Cina 2049: il futuro è già strategia

Tra ambizioni globali e fragilità interne, la Cina si conferma protagonista di una competizione che ridefinisce gli equilibri economici, tecnologici e geopolitici. Il tema è stato al centro della conferenza “CEO Experience – La Cina nel contesto politico attuale” del 24 settembre 2025, dove il giornalista e docente Marcello Foa ha dialogato con Sergio Giraldo, consulente indipendente in ambito energetico ed editorialista de La Verità. Al dibattito si è aggiunto, con un intervento mirato, anche Andrea Gaiani, direttore della rivista Analisi Difesa.
Dalle analisi è emersa l’immagine di una potenza in rapida ascesa, capace di consolidare la propria influenza attraverso il controllo delle risorse critiche, una strategia di lungo periodo, un riarmo accelerato e una crescente capacità tecnologica. Eppure, dietro questa proiezione di forza, affiorano fragilità demografiche, finanziarie e sociali che potrebbero condizionare il futuro del gigante asiatico.

Il controllo delle filiere strategiche

«La Cina non è più la fabbrica del mondo: è diventata il gatekeeper delle materie prime critiche». Questa frase sintetizza la sfida geopolitica ed economica che l’Occidente dovrà affrontare nei prossimi decenni. Mentre per decenni l’Occidente ha privilegiato l’efficienza delle supply chain globali, la Cina ha costruito dipendenze asimmetriche e accessi privilegiati ai settori strategici, combinando iniziative internazionali e controllo interno delle risorse.

A livello internazionale, questo approccio – definito come “diplomazia gentile” – prende forma attraverso la Belt and Road Initiative, con la realizzazione di infrastrutture in oltre 130 porti e altre opere strategiche in cambio di concessioni minerarie e accordi commerciali a lungo termine. Parallelamente, Pechino esercita un controllo diretto su materie prime critiche prodotte internamente o nei suoi territori di influenza. Il caso del gallio è emblematico: essenziale per dispositivi elettronici e armamenti, la Cina ne controlla parte della catena del valore e nell’estate 2023 ha introdotto restrizioni all’esportazione, mettendo in crisi l’Occidente. Analoga strategia riguarda i magneti di terre rare, fondamentali nella costruzione di automobili e sistemi di armamento, le cui esportazioni sono dimezzate da aprile 2023. Anche nell’acciaio, il Dragone domina: produce il 54% della produzione mondiale, influenzando prezzi e forniture globali con logiche strategiche più che di mercato.

Questa combinazione di leva esterna (BRI) e controllo interna ha trasformato Pechino in un attore in grado di competere sul prezzo e di influenzare l’industria e la difesa occidentali con decisioni unilaterali: se la Cina chiude i rubinetti, l’Occidente si trova in grave difficoltà, senza la possibilità di rimediare a quella che, di fatto, è una lacuna industriale strategica.

L’orizzonte 2049

La differenza filosofica più marcata tra Occidente e Cina risiede nella concezione del tempo. Mentre le democrazie occidentali sono dominate dalla “dittatura della trimestrale”, con cicli politici ed economici sempre più brevi, la Cina ragiona su orizzonti decennali. La continuità politica garantita dal potere centralizzato di Xi Jinping consente una pianificazione coerente, scandita da tappe intermedie. L’obiettivo strategico è chiaro: diventare una superpotenza entro il 2049, centenario della Repubblica Popolare, e raggiungere un primo traguardo nel 2035, con un potenziamento militare e industriale.

La strategia cinese non mira a uno scontro diretto con gli Stati Uniti, ma a consolidare la propria posizione globale attraverso un multilateralismo selettivo, aggregando Paesi attorno ai propri interessi.

L’alleanza BRICS ne è un esempio: dietro la facciata di cordialità tra Xi, Putin e Modi si nascondono tensioni e squilibri. La Russia dipende fortemente dalla Cina, con le esportazioni verso Pechino che costituiscono circa il 35% del totale, mentre le vendite cinesi verso la Russia ammontano appena al 3%. Questa asimmetria si è accentuata dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Il rapporto con l’India resta invece delicato, segnato da tensioni lungo il confine del Kashmir e da controversie sui progetti idroelettrici cinesi.

Il riarmo e il nodo di Taiwan

La Cina ha accelerato il riarmo, con una spesa di 240 miliardi di dollari contro i 900 degli USA. Tuttavia, in termini di parità di potere d’acquisto, Pechino ottiene molto di più: navi, missili e munizioni a costi inferiori.

Il settore navale è il vero motore della crescita: con una capacità cantieristica 230 volte superiore a quella americana, la Cina si afferma come potenza marittima. Tuttavia, manca esperienza operativa diretta: l’ultima guerra risale al 1977 contro il Vietnam del Nord. È il punto debole di un esercito avanzato tecnologicamente – dotato di missili ipersonici e sistemi guidati da intelligenza artificiale – ma privo di collaudo sul campo.

Il nodo centrale resta Taiwan. Per Pechino, il “Silicon Shield” è una questione di dignità nazionale e di controllo strategico sulle filiere tecnologiche globali. L’annessione garantirebbe vantaggi economici e militari, rompendo la “collana di perle” americana nel Pacifico. Un’invasione anfibia è improbabile; più realistico un blocco navale per isolare economicamente l’isola.

Tre fragilità strutturali

Dietro i successi internazionali, si celano tuttavia fragilità strutturali:

  • Demografia: entro il 2050, la Cina avrà circa 500 milioni di persone sopra i 60 anni contro 580 milioni in età lavorativa. Un rapporto insostenibile che farà salire la spesa pensionistica dall’attuale 5,5% al 14% del PIL. A complicare il quadro, il sistema Hukou – che lega la residenza al luogo di nascita – continua a frenare la mobilità interna, accentuando gli squilibri tra campagne e città, mentre la leadership teme la crescita di una classe media autonoma e tende a contenerne lo sviluppo.
  • Finanza: dopo la bolla immobiliare nel 2021, causata da investimenti massicci in costruzioni mai vendute a causa delle limitazioni di movimento imposte dall’Hukou, il sistema bancario cinese è sotto pressione. L’indebitamento privato ha raggiunto il 290% del PIL. Le 4’000 banche piccole e medie, supervisionate dalle province, rappresentano un rischio sistemico che Pechino dovrà affrontare nei prossimi anni.
  • Modello economico: come già sperimentato dalla Germania, un’economia basata prevalentemente sulle esportazioni è vulnerabile ai cambiamenti globali. Gli stimoli alla domanda interna sono limitati per evitare la crescita di una classe media autonoma e politicamente attiva.

Tecnologia e industria: tra leadership globale e l’ombra dell’implosione

Il sistema cinese guarda al 2049, ma le fragilità demografiche, finanziarie e sociali rappresentano rischi concreti che potrebbero rallentare o compromettere il raggiungimento degli obiettivi strategici. Un’eventuale crisi interna avrebbe ripercussioni significative sull’equilibrio mondiale.

Nonostante questi limiti, la corsa verso il 2049 è tutt’altro che chiusa. La Cina ha dimostrato notevoli capacità di pianificazione ed esecuzione, conquistando la leadership in sette dei dieci settori tecnologici chiave previsti dal piano Made in China 2025, affermandosi ben oltre il ruolo di semplice fabbrica del mondo o imitatrice.

Questi progressi sono stati ottenuti anche da un uso strategico delle partnership con l’Occidente. Nel settore automobilistico, ad esempio, le joint venture con marchi tedeschi a partire dagli anni ’80 hanno consentito lo sviluppo di competenze interne capaci oggi di competere con Volkswagen, Porsche e Audi, offrendo prodotti comparabili a costi significativamente inferiori.

Occidente e Cina: identità strategiche a confronto

Di fronte all’ascesa cinese, l’Occidente appare diviso e privo di una visione strategica coerente. Gli Stati Uniti reagiscono con dazi e restrizioni tecnologiche, mentre l’Europa mostra un deficit di autonomia economica, spesso subordinata agli interessi tedeschi e lenta a reagire. Anche il Green Deal, pur ambizioso, manca di analisi economiche concrete e di una strategia industriale realmente coerente.

Il problema di fondo dell’Occidente è la perdita della capacità di progettare il futuro, schiacciato dai cicli politici sempre più brevi e dalla pressione delle trimestrali. Come ricordato durante l’incontro, un vecchio banchiere una volta osservò: «Nel secondo dopoguerra non avevamo nulla, tranne la speranza. Oggi abbiamo tutto, tranne la speranza». Per non restare spettatore, l’Occidente deve riscoprire la propria visione economica, investendo in autonomia strategica, innovazione e resilienza industriale.