Non facciamoci trovare impreparati

Certo, ci vorrà ancora del tempo, ma prima o poi si arriverà alla Tassa minima globale per le multinazionali concordata recentemente dai ministri delle Finanze del G7, i sette Paesi più industrializzati del mondo. E la Svizzera non deve assolutamente farsi trovare impreparata. Spiazzata, com’è successo con lo scambio automatico d’informazioni e il segreto bancario.

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Le novità bisogna anticiparle per quanto possibile e non subirle, se si vuole mantenere l’attrattività del nostro Paese per le imprese transnazionali. Sostanzialmente la nuova tassa, che dovrebbe essere applicata ai grandi gruppi con una soglia di fatturato, specificata a livello internazionale, oltre i 750 milioni di euro, si basa su due pilastri.

In primo luogo, imporre alle multinazionali il pagamento di un’aliquota globale minima del 15%, da applicare in ogni Paese al fine di frenare la concorrenza fiscale. In secondo luogo, per dare un giro d i vite all’elusione fiscale, le imprese pagheranno le tasse dove fanno i loro affari e non dove hanno invece la loro sede legale, tramite un’imposizione sul 20% degli utili oltre la soglia del 10% di profitto. I proventi di questa tassazione saranno poi distribuiti nei diversi Paesi attraverso una procedura ancora da definire.

Grazie all’ultima riforma fiscale, il Ticino tra qualche anno sarà del tutto in linea con l’aliquota del 15%, il che dimostra quanto sia stata ben calibrata e oculata la revisione decisa nel 2020 e la cui entrata in vigore completa non può essere assolutamente procrastinata. Ma una volta bloccata su una soglia minima l’aliquota sugli utili, per salvaguardare una condizione ancora vantaggiosa per le grandi aziende e gli investimenti stranieri, bisogna necessariamente intervenire su tre fattori altrettanto importanti:

  • la determinazione della base dell’imponibile, se essa non sarà vincolata con qualche dispositivo della nuova tassazione;
  • l’alleggerimento dell’onere fiscale sulle persone fisiche (da noi certamente poco allettante rispetto ad altri Cantoni), che potrebbe essere un ottimo incentivo per i dirigenti e i manager delle multinazionali;
  • il miglioramento delle condizioni quadro, profilando di più il Cantone quale location ideale, sicura e conveniente per l’insediamento di società estere.


Insomma, la politica e le parti sociali devono essere consapevoli che ci si deve muovere subito per non perdere terreno, lasciandosi alle spalle una volta per tutte quell’atteggiamento di ostilità preconcetta verso le imprese.

La Svizzera e il Ticino

Tra qualche giorno la Tassa minima globale dovrebbe essere ratificata dal G20 che si riunirà a Venezia (dal 7 all’11 luglio 2021), successivamente ne discuterà l’OCSE. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico, di cui fa anche parte la Svizzera, stava già lavorando ad un progetto di tassa minima globale, come quella delineata dal G7, con un apposito piano per combattere i trasferimenti degli utili delle multinazionali. Piano a cui ha aderito da tempo il nostro Paese. La Confederazione è, quindi, direttamente coinvolta nel confronto e nelle conseguenze che avrà la Corporate tax sulle diverse economie nazionali. La Svizzera e il Ticino saranno di nuovo sotto pressione e, inevitabilmente, si ridurranno i margini per la concorrenza fiscale tra i Cantoni.

Dopo la riforma fiscale e del finanziamento dell’AVS che ha abolito la tassazione privilegiata per le holding e le imprese straniere, tutti i Cantoni si sono dati da fare per mantenere la loro attrattività riducendo l’aliquota per le persone giuridiche. Attualmente, l’onere sugli utili nelle diverse regioni va dall’11,5% al 21%, e, secondo la stima della società di consulenza KPMG, circa 250 multinazionali, con sede in Svizzera, raggiungono il fatturato di 750 milioni di euro che ricadrebbe sotto la Global tax. Diciotto Cantoni hanno un’aliquota massima al di sotto del 15% e gioco forza dovranno adeguarsi al nuovo standard se l’accordo del G7 andrà in porto. Ma al tempo stesso cercheranno giustamente di fare leva su altri vantaggi per restare fiscalmente competitivi. La concorrenza si sposterà, dunque, dalle aliquote sugli utili alla tassazione delle persone fisiche e su altri possibili incentivi. Una ragione in più che ci dovrebbe spingere ad intervenire tempestivamente per scongiurare il rischio concreto che alcune grandi aziende lascino il Ticino.

Agiamo

Con la riforma tributaria approvata dal popolo nel 2020, il Ticino nel 2025 avrà un’aliquota attorno al 15% per le persone giuridiche e sarà quindi allineato alla soglia minima della Corporate tax, mentre resterà ancora penalizzante l’imposizione sulle persone fisiche. Ciò rappresenta sicuramente un margine su cui agire, con uno sgravio ponderato che si tradurrebbe comunque in un vantaggio per le aziende operanti a livello internazionale e, quindi, in un elemento rilevante nelle strategie di localizzazione aziendale. Alla luce dell’evoluzione della fiscalità internazionale è pertanto assurdo pensare di poter congelare una riforma cantonale che deve ancora dispiegare tutti i suoi effetti, come chiede la sinistra per ragioni di cassa. Gli effetti negativi della pandemia non vanno compensati bloccando l’evoluzione della nostra fiscalità. Non ha senso continuare a considerare il fisco un intoccabile tabù, quando invece la repentinità di taluni processi sovranazionali imporrebbe ben altro approccio, con interventi molto più pragmatici, rapidi e incisivi.

L’accordo del G7 è ancora una bozza, ma la via ormai è tracciata. È già chiaro che per restare fiscalmente attrattivi tutti i Paesi cercheranno vie alternative all’aliquota sugli utili. Del resto, il peso dell’aliquota nominale è relativo, quello che conta davvero è se la riforma della Global tax toccherà anche la determinazione della base imponibile. Se così non fosse si potrebbe guadagnare concorrenzialità fiscale con interventi puntuali su detrazioni, deduzioni, sussidi e crediti d’imposta. Ma il fisco è solo uno degli elementi che definiscono l’attrattività di un Paese o di una regione.
Altrettanto decisive sono le migliori condizioni quadro per fare impresa. Basti citare alcuni di questi fattori:

  • un sistema formativo più in sintonia con le esigenze delle aziende e del mercato del lavoro;
  • una burocrazia più leggera;
  • una pratica meno “poliziesca” nella concessione dei permessi di dimora e di lavoro manifestamente non problematici;
  • trasporti rapidi ed efficienti;
  • un’infrastruttura digitale che permetta di utilizzare ovunque le nuove tecnologie;
  • incentivi ricerca e sviluppo con vigorosi sostegni all’innovazione;
  • una rete di saperi con Università, SUPSI, centri di competenza e istituti di ricerca che facciano sistema nel promuovere le potenzialità economiche del Cantone;
  • e, non da ultimo, un clima culturale e civile aperto alle novità, alle differenze e alla tolleranza, che è il migliore terreno di coltura anche per la creatività imprenditoriale e l’affermarsi di nuovi talenti.

Sono queste le condizioni che contano per le imprese su cui si può subito lavorare per migliorare ulteriormente, senza sprecare il tempo che impiegheranno G20, OCSE, FMI, Banca mondiale e parlamenti nazionali, per dare il via libero definitivo alla Tassa minima globale. Una sfida non da poco, ma che dobbiamo essere pronti a cogliere. Magari ragionando maggiormente sui fatti, come fanno altri cantoni, invece di lasciarsi condizionare eccessivamente da paure, pregiudizi e sensazioni.

Un quadro in evoluzione

La Global minum tax è solo uno degli strumenti di una nuova strategia normativa per tassare le multinazionali, scardinare i paradisi fiscali e spianare la strada all’armonizzazione fiscale, eliminando la concorrenza tra gli Stati nell’offrire un’imposizione più leggera alle grandi società. Se da una parte e in determinate situazioni la rapidissima evoluzione del ruolo di talune realtà multinazionali giustifica un adeguamento delle regole, non va dimenticato che è grazie a questa concorrenza se negli ultimi decenni si è riusciti a contenere la voracità di molti governi, la cui unica preoccupazione
quella di aumentare senza limiti le entrate, dimenticando di gestire oculatamente le uscite e che il fisco leggero su aziende e persone fisiche è uno degli elementi chiave nelle scelte di localizzazione
delle attività produttive, logistiche e commerciali. Dunque, eliminare completamente una sana e leale concorrenza fiscale vuol dire privare di uno dei suoi propulsori la crescita economica.

Definita “un passo storico”, un “evento sismico”, un “accordo epocale”, la Corporate tax rappresenta indubbiamente una svolta nei principi che hanno sinora retto il sistema tributario internazionale. Ma non si è ancora capito se essa sia un primo tentativo di riorganizzare completamente la fiscalità mondiale o invece solo un prosaico sforzo di aumentare le entrate degli Stati. Il quadro è incerto e non mancano resistenze e contestazioni. L’aliquota al 15% è giudicata dalla sinistra europea “ridicolmente bassa”. Si batterà, perciò, per un suo inasprimento che potrebbe oscillare tra il 21% e il 25%, al fine di ottenere un gettito molto più consistente. Il tetto minimo dei ricavi al 10% è invece ritenuto talmente alto da permettere ad alcune multinazionali di non pagare nulla. Perciò, si propone la cosiddetta “segmentazione ” che imporrebbe alle imprese di pagare le tasse sui guadagni dei loro comparti più redditizi. Alla Global tax, per ragioni opposte a quelle della sinistra, sono per ora contrari quei Paesi, come Irlanda, Olanda, Lussemburgo, Belgio, Cipro e Ungheria che, offrendo un’aliquota più bassa del 15%, hanno attirato sul loro territorio molte multinazionali, privando di entrate fiscali altre nazioni. Alla loro riluttanza potrebbe aggiungersi, in sede di G20 e OCSE, quella di Russia, Cina e Brasile.

Sullo sfondo di queste contrapposizioni, si annuncia, inoltre, un nuovo scontro nell’Unione Europea, tra i cosiddetti Stati “spendaccioni ” – quelli con una spesa pubblica e un debito ormai fuori controllo e che si ritrovano ora davanti alla necessita di riempire le casse svuotate dall’emergenza del Coronavirus -, e gli Stati definiti “frugali ” che hanno fatto del rigore di bilancio la loro religione di Governo. Insomma, sulla fiscalità internazionale sarà battaglia e la Svizzera non può stare a guardare.

Berna ha già assicurato che adotterà tutte le misure necessarie affinché il nostro Paese rimanga una piazza economica attrattiva. Ci auguriamo che questa promessa si traduca presto in un impegno concreto.