, con la finezza del “Designed in the USA”, ma allora bisognerebbe avere il coraggio di dire che lo “Swiss Made” non serve più a nulla invece di creare un mostro burocratico dagli effetti perversi. Liberi tutti, ognuno se la gioca con il proprio marchio sul mercato e non se ne parli più.

Paradossalmente, per rafforzare le aziende svizzere nei confronti di quelle estere, il risultato è che lo “Swiss Made” lo potranno usare in pochi, secondo criteri che sembrano più attinenti ai giochi d’azzardo che non alle dinamiche del mercato. Come giocare al Lotto svizzero, insomma. Swissness e franco forte costituiscono quindi un connubio dagli effetti poco incoraggianti. Varie imprese in Svizzera hanno disposto licenziamenti e trasferimenti e non sono solo aziende dal tanto deprecato basso valore aggiunto o di filibustieri stranieri, ma storiche alla stregua della già menzionata Kambly. Come la Cornu Holding, insediata a Morat dal 1939 e che trasferirà in Romania una parte della produzione dei suoi biscotti, a causa dei costi di produzione svizzeri. Certo, i preparatissimi teorici sottolineeranno che si tratta di normali adattamenti della realtà economica. In parte può essere vero, ma allora la politica dovrebbe facilitare e non ostacolare le imprese svizzere. I mix di ideologia, burocrazia e superficialità possono essere letali.

 

L’importanza degli accordi bilaterali per le aziende ticinesi

La Svizzera non è un paese membro dell’UE. Per accedere al mercato unico europeo il nostro paese ha quindi concluso una serie di accordi bilaterali con l’UE.

Il primo pacchetto di accordi bilaterali è stato concluso nel 1999. Questo gruppo di accordi comprende i seguenti settori:

  • Cooperazione scientifica e tecnologica;
  • Appalti pubblici;
  • Abolizione degli ostacoli tecnici al commercio;
  • Commercio dei prodotti agricoli;
  • Trasporto aereo;
  • Trasporto terrestre;
  • Libera circolazione delle persone.

Altri accordi bilaterali sono stati conclusi nel 2004. Tra i più importanti e significativi per il nostro paese figurano l’accordo che permette alla Svizzera di partecipare al sistema di Schengen, quello che associa la Svizzera alla politica europea nel settore dell’asilo (Dublino) e quello che permette agli studenti svizzeri di circolare negli istituti di formazione europei.

Il 9 febbraio 2014 il popolo svizzero ha accolto in votazione l’iniziativa popolare denominata “Contro l’immigrazione di massa”. In base a tale articolo costituzionale la Svizzera deve reintrodurre contingenti e il principio della preferenza nazionale anche nei confronti dei cittadini europei. Il Consiglio federale è pertanto incaricato di rinegoziare l’accordo sulla libera circolazione delle persone concluso con l’UE nel 1999, in quanto incompatibile con i principi accettati in votazione. Tenuto conto delle difficoltà incontrate da parte del Consiglio federale nei recenti contatti avuti con le istituzioni europee, non è escluso che la rinegoziazione dell’accordo sulla libera circolazione delle persone si riveli impossibile. Ne consegue che l’accordo bilaterale potrebbe essere in pericolo. In virtù di una clausola contenuta negli accordi del 1999, nel caso in cui uno dei trattati dovesse cadere, entro 6 mesi cadrebbero automaticamente anche gli altri 6 accordi. Si tratta di una conseguenza automatica prevista da tale clausola. Inoltre l’UE ha già preannunciato che se dovessero cadere gli accordi bilaterali del 1999, non avrebbe alcun senso continuare ad applicare con la Svizzera gli accordi di Schengen, di Dublino e quello sulla circolazione degli studenti.

In altre parole, a seguito di quanto deciso in votazione popolare lo scorso 9 febbraio 2014, gli accordi bilaterali nel loro complesso potrebbero essere in bilico.

Tenuto conto di tali premesse a noi interessa conoscere quali sarebbero le ripercussioni per le aziende ticinesi nel caso in cui lo scenario di una caduta dei bilaterali dovesse verificarsi. A tale scopo abbiamo quindi allestito una serie di domande alle quali vi preghiamo di rispondere. Clicca qui per accedere al sondaggio.

Le vostre risposte ci saranno utili per meglio comprendere l’effettiva posta in gioco nella discussione che già sta iniziando su questo tema. Le vostre risposte non verranno rese accessibili a terze persone se non in forma consolidata e anonima.

Per chi volesse approfondire il tema, la Seco ha pubblicato due rapporti sulle conseguenze economiche per l’intera Svizzera nel caso in cui dovessero cadere gli accordi bilaterali, link.

Responsabilità sociale e mobilità

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

E’ già da qualche tempo che la Cc-Ti si sta occupando del tema della responsabilità sociale delle imprese, cavalcato spesso per mettere sul banco degli accusati le aziende, capro espiatorio che affliggono la società e che vanno moralizzate attraverso l’introduzione di massicci interventi statali che devono limitarne la libertà. Libertà economica e imprenditoriale, è bene ricordarlo sempre, che è un diritto costituzionale. E’ quindi importante adoperarsi affinché questa dinamica di sospetto venga modificata perché, escludendo i disonesti che vi sono in ogni categoria umana, le aziende fanno molto nel quadro della responsabilità sociale delle imprese, per la misurazione della quale vi sono vari sistemi e indicatori. Utilizzati però troppo spesso più per dimostrare qualche teorema ideologico che misurare il reale impatto delle imprese sul territorio. A questo proposito non va dimenticato che la responsabilità sociale dovrebbero dimostrarla ogni giorno tutte le cittadine e tutti i cittadini, i politici, i giornalisti e via dicendo. Non è per nulla socialmente responsabile il comportamento di un giornale che ipotizza una losca storia di truffe dietro al suicidio di una persona nota, quando tali illazioni si rivelano subito manifestamente false e non vi è nemmeno uno straccio di scuse ai parenti.

Questo dimostra la complessità del tema della responsabilità sociale, nella quale può rientrare pure il tema della mobilità. Esso è purtroppo spesso ridotto alla sola componente del traffico visibile e confinato nell’assurda contrapposizione fra strada e ferrovia, come se fosse vitale alimentare una concorrenza fra i due vettori. Quando in realtà sappiamo benissimo che un territorio che si vuole competitivo deve vivere della complementarietà fra i mezzi di trasporto e in questo senso vanno trovate le soluzioni. Vitale è anche la ricerca di soluzioni concertate fra pubblico e privato e servono a poco le misure solo sanzionatorie, che calmano forse certi ardori soprattutto elettorali, ma che nel medio e lungo termine non risolvono molti problemi. E’ noto, l’essere umano ha bisogno che si metta qualche paletto, perché la gestione della libertà non è sempre esercizio facile e l’auto-responsabilità sembra un valore che non fa più tendenza. Eppure continuo a credere che la ricerca di soluzioni condivise sia la strada giusta, magari meno spettacolare perché non riempie i media di polemiche, ma più efficace. I paletti vanno bene, le travi, i massi e la clava non mi piacciono perché non stiamo parlando di delinquenti ma di esseri umani che, nella loro fallibilità, comunque lavorano e producono anche nell’interesse del paese.

Per approfondire questa ampia tematica abbiamo pertanto organizzato, il 15 aprile 2016, una giornata di respiro nazionale dedicata alla mobilità, con la presenza dei nostri colleghi basilesi e neocastellani (sotto l’egida dell’Associazione delle Camere di commercio e dell’industria svizzere), imprese e rappresentanti del cantone per confrontarci su possibile idee d’oltre Gottardo che magari possono ispirare anche qualche soluzione al problema del traffico ticinese. Uno sguardo a quanto avviene al di fuori dei confini del nostro cantone, rimanendo nel contesto elvetico, può aiutare a capire come altre regioni stiano affrontando in maniera strutturata il problema del traffico. Nello specifico, due regioni come Basilea e Neuchâtel che hanno problemi comparabili a quelli del Ticino, compreso quello del traffico proveniente da oltre confine. Sarebbe peccato non parlarne.

Il “MobiliTI Day” si articolerà su due momenti:

SWISSFIRMS si rinnova e facilita il suo utilizzo sui dispositivi mobili

Losanna, 29 marzo 2016 – Principale piattaforma dei dati economici delle imprese in Svizzera, il portale www.swissfirms.ch è ora anche disponibile per consultazioni mediante tablet e smartphone. Informazioni su circa 15.000 schede di attività commerciali si rendono, in questo modo, accessibili in qualsiasi momento e indipendentemente dal dispositivo utilizzato.

Nato nel 1997 dalla collaborazione tra le Camere di Commercio e dell’Industria Svizzere (CCIS) e con il supporto tecnico della società di telecomunicazioni VTX, SWISSFIRMS dispone di informazioni dettagliate e verificate su 15.000 aziende associate:
le persone di riferimento, i dati di contatto, le aree di attività e di subappalto, così come informazioni complete sui prodotti e servizi, know-how, e altro ancora.
Si tratta di uno strumento di promozione e ricerca sicuro ed efficiente.
Tutte le caratteristiche sono state mantenute nel nuovo sito, che si adatta ora a qualsiasi schermo. E possibile fare rapidamente una ricerca mirata, selezionare l’utente desiderato, contattarlo e visualizzare la posizione dell’azienda sulla mappa.

Contatti
Luca Albertoni, Membro CdA: 091 911 51 28
Olivier Fantino, Segretario SWISSFIRMS: 079 524 14 46
Scarica il comunicato stampa in PDF

Responsabilità sociale delle aziende: una condotta vincente

Il 24 marzo 2016 si è tenuto presso la sede della Rapelli SA di Stabio l’evento “Sostenibilità aziendale: un vantaggio competitivo”. Attraverso quest’incontro (scarica il flyer) la Cc-Ti ha voluto rendere attento il pubblico sull’importante tematica della Responsabilità sociale delle aziende. Agli associati presenti è stata illustrata anzitutto la strategia e l’impegno della Camera al suo interno (in termini di auto-valutazione, elaborazione di pubblicazioni, sostegno alle aziende e offerta formativa). È poi stato presentato un partner affidabile e rinomato a livello internazionale sul quale appoggiarsi, l’azienda Quantis, spin-off dei  Politecnici Federali di Zurigo e Losanna.  Infine i presenti hanno potuto lasciarsi ispirare, da un lato dall’approccio innovativo promosso da un’eccellenza elvetica in materia, l’EMPA, e dall’altro lato grazie all’esperienza pratica di un’azienda locale che si è distinta per il suo impegno in materia, la Rapelli SA.

Dopo un breve saluto dell’onorevole Sindaco di Stabio, Claudio Cavadini, e del Direttore di Divisione del DFE, Stefano Rizzi, ha preso la parola Roberto Klaus, Direttore SSIB Ticino, mettendo in risalto la centralità per la Cc-Ti di promuovere sul territorio una cultura aziendale socialmente responsabile. Ciò che in poche parole significa l’adozione di una strategia produttiva e commerciale responsabile, sia dal profilo sociale che da quello di una crescita economica sostenibile, al fine di assicurare anche alle attività delle stesse aziende maggiore stabilità e durata nel tempo.
Roberto Klaus ha poi illustrato in che modo la nostra associazione si sta adoperando per tradurre questo obiettivo in realtà. Tanto al suo interno, sottoponendosi a un’autovalutazione, che verso l’esterno fornendo ai suoi associati dei servizi specifici in materia quali; pubblicazioni, offerte formative e indicandogli un partner affidabile per quanto concerne specialmente il Life Cycle Assessment (LCA), l’azienda Quantis.

La parola è quindi passata al Direttore dell’EMPA, Gian-Luca Bona, che con carisma e semplicità ha tracciato il lungo cammino proprio alla ricerca che va dalla scoperta all’innovazione, risaltandone l’importanza strategica per uno sviluppo sostenibile. E’ stato quindi il turno di Simone Pedrazzini – Responsabile Ticino per Quantis – che ha brillantemente spiegato come un approccio rigoroso in materia di sostenibilità aziendale sia un valore aggiunto per tutti i tipi di impresa. Infine, Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti, nonché Direttore Rapelli SA, ha portato il suo esempio pratico, illustrando nella fattispecie come sia possibile rendere la propria azienda più sostenibile.

L’evento si è concluso con l’intervento di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti, che ha risaltato come sia importante per il substrato economico ticinese avere la possibilità di entrare in contatto con dei professionisti del calibro di Gian-Luca Bona e Simone Pedrazzini, che danno un respiro nazionale e internazionale alla discussione, apportando elementi di grande interesse. A titolo conclusivo, il Direttore Cc-Ti ha ricordato, come il tema della Responsabilità sociale delle aziende verrà trattato, nelle sue svariate sfaccettature, ancora durante tutto il corso dell’anno, a prova della sua centralità per la nostra struttura.

Qui di seguito potrete ascoltare le interviste ai relatori.

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Responsabilità sociale delle imprese: chiave strategica per il futuro

Intervista al Presidente Cc-Ti, Glauco Martinetti

a cura di Lisa Pantini


In veste di Presidente della Cc-Ti possiede una visione globale dell’economia ticinese. A livello di sostenibilità le PMI ticinesi dove sono situate?

“Il Ticino in generale non è mai stato il Cantone all’avanguardia sulle novità. Il Ticino è periferia, di Zurigo o di Milano, e come tutte le periferie adotta le spinte avanguardistiche in ritardo. Non ho dati oggettivi (è anche molto difficile  reperirli dalle aziende) ma credo che non brilliamo tra i primi della classe in termini di sostenibilità e/o responsabilità sociale delle imprese. Vero è per contro che il motore è avviato e che quindi anche da noi sempre di più si parla di  sostenibilità. È un tema chiave per la Cc-Ti. Sovente si pensa di più a quella ambientale, dimenticando forse un attimo quella economica e sociale. Inoltre la popolarità di questa tematica dipende molto da settore a settore: mi sembra che nel farmaceutico e nella moda vi siano best pratices all’avanguardia in questi ambiti. In generale le aziende che operano su mercati internazionali sono più sensibili alla sostenibilità, mentre per chi opera sul solo mercato svizzero la

pressione per adottare una strategia sostenibile è forse meno sentita. Non da ultimo la taglia dell’azienda è anche un fattore determinante. Possiamo però affermare con certezza che esistono numerosi casi riconosciuti di aziende grandi e medio-piccole virtuose anche in Ticino. Parliamo di gestione imprenditoriale e manageriale responsabile, con molteplici attività svolte, che poi non sono sempre misurate o rese note al grande pubblico (ad esempio audit, certificazioni esterne, rendiconti agli stakeholder, ecc.)”.

Quanto è importante, di questi tempi, che un’azienda sia sostenibile? In che modo ogni impresa può fronteggiare questa sfida?

“La sostenibilità garantisce all’azienda un futuro. Porsi una domanda sulla responsabilità sociale porta inevitabilmente a dover progettare il proprio futuro aziendale, ideare la propria strategia, osservare da vicino l’operato della propria azienda. È quindi un momento importante ed arricchente che va al di là della semplice parola «sostenibile». In questo senso è quindi fondamentale che l’impresa sia consapevole di questi meccanismi. Essere sostenibili di regola porta ad una maggiore soddisfazione dei propri clienti, dei propri investitori e dei propri dipendenti. Ricordo infatti che la sostenibilità non è solo di tipo ambientale, ma anche economica e sociale. E le misure che possono essere intraprese per una società sono davvero molteplici, in tutti i comparti della PMI. Un’azienda sostenibile gode quindi dei favori e delle attenzioni di un vasto pubblico, sia esterno che interno alla stessa, sostenendola nell’ottimizzazione e miglioramento

dell’efficacia e dell’efficienza. Oggi, proprio perché già da molti anni si parla di sostenibilità e responsabilità sociale, esistono ancora realtà che non si sono ancora avvicinate a questo tema. Esse possono avvalersi del supporto di molti specialisti nel settore, che le accompagnano in un percorso di approfondimento. Ricordo che la nostra Camera di commercio tratta il tema. Inoltre gli uffici della Cc-Ti sono sempre a disposizione per un consiglio o un’informazione in materia. L’azienda che intende quindi affrontare il tema ha molteplici porte di entrata, non deve più svolgere un ruolo pionieristico”.

Sostenibilità a 360 gradi, coinvolgendo tutti i comparti dell’azienda (produzione, supply chain, HR, ecc.). A livello strategico, quali crede siano le best practices da seguire ed in quali ambiti?

“Credo che dipenda molto dalla complessità e dalla struttura aziendale. È evidente che un’azienda monoprodotto con una struttura molto lineare avrà meno difficoltà a implementare una strategia sostenibile rispetto ad una realtà molto più complessa. In ogni caso le conoscenze necessarie per implementare una strategia sostenibile sono veramente plurime e difficilmente acquisibili solo da una persona all’interno della struttura. Vedo quindi due approcci possibili a livello strategico: l’assunzione al proprio interno di uno specialista in materia o l’acquisizione esterna delle competenze tramite consulenze mirate. Personalmente prediligo la seconda variante: permette di avere un aggiornamento molto costante sulle novità, consente un miglior controllo dei costi e di regola si sfruttano molte sinergie con altri casi analoghi trattati dal consulente, ma dipende in ogni modo molto dalla complessità dell’azienda. Il management è però essenziale nel dare la giusta spinta e la motivazione all’interno dell’azienda: infatti il punto negativo di un approccio ricorrendo all’outsourcing tramite consulenze esterne, può proprio essere quello della difficoltà interna rispetto alla motivazione ed alla condivisione degli obiettivi da raggiungere. In questo caso il tema della sostenibilità va continuamente trattato e discusso in tutte le occasioni possibili (assemblee, riunioni del personale, ecc.) proprio

per sensibilizzare continuamente i collaboratori e mostrare l’importanza che il management dà a questa tematica. I risultati raggiunti vanno poi condivisi all’interno dell’azienda e giustamente festeggiati”.

Il caso Rapelli: l’industria alimentare che dirige ha incrementato in maniera importante la propria efficienza energetica. Ce ne può parlare brevemente, spiegandoci quali saranno i passi futuri che intraprenderete?

“La nostra azienda è il tipico esempio di società che opera esclusivamente in Svizzera e che si è avvicinata nell’ultimo decennio soprattutto alla sostenibilità ambientale. Rapelli è un grosso consumatore di energia per via della tipologia di beni che produce. In generale il prodotto che trattiamo deve subire una trasformazione, sovente a caldo, per poi essere raffreddato è mantenuto a temperature basse. Tutte queste trasformazioni richiedendo quindi dei grandi investimenti energetici. Da una prima analisi fatta con l’Agenzia Svizzera per l’Energia era scaturita una radiografia abbastanza impietosa: Rapelli riscaldava con olio da riscaldamento, aveva un’isolazione insufficiente, non recuperava il calore prodotto e quindi tutto questo portava ad un consumo e ad emissioni di CO2 esagerate. Con degli investimenti mirati dilazionati su vari anni, siamo però riusciti a ribaltare questa situazione, al punto che alla fine del 2015

siamo stati insigniti del premio «Il sole sul tetto» erogato dal WWF Sezione Svizzera Italiana. Oggi emettiamo circa la metà del CO2 del 2010. I risparmi dati dai costi di energia e il risparmio dall’esenzione della tassa sul CO2 vengono reinvestiti in azienda, generando nuovamente altre diminuzioni di consumo. Quest’anno ad esempio inseriremo una pompa calore nel nostro circuito energetico, ciò che ci permetterà di diminuire ancora sensibilmente il fabbisogno energetico”.

Innovazione? Sì, ma …

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

L’articolo dedicato il 13.03.2016 dal Giornale del Popolo alla legge per l’innovazione ha messo in evidenza alcuni aspetti positivi e altri critici della revisione di una legge che si vuole giustamente non più premiante ma incentivante. Scopo lodevole e condivisibile, così come è positivo il fatto che il tema dell’innovazione sia inserito in un discorso più ampio di sistema e che gli aiuti possano essere conferiti anche al settore terziario.

Con grande equilibrio il collega Stefano Modenini, direttore dell’Associazione industrie ticinesi, ha giustamente rilevato questi e altri elementi positivi, anche di carattere tecnico. Egli ha però giustamente sottolineato diversi punti critici che evidenziano ancora una volta come ormai sempre più spesso vi sia la tendenza a legiferare senza conoscere la realtà economica che si vuole regolamentare (o, secondo le tendenze odierne, moralizzare). Intendiamoci: laddove lo Stato elargisce contributi è assolutamente sacrosanto che vi sia un controllo anche rigoroso di come vengono spesi i soldi dei contribuenti. Su questo non ci piove e nemmeno l’ambito dell’innovazione può fare eccezione. Come sempre però è questione di misura e purtroppo è molto facile passare dalle legittime preoccupazioni per il denaro pubblico a regole eccessivamente restrittive e avulse dal contesto. In particolare, prevedere regole assai rigide sulla proporzione di manodopera indigena impiegata per poter avere accesso a sostegni per l’innovazione dimostra una scarsa conoscenza del nostro tessuto economico. Certo, appena si utilizza il termine “frontaliere” si scatenano subito i vari allarmi degni di un riflesso pavloviano che portano a considerare automaticamente fuori legge qualsiasi azienda che non lavori con personale al 100% svizzero o residente. Auspicio assolutamente impossibile per la nostra economia e il settore industriale in particolare. E qui non si parla di ladri o delinquenti vari che, secondo il volgo ormai diffuso ad ampio raggio, sfruttano e devastano il territorio. Il discorso vale per fior di aziende che rispettano tutte le regole esistenti, che pagano le imposte, versano salari corretti e, per usare un altro termine assai alla moda, sono “ad alto valore aggiunto”. Non è quindi un caso che, già durante la procedura di consultazione, mi ero permesso di attirare l’attenzione sul fatto che, volendo mantenere una legge per l’innovazione, il criterio dell’innovazione avrebbe dovuto rimanere al centro della valutazione perché preponderante nell’ottica del sostegno a chi soddisfa requisiti tecnici per far crescere il territorio. Togliere importanza a tale elemento per subordinarlo ad altri di natura prettamente politica non ha senso e, come ha rilevato il collega Stefano Modenini, si rischia di avere una legge che potrebbe servire a pochi o addirittura a nessuno. Questo solo perché non si vuole fare lo sforzo di capire quale sia la vera realtà economica ticinese e ci si trincera dietro frasi fatte e slogan elettorali di massima resa elettorale ma di minima efficacia economica. Peccato, si tratta di un’occasione persa per valorizzare uno strumento di per sé molto utile e pensato bene. La speranza è che magari a livello di prassi si possano un po’ ammorbidire talune valutazioni, non certo per premiare chi non lo merita ma per dare sostegno a chi può far evolvere il nostro cantone. Ho sempre sostenuto in prima persona e in prima fila la lotta agli abusi e sono assolutamente disponibile a combattere ogni forma di spreco di denaro pubblico che potrebbe andare ad aziende non rispettose delle regole esistenti. Non mi piacciono però le generalizzazioni che danneggiano indistintamente tutte le imprese, colpevolizzate per il solo fatto di non avere un effettivo sufficientemente svizzero o residente. E’ un criterio che può e deve essere valutato, ma che non può essere la sola e unica discriminante, altrimenti non è più una legge per l’innovazione.