Discorso del Presidente Cc-Ti Andrea Gehri

Pronunciato in occasione della 108esima Assemblea Generale Ordinaria della Cc-Ti del 17 ottobre 2025

“Riformare per servire meglio: un appello al Consiglio di Stato”

Stimato ospite d’onore, On. Consigliere Federale Albert Rösti,
Consiglieri agli Stati,
Consiglieri nazionali,
Consiglieri di Stato del Canton Ticino,
Gran Consiglieri,
Municipali,
Cari soci, gentili signore, egregi signori,

Benvenuti alla nostra Assemblea generale ordinaria, ormai evento non solo economico di riferimento in Ticino, ma anche tribuna privilegiata per dibattere, approfondire, proporre e riflettere. Dopo le turbolenze vissute, in particolare a seguito delle recenti votazioni cantonali e nell’imminenza di altre importanti sfide come la sconsiderata e pericolosissima iniziativa dei Giovani socialisti che vuole mettere in ginocchio le aziende e il sistema economico di successo tutto, ritengo importante sottolineare il nostro ruolo di forza propositiva e sempre aperta al dialogo.

È con senso di responsabilità e profonda consapevolezza che ci ritroviamo oggi, in un momento storico segnato da forti turbolenze a livello internazionale che inevitabilmente si declinano anche a livello nazionale e cantonale.

Le tensioni geopolitiche, le instabilità economiche globali e le trasformazioni accelerate nei mercati mondiali pongono sfide inedite e complesse al nostro tessuto imprenditoriale ed istituzionale.

In questo contesto incerto, il ruolo della Camera di Commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino si fa ancora più centrale: come punto di riferimento, come promotore di dialogo e come catalizzatore di soluzioni concrete. La nostra missione è quella di sostenere le imprese nel navigare questo scenario mutevole, instabile, valorizzando le competenze locali, rafforzando le reti di collaborazione e favorendo una visione strategica capace di guardare oltre le difficoltà del presente.

Oggi, più che mai, è necessario un impegno e visioni condivise per preservare la competitività del nostro territorio, tutelare il lavoro, rispettare gli imprenditori e promuovere un’economia resiliente, sostenibile e aperta al mondo.

Oggi non ci riuniamo solo per denunciare, per recriminare, ma soprattutto per proporre e per lanciare messaggi concreti, come del resto nel nostro DNA di imprenditori. Non vogliamo alimentare la sfiducia, ma restituirla — quella fiducia che nasce solo quando lo Stato dimostra di saper cambiare, di saper fare autocritica, di sapersi riformare e soprattutto di saper ascoltare e interpretare le esigenze della propria piazza.

Viviamo in un momento in cui le finanze pubbliche sono sotto pressione, non solo in Ticino, in cui la burocrazia cresce vertiginosamente e, ahimé, più velocemente dell’economia reale, dove l’eccessiva ed invadente iper-regolamentazione soffoca sul nascere le iniziative e le buone idee, ma dove anche molti imprenditori percepiscono l’amministrazione pubblica come un ostacolo, quasi un nemico e non come un alleato, al quale rivolgersi per risolvere, per ottenere sostegno e per favorire lo sviluppo delle iniziative.

E pensare che in qualsiasi azienda privata i clienti – e noi tutti lo siamo per l’amministrazione pubblica – rappresentano il valore più importante e più prezioso sui quali un imprenditore può contare, oltre naturalmente ai propri collaboratori.

Ma perché questa sensibilità e attitudine non viene fatta propria anche dall’amministrazione pubblica?

L’evoluzione del personale pubblico in Ticino ha visto un aumento significativo negli ultimi anni, oltre 800 unità solo negli ultimi 4 anni, e questa tendenza non è più giustificabile per rapporto ai servizi richiesti dal paese. Se poi paragonato con la media nazionale, il numero dei dipendenti pubblici in Ticino risulta addirittura sovradimensionato di un terzo. Oltre 9200 dipendenti per 355’000 cittadini, significa uno ogni 38.5 abitanti, senza contare i dipendenti della confederazione e quelli comunali. Sembrerebbe che siamo una popolazione sotto tutela.

Ma quindi, la logica farebbe pensare che più personale pubblico, significhi una maggiore attenzione ed efficienza, oltre che una migliore prossimità e puntualità del servizio verso l’utente.

Purtroppo, così non è! Allora però lo Stato dovrebbe quantomeno analizzare e chiedersi il motivo per il quale la percezione non è quella auspicata e cercare di porvi rimedio. La fiducia del cittadino verso le istituzioni non è una banalità, ma rappresenta un criterio che necessita di venir misurato costantemente.

In qualsiasi azienda, affinché possa esistere sul mercato, i dipendenti non possono eccedere all’infinito, ma devono rispondere alla logica di sopportabilità finanziaria in funzione dei servizi o prodotti erogati e, naturalmente, risultare concorrenziale.

Lo Stato non deve rispondere a logiche di mercato, ma neppure può ignorare di crescere più di quanto possa permettersi.

E il Canton Ticino?

Il Ticino ha tutte le risorse per invertire questa tendenza — ammesso che abbia il coraggio delle riforme, di quelle vere però, e saprà chinarsi seriamente sui problemi, come pure se saprà prendere decisioni forti, concertate con una visione a medio-lungo termine.

Negli ultimi anni, come accennato, lo Stato si è ampliato in modo costante e smisurato, senza purtroppo chiedersi se, se lo potesse veramente permettere. Ogni nuova esigenza sociale, ogni emergenza, ogni nuova competenza ha generato strutture, uffici, procedure, talvolta senza che si rivedessero quelle esistenti e/o fossero superflue. Tutto questo viene purtroppo percepito come ostacolo alla crescita e all’iniziativa.

Insomma, una sorta di freno a mano sempre tirato!

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’amministrazione che costa sempre di più, che tende ad autoalimentarsi e che fatica tremendamente a rinnovarsi. Ma soprattutto un’amministrazione che il paese, piaccia o no, non può più permettersi, che non riesce più a finanziare e che si distanzia sempre più dal cuore dei suoi clienti.

Questa è la verità delle cose!

Non si tratta di mettere in discussione il valore del servizio pubblico, né tantomeno il lavoro di chi ogni giorno lo garantisce con dedizione, impegno e naturalmente con la giusta mentalità. E ne abbiamo la prova, sono in tanti.

Si tratta invece di chiedere una cosa semplice: che lo Stato si concentri su ciò che è davvero essenziale e si astenga di regolamentare l’irregolamentabile, evitando di invadere il campo delle iniziative private.

Che smetta di fare tutto, e torni a fare bene ciò che deve fare veramente.

Anche le cittadine e i cittadini e naturalmente l’economia devono però fare la loro parte, nessuno escluso.

Non ci tiriamo indietro, siamo consapevoli che anche l’economia in questo senso ha un ruolo determinante per il benessere del paese, ed è pronta anche a rinunce, a patto che portino a obiettivi chiari e misurabili, e che possa contribuire con le proprie competenze e idee.

Ma non si può pretendere dall’economia che faccia rinunce incondizionate.

Ci vogliono garanzie precise, invocare la fumosa simmetria dei sacrifici non è sufficiente, perché poi spesso tale simmetria si rivela asimmetrica e mira a cospargere ulteriormente gli ingranaggi di sabbia per frenarli.

Oggi, come Camera di Commercio, vogliamo essere propositivi e concreti elencando le riforme immediate che il Consiglio di Stato può promuovere, senza esitare.

Elencherò 7 misure attuabili con l’invito al Consiglio di Stato a volerle fare proprie.

1. Un blocco alle assunzioni e avvicendamenti responsabili

Il primo passo è senza dubbio contenere la crescita del personale dello Stato e di quello parastatale. Questione non solo cantonale, ma che riguarda anche la Confederazione.

È ovvio che anche l’economia qui deve fare la sua parte, rinunciando a invocare regole laddove non necessarie e dare quindi il buon esempio.

Propongo pertanto un blocco immediato delle nuove assunzioni, con una regola chiara: nei prossimi cinque anni si sostituirà al massimo il 50% di chi va in pensione.
Non si tratta di tagliare i servizi o, peggio ancora, di toglierli a chi ne ha veramente bisogno, ma di spingere l’amministrazione a riorganizzarsi, a ridurre i doppioni, a ottimizzare le risorse, a digitalizzare dove possibile e riformare finalmente i servizi ritenuti essenziali.

Nulla di impossibile perché nelle nostre aziende questi processi, queste analisi di sostenibilità finanziaria e adattamento al mutevole mercato vengono promosse costantemente per mantenere la competitività sul terreno.
Non fosse così rischieremmo il fallimento o la chiusura.

Ogni pensionamento può diventare quindi un’occasione per ripensare i processi e la distribuzione dei compiti, attingendo alle risorse già presenti, senza necessariamente rivolgersi all’esterno, se non nei casi di assoluta necessità.

2. Una riforma del settore sanitario di competenza cantonale

La spesa sanitaria cantonale cresce troppo rapidamente e non solo perché il cittadino è divenuto più fragile e vulnerabile. La realtà, sotto gli occhi di tutti, evidenzia un disequilibrio evidente tra offerta di prestazioni e consumo.

Eppure, nonostante ciò, non sempre cresce la qualità o l’efficienza del sistema.

Serve una riforma coraggiosa: semplificare la governance degli ospedali, rafforzare la medicina di base, razionalizzare i mandati di prestazione e favorire la collaborazione tra strutture pubbliche e private.

Il Consiglio di Stato dovrebbe pure esercitare un maggior controllo dell’offerta sanitaria attraverso la sospensione di nuove autorizzazioni, istituire una moratoria per infermieri indipendentie organizzazioni private di cure a domicilio e applicare la clausola del bisogno per attrezzature medico-tecniche.

Il Cantone deve sfruttare al massimo i margini concessi dalla legislazione federale, ben cosciente che il problema è costituito anche e soprattutto dall’ormai superata LAMAL e quindi deve farsi promotore verso Berna di una profonda riflessione della legge federale che mostra ormai la sua inadeguatezza.

L’obiettivo non deve essere solo “spendere meno”, ma spendere meglio, garantendo la sostenibilità di lungo periodo.

3. Una revisione a 360 gradi del sistema di sussidi

Il sistema dei sussidi cantonali è diventato una foresta intricata di regole, eccezioni e programmi.
Non solo, il sistema dei sussidi sociali in Ticino è attualmente sotto forte pressione, con una spesa che ha superato il miliardo di franchi annui, rendendo il Cantone uno dei più costosi in Svizzera in rapporto alla popolazione. Questo ha portato inevitabilmente ad un acceso dibattito politico e alla richiesta ad alta voce di una riforma strutturale del sistema sociale.

Finora, ogni buona intenzione si è tradotta in una nuova misura, spesso sovrapposta ad un’altra, senza misurarne l’efficacia e il reale impatto.

È il momento quindi di una revisione completa dei sussidi sociali in Ticino per garantire sostenibilità, equità e incentivi al lavoro partendo da:

  • l’eliminazione delle sovrapposizioni e i doppioni
  • l’introduzione di criteri di verifica chiari e verificabili
  • la misurazione dei risultati, non solo delle intenzioni.
  • la verifica e il confronto con altri cantoni
  • potenziando i controlli contro frodi e abusi e limitando l’accesso improprio ai sussidi.

I sussidi devono rappresentare un aiuto temporaneo, premiare il reinserimento nel mondo del lavoro, sostenere le fasce fragili, ma non devono costituire una struttura permanente.

4. Eliminare le leggi inutili

Troppo spesso le leggi cantonali vengono moltiplicate per rispondere ad ogni minima questione, creando vincoli che complicano la vita a cittadini e imprese.

Generano costi amministrativi per le parti coinvolte, allungano i tempi di attesa per ottenere permessi ed approvazioni, ritardando spesso e volentieri progetti importanti con la conseguenza di limitare pure la crescita economica del paese.

Propongo pertanto un principio semplice, ma efficace: 

  • ogni nuova legge deve comportare l’abrogazione di almeno una legge esistente.

Questo è possibile se si introducesse un sistema di verifica dell’efficacia delle leggi, strumento conosciuto e applicato già a livello federale che ha lo scopo di:

  • Migliorare la qualità legislativa, correggendo le leggi inefficaci o obsolete attraverso dati concreti e risultati misurabili
  • Di rafforzare il ruolo di sorveglianza del Parlamento e aumentare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni
  • Di ottimizzare le risorse pubbliche identificando sprechi e inefficienze, promuovendo l’uso razionale dei fondi pubblici
  • Di consentire di adattare le leggi ai cambiamenti sociali, economici e tecnologici e quindi favorire un approccio dinamico della governance di paese
    E non meno importante:
  • i decisori pubblici sono chiamati a rispondere dei risultati delle leggi che approvano

Questi correttivi e semplici misure obbligherebbero il legislatore e il Consiglio di Stato a riflettere sulle priorità, evitando l’inflazione e la giungla normativa che oggi soffoca l’iniziativa privata.

5. Deregolamentare e aprirsi a cittadine e cittadini

Molti cittadini e imprenditori percepiscono un’amministrazione ostile, più attenta a regolamentare e sanzionare che ad aiutare.

Per trasformare un’amministrazione percepita come ostile e burocratica in un’istituzione collaborativa e orientata al cittadino, è necessario un cambiamento profondo di mentalità che coinvolga norme, processi, cultura organizzativa, attitudine e strumenti tecnologici.

Ecco alcune strategie concrete che il Canton Ticino (o qualsiasi ente pubblico) potrebbe adottare:

  • Ridurre la complessità delle norme e degli adempimenti burocratici.
  • Introdurre il principio del “once only”, ossia i cittadini non devono fornire più volte le stesse informazioni.
  • Eliminare procedure ridondanti e documentazione non essenziale.
  • Offrire servizi online semplici e accessibili, disponibili 24/7.
  • Introdurre sportelli digitali unificati per cittadini ed imprese.
  • Automatizzare i processi ripetitivi per ridurre tempi e costi
  • Ridurre i tempi di risposta delle pratiche
  • Formare il personale pubblico ad un approccio orientato al servizio, non solo al controllo o al sanzionamento.
  • Introdurre meccanismi di feedback sistematici da parte di cittadini e imprese.
  • Promuovere una comunicazione chiara, empatica e trasparente.

Un’amministrazione efficiente non è quella che produce più regolamenti, ma quella che serve meglio i cittadini attraverso un approccio trasparente, cordiale ed empatico, che automaticamente genera una maggiore fiducia nelle istituzioni da parte dell’utente.

6. Favorire la mobilità interna all’amministrazione

Il blocco delle assunzioni deve essere accompagnato da una maggiore mobilità interna.
Troppe competenze rimangono confinate in uffici chiusi su sé stessi.

Favorire la mobilità interna nella pubblica amministrazione è una leva strategica per migliorare l’efficienza, la motivazione del personale e la qualità dei servizi.  
Di seguito qualche criterio e modalità di come implementarla:

  • Definendo regole uniformi per i trasferimenti interni, con criteri oggettivi e accessibili.
  • Prevedendo bandi interni regolari per la copertura di posizioni vacanti.
  • Consentendo ai dipendenti di candidarsi facilmente a nuove posizioni.
  • Offrendo percorsi di riqualifica e aggiornamento per favorire il passaggio tra ruoli o settori.
  • Premiando la disponibilità alla mobilità con benefit, formazione o avanzamenti di carriera.
  • Promuovendo una cultura della flessibilità e della collaborazione intersettoriale.
  • Sensibilizzando i dirigenti sull’importanza della mobilità come strumento di sviluppo.

Bisogna assolutamente rendere normale — e incentivato — lo spostamento del personale tra settori e dipartimenti, dove le competenze possono essere più utili.

Solo così si sviluppa una cultura dell’amministrazione come squadra unita al servizio del cittadino, e non come somma di piccoli feudi.

7. Rivedere i compiti dello Stato

Infine, la riforma più importante, forse la più complessa, ma anche la più urgente: 

chiedersi cosa deve ancora fare lo Stato, e cosa può lasciare alla società civile o all’iniziativa privata.

Molti compiti oggi assunti dal Cantone potrebbero essere gestiti meglio da enti locali, fondazioni, o partnership pubblico-private.
Non è una ritirata, è un atto di fiducia verso la società.
Uno Stato più leggero può essere più giusto, se sa concentrarsi sui compiti essenziali, sui compiti strategici di cui è incaricato, che sono principalmente:

l’istruzione e la formazione, la sanità pubblica, la sicurezza e ordine pubblico, i servizi sociali e l’assistenza, le infrastrutture e i trasporti, l’ambiente e il territorio l’amministrazione e la giustizia.

Tutti compiti questi elencati che sono indispensabili per la coesione sociale del nostro paese.

In conclusione:
Riformare non significa demolire. Significa ricostruire su basi più solide.
Il Consiglio di Stato ha oggi la possibilità di dimostrare che la buona amministrazione non è una promessa, ma una scelta politica.
Una scelta fatta di coraggio, di coerenza e di responsabilità verso chi lavora, verso chi produce, verso chi crede ancora nel valore della cosa pubblica.

Il Ticino non ha bisogno di più Stato. No!
Ha bisogno di uno Stato migliore, più snello, più giusto, più vicino ai cittadini.
E questo, il Consiglio di Stato può cominciare a farlo da subito, senza esitare.

Non servono nuove leggi, ma nuova volontà.
Non servono più risorse, ma più coraggio organizzativo.

È tempo di riformare per servire meglio.
E questo tempo è adesso, non domani!

Noi, rappresentanti dell’economia, faremo la nostra parte, ma non lasceremo che vengano messe in discussione le condizioni essenziali per favorire la crescita economica del nostro tessuto attraverso misure che penalizzino l’imprenditorialità e lo sviluppo delle nostre imprese.

Tradotto in parole chiare significa che non permetteremo l’aumento incondizionato di imposte e tasse, senza che prima venga promossa una sacrosanta verifica dei compiti e proposte misure di risparmio serie ed efficaci.

Come accennato in entrata del mio discorso odierno all’assemblea il contesto globale, nazionale e cantonale è condizionato certamente da sfide non indifferenti che, a cascata sono di natura sociale, economica, politica, ambientale e, di questi tempi, purtroppo anche di natura bellica.

Abbiamo comunque la fortuna di vivere in un paese che, nonostante tutto e tutti, molti ci invidiano e la risposta alle difficoltà sono ancora ragionevolmente puntuali ed efficaci.

Ma non possiamo crogiolarci dietro a questa affermazione e pensare che qualcuno provvederà anche in futuro a garantirci il benessere costruito, ma che lentamente ed inesorabilmente si sta sgretolando.

In Ticino lo stato di salute del nostro Cantone è, per dirla in termini di medicina, vicina al collasso e, per curare il paziente bisogna finalmente prendere decisioni, non più procrastinabili, ma urgenti.

Politica, economia e parti sociali sono chiamate a dare risposte e soluzioni, certamente di non facile interpretazione, ma la tanto decantata simmetria dei sacrifici deve dapprima sopprimere gli sprechi, gli esuberi e l’inefficienza di sistema.

Concludo quindi non prima di ringraziare tutte le collaboratrici e collaboratori che lavorano quotidianamente in Camera di Commercio che giorno dopo giorno con dedizione ed impegno si preoccupano di sostenere le nostre aziende.

Un ringraziamento particolare lo dedico con riconoscenza a Luca Albertoni, il nostro direttore che unitamente allo staff di direzione della Camera di Commercio svolgono un lavoro di grande intensità e contenuti, anche se non sempre visibile.

Ringrazio pure l’ufficio presidenziale e la Vicepresidente Cristina Maderni, che mi accompagnano costantemente nell’affrontare temi, situazioni e la quotidianità.
Grazie di cuore a tutti voi!

Termino quindi la mia esposizione con un aforisma di Indro Montanelli che cita:

“Lo Stato dà un posto. L’impresa privata dà un lavoro.

A voi tutti presenti oggi vi ringrazio per l’attenzione e per la fiducia riposta nella nostra organizzazione mantello dell’economia ticinese.


Lugano, 17 ottobre 2025