Tra fatti e illusioni, parte seconda

L’opinione del Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino Luca Albertoni

Tra qualche giorno sapremo se la libera circolazione delle persone concordata fra Svizzera e Unione Europea (UE) cadrà e trascinerà con sé tutti gli altri accordi bilaterali conclusi nel 1999, come prevede l’inequivocabile testo della clausola ghigliottina. In tal caso, si aprirebbe una fase di incertezza considerevole e sappiamo che l’incertezza è uno dei peggiori nemici dell’economia e quindi per tutta la popolazione. L’esempio inglese dimostra come negoziare oggi nuovi accordi sia molto difficile. I britannici tentano invano da ormai cinque anni una via bilaterale simile alla nostra, senza riuscirvi. Questo pur essendo l’Inghilterra una potenza nucleare, la quinta economia mondiale e un importante paese contribuente in seno all’UE. È pertanto una pure illusione pensare che la Svizzera potrebbe facilmente spuntare nuove condizioni favorevoli o comunque un approccio morbido da parte del partner europeo. Questi sono fatti, non facili isterismi come insinua qualcuno. Va rilevata una differenza sostanziale tra la situazione inglese e la nostra. L’Inghilterra in tutto questa lunga fase transitoria che dura da anni è comunque rimasta nel mercato europeo, continuando ad applicare le regole esistenti. Per la Svizzera non vi sarebbe un periodo transitorio favorevole così lungo perché secondo le regole vigenti dopo 6 mesi tutti gli accordi cadrebbero automaticamente, lasciando un vuoto giuridico carico di insidie. È sbagliato relativizzare l’importanza degli Accordi bilaterali. Essi rappresentano l’asse portante delle nostre relazioni con l’UE e invocare l’esistenza di altri 100 convenzioni che regolano tali rapporti è un esempio improprio. Fatta eccezione per alcuni altri accordi, come quello di libero scambio del 1972 concernente i dazi per i prodotti industriali e quelli agricoli trasformati, molti sono evoluzioni di quelli a cui dovremmo ora rinunciare oppure regolano questioni tecniche, come il colore dei formulari da usare per lo svolgimento di talune pratiche burocratiche. È come se nel calcio si desse la stessa valenza alla regola del fuorigioco e a quella che disciplina il colore delle bandierine del calcio d’angolo. Infine, è curioso rilevare come molti sostenitori dell’iniziativa che solitamente si battono per ridurre le spese dello Stato, in questo caso propongano di tornare a uno Stato plenipotenziario sull’immigrazione, con tutto quanto ne consegue anche in termini di burocrazia. In nome di una presunta «immigrazione di qualità» non meglio definita né definibile, quale «pozione magica» per la nostra economia e per l’intero mercato del lavoro. E se per qualità si intendono solo «alti profili», questo, oltre che essere irrealistico, penalizzerebbe d’un sol colpo centinaia di aziende che devono poter ricorrere a una manodopera di ogni genere. Una contraddizione palese che dimostra i limiti della proposta in votazione.

Al momento attuale una via senza alternative

Lo scritto di Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

Gli accordi bilaterali con l’Unione Europea (UE) e la libera circolazione sono oggetto di discussioni molto accese. In parte comprensibili, visto che essi hanno generato importanti benefici economici per la Svizzera, ma anche effetti indesiderati sul mercato del lavoro. È sempre difficile stilare bilanci definitivi di costi e benefici, perché i parametri da tenere in considerazione sono molti, sebbene non vada dimenticato il principio fondamentale degli Accordi bilaterali che permettono l’accesso controllato al nostro più grande mercato di riferimento senza dover aderire all’UE, vantaggio non da poco. In sostanza, si facilita il nostro interscambio commerciale con l’UE è che è  pari ad un miliardo di franchi al giorno. Per quanto riguarda cifre concrete, è opportuno ricordare che il Consiglio federale nel 2015 aveva commissionato due studi per calcolare l’impatto economico di un’eventuale caduta dei bilaterali conclusi nel 1999. Entrambi gli studi concludono che tale caduta avrebbe degli effetti negativi importanti per l’economia svizzera. Stimano infatti che la nostra economia sull’arco di 20 anni subirebbe una contrazione di circa 500 miliardi di CHF, pari quindi a circa un intero PIL annuo nazionale. Questo è il valore economico generale dei bilaterali. Questo non vuol dire nascondersi dietro un dito e negare che le regioni di frontiera sono esposte più di altre a effetti negativi. A questo servono le misure di accompagnamento, di cui il Ticino ha fatto ampio uso, adottando numerosi contratti normali di lavoro che fissano dei parametri  salariali obbligatori.

La clausola ghigliottina

Immaginare che si possa abbattere la libera circolazione senza toccare gli altri accordi, essenziali per l’economia svizzera, è fuori luogo. La clausola ghigliottina, di cui taluni a torto negano l’esistenza e la portata, prevede che la disdetta dell’Accordo sulla libera circolazione avrebbe quale effetto automatico la caduta degli altri 6 accordi bilaterali conclusi con l’UE nel 1999 (trasporti terrestri, trasporto aereo, commercio prodotti agricoli, partecipazione al programma UE di ricerca, abolizione degli ostacoli tecnici al commercio, appalti
pubblici). La clausola ghigliottina è contenuta nell’art. 25 cpv.4 dell’accordo il cui testo recita: «I sette accordi di cui al paragrafo 1 cessano di applicarsi dopo sei mesi dal ricevimento della notifica relativa al mancato rinnovo di cui al paragrafo 2 o alla denuncia di cui al paragrafo 3». Il testo è inequivocabile e non lascia spazio a interpretazioni o altre acrobazie. La caduta degli Accordi bilaterali non dipende da eventuali disdette da parte dell’UE ma è una conseguenza giuridica automatica che non necessita di ulteriori atti formali da parte di nessuno.

Accordi bilaterali bis: Schengen e Dublino

Senza dimenticare che la caduta del primo pacchetto di Accordi bilaterali porrebbe seri problemi anche con gli Accordi di Schengen e Dublino che regolano la cooperazione in  materia di giustizia, polizia, visti e asilo, intese molto importanti non solo per la sicurezza interna della Svizzera ma anche per il turismo. In effetti, anche se i bilaterali bis (quelli conclusi successivamente, nel 2004), a differenza del primo pacchetto di accordi, non sono formalmente vincolati da alcuna clausola ghigliottina, cadrebbe anche la partecipazione della Svizzera al sistema di Schengen e a quello di Dublino, essendo la libera circolazione il pilastro su cui poggia questa nostra collaborazione. L’uscita della Svizzera dal sistema di Schengen trasformerebbe tutte le frontiere svizzere in frontiere esterne. Ciò significa che ogni persona in uscita dalla Svizzera verso lo spazio Schengen dovrebbe essere sistematicamente controllata nel senso che i relativi dati personali andrebbero inseriti nel sistema informatico di Schengen per le necessarie verifiche.

L’applicazione di tali controlli sistematici implica un evidente aumento delle colonne alle nostre dogane, come dimostrato qualche anno fa dalla Germania al valico di Basilea, con colonne di decine di chilometri che si sono formate proprio per permettere  di espletare queste formalità. Questo non sarebbe certo nell’interesse dell’economia e delle cittadine e dei  cittadini svizzeri.  È del resto uno degli elementi più preoccupanti anche per l’Inghilterra che giustamente teme l’intasamento insostenibile dei porti adibiti al trasporto di merci
via camion. Per quanto riguarda l’uscita della Svizzera dal sistema di Dublino, ciò significherebbe che la Svizzera diventerebbe l’unica alternativa in Europa per i richiedenti l’asilo. Oggi, grazie a Dublino, un richiedente ha diritto ad una sola procedura in tutto il continente. Tutti gli Stati che fanno parte del sistema sanno, grazie allo scambio di informazioni, se una persona ha già depositato una richiesta in un altro Stato e, su tale base, possono rifiutarsi di entrare nel merito di una seconda richiesta. Fuori dal sistema, la Svizzera sarebbe invece tenuta ad aprire un incarto per ogni procedura avviata sul nostro territorio. Facile immaginare che vi sarebbe un aumento esponenziale delle procedure di asilo nel nostro paese.

Quali alternative?

Esiste un piano B in caso di approvazione dell’iniziativa «Per un immigrazione moderata»? E quali sarebbero i margini negoziali per la Svizzera? Gli iniziativisti affermano che basterebbe rinegoziare con l’UE, sottintendendo che sarebbe come una passeggiata di salute. In realtà, se dovessero cadere gli Accordi bilaterali, il Consiglio federale dovrebbe  immaginarsi un piano C, in quanto va ricordato che gli accordi settoriali in vigore con l’UE rappresentano già un piano B, ossia l’opzione scelta dopo che nel dicembre del ’92 in
votazione popolare venne rifiutata l’adesione della Svizzera allo Spazio economico europeo (SEE). Caduta l’opzione SEE l’alternativa non poteva che essere bilaterale, come gli accordi che abbiamo poi concluso nel ’99, visto che  giustamente nessuno vuole l’adesione all’UE. Negoziare nuovi accordi sarebbe però un esercizio tutt’altro che scontato e più complesso rispetto al passato. Infatti per concludere i bilaterali in vigore fu necessario mettere d’accordo 15 Stati membri, che nel frattempo sono diventati ben 27. Inoltre sappiamo già che l’UE chiede, per poter concludere nuovi accordi, che la Svizzera sia disposta ad accettare la ripresa del diritto europeo futuro e la giurisdizione della Corte di Giustizia dell’UE, aspetti che gli attuali accordi non prevedono. In altre parole, sarebbe impossibile «portare a casa» degli accordi statici, come quelli che abbiamo già.

Gli insegnamenti della Brexit

Senza dimenticare che l’esperienza della Brexit, al di là dei trionfalismi di Boris Johnson, ci insegna che negoziare con un colosso come l’UE non è per nulla facile. Infatti l’Inghilterra con la Brexit ha liberamente deciso di uscire dall’UE e ora sta faticosamente tentando di negoziare con Bruxelles una collaborazione bilaterale, come quella che la Svizzera è riuscita ad ottenere negli anni ‘90. Noi la nostra Brexit l’abbiamo fatta nel 1992, non aderendo allo  SEE, e, quale alternativa, abbiamo sviluppato una rete di accordi bilaterali. Esattamente quello che vorrebbe ottenere Londra.  E non è detto che ci riesca. A mio parere vi sono elementi più che sufficienti per respingere l’iniziativa per un’immigrazione moderata, che in realtà mira a far cadere tutti gli Accordi bilaterali, con conseguente instabilità per molti anni ed effetti negativi per l’economia e quindi per tutta la popolazione svizzera.

In conclusione

La saggezza popolare ci ha lasciato una miriade di modi di dire semplici, ma che rappresentano bene la situazione attuale: «Chi troppo vuole nulla stringe, saltare dalla padella alla brace, si conosce quello che si lascia ma non quello che si trova, tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino», solo  per citarne alcuni. Senza dimenticare che di solito prendere a pesci in faccia il cliente più importante non è mai una grande trovata. Tutto questo per dire che gli accordi  bilaterali nella loro totalità possono forse anche non piacere, ma che prima di proporre un annullamento completo del sistema (perché di fatto di questo si tratta) bisogna avere veramente dei motivi gravi e fondati. A mio modesto parere la situazione attuale è ben lungi da essere arrivata  a questo punto di criticità. Consiglio quindi di votare un NO ben ponderato a questa iniziativa. 

Andrea Gehri designato successore di Glauco Martinetti

L’Ufficio presidenziale della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del cantone Ticino ha designato Andrea Gehri quale successore di Glauco Martinetti alla Presidenza dell’Associazione. La proposta dovrà essere approvata in occasione dell’Assemblea Generale Ordinaria dei soci della Cc-Ti che si terrà il prossimo 16 ottobre 2020 a Bellinzona.

L’Ufficio presidenziale della Cc-Ti ha designato Andrea Gehri quale successore del Presidente uscente Glauco Martinetti, che terminerà il suo mandato il 31 dicembre 2020 per assumere la carica di Direttore dell’Ente Ospedaliero Cantonale dal 1° gennaio 2021.

Il nuovo Presidente entrerà in carica in tale data. Formalmente, la competenza per la nomina definitiva è dell’Assemblea Generale Ordinaria dei soci, che si riunirà il prossimo 16 ottobre 2020 a Bellinzona.

Fino a tale data non vi saranno ulteriori comunicazioni da parte della Cc-Ti né del Presidente designato.

Andrea Gehri, 56 anni, è Direttore della Gehri Rivestimenti SA di Porza, azienda di famiglia attiva da 50 anni e giunta alla terza generazione. Membro dell’Ufficio presidenziale della Cc-Ti dal 2014, oltre a una lunga e consolidata carriera imprenditoriale, vanta un’ampia esperienza nel mondo associativo cantonale e nazionale, essendo stato anche Presidente dell’Associazione svizzera delle piastrelle.

No all’iniziativa per la disdetta degli accordi bilaterali

Il comunicato stampa della Cc-Ti, contraria all’iniziativa “sull’immigrazione moderata” in votazione il prossimo 27 settembre e che di fatto chiede la disdetta degli accordi bilaterali fra Svizzera e Unione europea (UE).

L’accettazione dell’iniziativa comporterebbe infatti questo effetto automatico in virtù della clausola ghigliottina. La Svizzera non può permettersi la caduta di tutti questi accordi di vitale importanza per la nostra economia, soprattutto in un periodo di incertezza come quello attuale.

Nonostante il titolo apparentemente inoffensivo (“Iniziativa per la limitazione”), il 27 settembre popolo e cantoni svizzeri si esprimeranno non solo sull’Accordo sulla libera circolazione delle persone ma sulla disdetta degli accordi bilaterali conclusi dalla Svizzera e dall’UE nel 1999. Infatti, la clausola ghigliottina prevista dall’articolo 25 capoverso 4 dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone recita: “I sette accordi (…) cessano di applicarsi dopo sei mesi dal ricevimento della notifica relativa al mancato rinnovo (…) o alla denuncia (…).”

Insieme alla libera circolazione cadrebbero quindi tutti gli accordi bilaterali conclusi nel 1999 con l’UE, ossia quelli sui trasporti terrestri, sul trasporto aereo, sul commercio di prodotti agricoli, sulla partecipazione al programma UE di ricerca, sull’abolizione degli ostacoli tecnici al commercio e sugli appalti pubblici. Sarebbe una conseguenza giuridica immediata, che non necessita di una disdetta da parte dell’UE, né di altri atti formali. Immaginare che un nuovo negoziato con l’UE sia facile, è un’illusione. L’esempio inglese lo dimostra, viste le difficoltà per trovare un accordo malgrado il grande peso specifico politico e commerciale britannico. Tra l’altro il Regno Unito cerca di ottenere una via bilaterale come quella che noi abbiamo e alla quale dovremmo rinunciare.

È evidente che gli accordi sono di vitale importanza per la nostra economia. Due studi commissionati dal Consiglio federale nel 2015 hanno valutato l’impatto economico di un’eventuale caduta di tali accordi, stimando che la nostra economia sull’arco di 20 anni subirebbe una contrazione di circa 500 miliardi di CHF, pari quindi a ca. un intero PIL annuo nazionale. Inoltre, non va dimenticato che vi sarebbero conseguenze pesanti anche per gli accordi bilaterali bis, quelli conclusi nel 2004. Essi non sono formalmente vincolati ad una clausola – ghigliottina, ma cadendo la libera circolazione delle persone verrebbe meno il pilastro di due accordi importanti come quelli di Schengen e Dublino. Con la caduta del primo vi sarebbe una chiusura delle frontiere con aumento dei tempi di attesa in dogana e con la rinuncia al secondo aumenterebbero considerevolmente le richieste di asilo in Svizzera.

Per non aggiungere una nuova crisi all’attuale crisi legata al COVID-19, occorre respingere l’iniziativa per la disdetta degli accordi bilaterali con l’UE.

Tra fatti e illusioni

L’opinione del Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino Luca Albertoni

Gli Accordi Bilaterali con l’Unione Europea (UE), e la libera circolazione delle persone in particolare, possono anche legittimamente non piacere. Non sono perfetti, perché di perfetto non c’è nulla. Ma quali alternative credibili vi sono? Chi prende quale esempio la Brexit, probabilmente ipnotizzato dalle capacità istrioniche di Boris Johnson, omette di dire che gli inglesi stanno cercando di ottenere quello che noi abbiamo attualmente, cioè degli Accordi Bilaterali con l’UE.
E noi dovremmo rinunciarvi?

È opportuno ricordare che l’articolo 25 capoverso 4 dell’Accordo sulla libera circolazione prevede quanto segue: “I sette Accordi (…) cessano di applicarsi dopo sei mesi dal ricevimento della notifica relativa al mancato rinnovo (…) o alla denuncia di cui al paragrafo 3”.
Clausola ghigliottina che si attiva automaticamente senza se e senza ma. Verrebbero quindi affossati anche altri Accordi fondamentali. Prendiamo quello sul traffico terrestre. Da taluni considerato inutile. Peccato che si tratti della base legale per la Svizzera per imporre la tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni. Introito non da poco per la Confederazione e tutt ’altro che un grimaldello gratuito per l’invasione di camion europei. C’è anche chi afferma imprudentemente che la libera circolazione pesa in modo decisivo sullo Stato sociale, dimenticando che, di principio, gode dei vantaggi della libera circolazione solo chi ha un contratto di lavoro e chi può dimostrare di mantenersi con i propri mezzi. Anche l’illusione che senza la libera circolazione d’incanto vi sarebbe più lavoro per tutti i ticinesi è fuori luogo.

Prendiamo il tanto menzionato settore sanitario. La carenza di medici svizzeri non è certo imputabile alla libera circolazione, ma frutto di precise scelte politiche svizzere di introdurre e mantenere un numerus clausus, soprattutto per questioni finanziarie, considerando più economico attingere a personale già formato da altri Stati. L’UE non c’entra nulla, sono decisioni che abbiamo preso in piena autonomia, visto che le persone non vengono formate da un giorno all’altro. Senza dimenticare i settori volutamente negletti dal personale indigeno perché considerati come meno nobili, industria e artigianato
su tutti.

Abolire la libera circolazione non servirebbe in casi del genere a migliorare l’occupazione dei ticinesi, che si disinteressano di questi ambiti malgrado condizioni anche salariali molto interessanti regolate da Contratti collettivi di lavoro (v. il caso dell’edilizia). Inoltre impedirebbe a molte aziende di attingere ai bacini di personale necessario per svolgere la propria attività.

Questi sono solo alcuni fatti che dovrebbero far riflettere prima di prendere una decisione cruciale come quella del prossimo 27 settembre.

Le incognite dell’eventuale rinuncia agli Accordi con l’UE

Negli ultimi 20 anni per ben tre volte (maggio 2000, settembre 2005 e febbraio 2009) si è votato sugli Accordi Bilaterali con l’UE e la libera circolazione delle persone. In tutte le tre consultazioni il popolo, a stragrande maggioranza, ha approvato l’intesa con Bruxelles.

Ciononostante, il 27 settembre si tornerà alle urne: si vota sull’iniziativa “Per un’immigrazione moderata” che in sostanza punta ad abolire la libera circolazione, scardinando di fatto tutto il pacchetto dei Bilaterali I. Alla fine del 1993 l’UE si è dichiarata pronta ad avviare negoziati in sette comparti, ponendo tuttavia la condizione che tutti gli Accordi fossero negoziati parallelamente e quindi firmati e attuati contemporaneamente: questo perché i
vari dossier avrebbero garantito vantaggi a entrambe le parti soltanto se considerati nel loro complesso.

Gli Accordi sono dunque stati connessi giuridicamente tra di loro a mezzo di una cosiddetta «clausola-ghigliottina» per evitare che fossero posti in vigore separatamente. Qualora uno degli Accordi venisse denunciato, anche i rimanenti sarebbero abrogati caricando ancor di più d’incognite l’appuntamento di settembre. Grazie anche all’impulso dei Bilaterali, la Svizzera ha ritrovato la via della crescita dopo la stagnazione degli anni ‘90. Sono aumentati il PIL, l’occupazione, il reddito pro capite, la competitività e la capacità d’innovazione della nostra economia. Se questi sono dati reali, non esiste invece alcuna
controprova che ci sarebbe stato un analogo sviluppo senza questi Accordi.

Indubbiamente, i Bilaterali non sono solo “rose e fiori”. Nelle regioni di confine, come il Ticino, si sono registrate una più forte concorrenza sul mercato del lavoro, a volte una pressione al ribasso sui salari e talune distorsioni che hanno alterato il corretto meccanismo della domanda e dell’offerta. Problemi che non si risolvono però rinunciando alla libera circolazione, ma con il concreto impegno delle parti sociali, del governo e della politica per ottimizzare e migliorare le misure di accompagnamento a tutela dei lavoratori e di una concorrenza leale.

La Svizzera negli ultimi anni ha diversificato notevolmente i suoi mercati di sbocco, tuttavia l’UE, che assorbe il 51,2% dell’export elvetico, resta il nostro più importante partner commerciale, con scambi per oltre un miliardo di franchi al giorno. Il prossimo settembre la posta in gioco è molto alta. Ecco cosa si perderebbe con l’abolizione dei sette Accordi Bilaterali e gli scenari che si aprirebbero nel caso di una rottura con l’Europa.

Quanto vale economicamente ogni singolo accordo per il nostro Paese?

Libera circolazione: il valore economico del più importante e discusso trattato con Bruxelles è stato calcolato in 14 miliardi di franchi all’anno. Secondo le stime del Professor George Sheldon dell’Università di Basilea, gli immigrati arrivati in Svizzera con la libera circolazione hanno contribuito, dal 2003 al 2011, ad aumentare in media il PIL pro capite dello 0,9%, ossia di 553 franchi a testa.

Abolizione degli ostacoli tecnici al commercio: l’intesa permette alle imprese di smerciare la loro produzione nei Paesi UE con costi e tempi molto più ridotti rispetto a prima. Un trattato che vale quasi due miliardi di franchi all’anno.

Agricoltura: si è notevolmente semplificato il commercio di diversi prodotti agricoli, innanzitutto formaggi e derivati del latte trasformati. Dal 2002 al 2018 le vendite di formaggio e ricotta nell’area UE sono aumentate del 42%. Solo per l’export di formaggi l’accordo rende 100 milioni di franchi ogni anno.

Appalti pubblici: l’intesa ha aperto l’accesso alle imprese e agli studi professionali elvetici in un mercato che già dieci anni fa valeva 425 miliardi di franchi. Il valore dell’accordo è stato stimato in un miliardo di franchi all’anno.

Trasporti terrestri: si garantisce l’accesso ai mercati europei dei trasporti ferroviari e stradali. Il nostro Paese incassa ogni anno mezzo miliardo di franchi.

Trasporto aereo: si stima in 7 miliardi di franchi annui il valore di questo accordo, che è fondamentale per le compagnie aeree rossocrociate, gli aeroporti, i passeggeri e per l’industria del settore aeronautico (35mila impieghi e un valore aggiunto annuo di 10 miliardi di franchi). Un annullamento dell’intesa penalizzerebbe il turismo, l’attrattività della nostra piazza economica e farebbe aumentare anche i costi dell’export. Inoltre, causerebbe un rincaro delle spese di gestione degli scali sino a 8 milioni di franchi annui e una nuova pianificazione con costi tra i 5 e 15 milioni di franchi.

Ricerca: con questo accordo la ricerca e l’innovazione svizzere hanno registrato un guadagno d’efficienza del 20% e creato un valore aggiunto di oltre 2 miliardi di franchi annui. L’intesa ci consente di partecipare ai programmi quadro di ricerca dell’UE che possono contare su un budget miliardario. Anche alcuni istituti ticinesi di ricerca hanno beneficiato di finanziamenti per decine di milioni di franchi. Fuori da questo accordo, sarebbe molto più difficile
restare pienamente integrati nelle reti internazionali della ricerca, di conseguenza la Svizzera perderebbe anche interesse agli occhi degli specialisti e dei ricercatori che oggi arrivano qui da ogni parte del mondo.

Quali vere alternative ci sono ai Bilaterali?


In realtà nessuna. Un ritorno al semplice accordo di libero scambio con l’UE del 1972 o a rapporti di scambio sulla sola base delle regole dell’OMC, sono soluzioni che non garantirebbero a un Paese orientato fortemente sull’export, come la Svizzera, i benefici e i vantaggi conseguiti sinora con i Bilaterali.
Rinegoziare un’intesa commerciale con Bruxelles non sarebbe per nulla facile (Brexit docet); rinunciare all’accesso privilegiato a un mercato di mezzo miliardo di persone per tentare Accordi coni singoli Stati UE, sarebbe solo un pericoloso passo indietro, con devastati ripercussioni su tutta l’economia
nazionale.

Cosa comporterebbe un ritorno al sistema dei contingenti/ quote per la manodopera estera?

Innanzitutto, si aggraverebbe la carenza di manodopera, qualificata e non, che rappresenta già ora un grave problema per le imprese.
Gestire l’immigrazione con questo sistema richiederebbe un notevole apparato burocratico, sia a livello federale che cantonale, con costi esorbitanti e lentezze procedurali che nuocerebbero al dinamismo e alla flessibilità aziendale. Inoltre, si scatenerebbe la lotta tra i Cantoni e tra i diversi settori produttivi per accaparrarsi la manodopera loro necessaria, come già successo in passato.

Quale forza contrattuale avrebbe la Svizzera, qualora si dovesse arrivare alla disdetta dei Bilaterali?

Il potere contrattuale della Confederazione sarebbe molto scarso. Dopo la Brexit, Bruxelles è ancora più determinata a non concedere a chicchessia un’accessibilità “à la carte” al suo mercato. Tanto più alla Svizzera alla quale è già legata da un complesso sistema con più di 120 Accordi e che sinora
ha beneficiato di una corsia privilegiata nello scambio commerciale. Va pure sgomberato il campo da talune idee balzane come quella di usare la minaccia di aumentare la tassa di transito sui mezzi pesanti per ammorbidire Bruxelles. Difatti, tutti i Paesi interessati a transiti potrebbero compensare con sussidi pubblici un eventuale aumento della tassa. In questi tempi di forsennati aiuti di Stato e di salvaguardia degli interessi nazionali, nessun governo avrebbe remore a sovvenzionare il trasporto merci che per ogni Paese ha sempre una funzione strategica. Con un’Europa che sta cercando in tutti i modi di ricompattarsi, è altrettanto illusorio pensare che la Germania, per quanto sia il nostro principale partner commerciale, si faccia in quattro per difendere
gli interessi della Confederazione.

Cosa ci ha insegnato la Brexit?

Quattro anni dopo il referendum che ha sancito la Brexit, i negoziati tra il Regno Unito e Bruxelles stentano ad andare avanti. Anzi, per Londra la strada dell’uscita dall’UE si sta rivelando sempre più dura e difficile. Sebbene ci sia in gioco il futuro della seconda economia più grande del Vecchio Continente, l’UE non pare intenzionata a trattamenti di favore. Né tantomeno disponibile ad accomodanti compromessi che potrebbero rappresentare una tentazione per la fuga di qualche altro Stato membro dell’Unione. Oggi Londra farebbe di tutto per raggiungere una convenzione sul modello svizzero. Come gli Accordi Zilaterali I che qui, paradossalmente, col voto del 27 settembre si vorrebbero cancellare.


Per approfondire: commercio estero della Svizzera, 2019 – in miliardi di franchi (fonte: UST, AFD – Statistica del commercio estero – 2020)

Glauco Martinetti al Lugano Living Lab

Il Presidente della Cc-Ti è stato ospite di un evento tenutosi lo scorso 21 agosto nel Parco Ciani a Lugano nell’ambito del LongLake Festival.

Nella suggestiva cornice del Parco Ciani a Lugano, anche Glauco Martinetti, Presidente della Cc-Ti, ha presenziato – quale ospite – all’evento “COVID, economia e prospettive future”, organizzato dalla Città di Lugano per “Lugano Living Lab”.

Il Presidente della Cc-Ti ha parlato di economia e di come il Ticino (e nello specifico le aziende) abbia risposto in modo pragmatico all’emergenza sanitaria data dal COVID-19. Glauco Martinetti ha sottolineato che il tessuto economico cantonale è ricco e sfaccettato. Questo dato porta poi al non poter fornire una risposta univoca alla domanda sugli effetti post- COVID-19 per tutti gli ambiti congiunturali.
I settori economici sono infatti colpiti in momenti e con intensità differenti.
La tenuta dell’economia finora è stata buona, ma occorre vedere cosa accadrà in futuro (già dal 4° trimestre 2020).

Nei vari cambiamenti in atto e in questo momento di transizione, emerge un dato chiaro che la pandemia ha accelerato: le modifiche nel modo di lavorare e nelle nostre abitudini sono una realtà, come il telelavoro e le diverse modalità di smart working.

I temi in evidenza

L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del COVID-19 ha avuto forti ripercussioni non solo in termini di salute pubblica, ma anche di salute dell’economia. Tematiche quali la riduzione delle attività dovuta alla situazione sanitaria, lo stop durante il lockdown, il rallentamento della crescita del prodotto interno lordo, ecc. sono quindi determinanti ora per capire come ripartire in questo peculiare momento storico.

Alla serata sono intervenuti – oltre al Presidente Cc-Ti Glauco Martinetti -: Marco Borradori, Sindaco della città di Lugano; Fabio Bossi, Delegato alle relazioni economiche regionali della Banca nazionale svizzera; Marc Bros de Puechredon, Presidente della direzione generale di BAK Economics AG; Tyler Brûlé, Giornalista ed editore di Monocle; Bruno Giussani, Direttore europeo TED; Rico Maggi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Economiche; Meg Pagani, Imprenditrice e fondatrice di Impacton.org; Lorenza Sommaruga; Presidente Federcommercio e Simona Zanette, CEO Hearst Digital.

È possibile visualizzare il dibattito sul canale Youtube di Lugano Living Lab, attraverso questo link.

Settembre 2020: un mese anche di decisioni cruciali

L’opinione del Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino Luca Albertoni

Il prossimo mese di settembre è atteso come “spartiacque” importante per trarre mirate riflessioni sugli effetti del Covid-19 sull’economia. Non sono pochi infatti i timori che i risvolti negativi inizieranno a emergere verso l’autunno, visto che si prevedono importanti difficoltà per i vari settori industriali legati, per la loro natura, alle vicissitudini internazionali. E dopo l’evasione degli ordini che già erano in essere, nuovi mandati e opportunità di business rimangono molto incerti. Senza contare che taluni considerano l’autunno anche come il momento di possibile nuova recrudescenza del virus e di tutto ciò che ne seguirebbe. Prospettive che non lasciano certo tranquilla un’economia duramente provata e che purtroppo non può contare su quelle indispensabili certezze per poter operare, investire, creare in serenità, mantenendo i posti di lavoro. Le aziende stanno facendo il possibile e l’impossibile per rinfrancare le fragilità che si sono create.

Ma settembre porterà con sé altre scadenze molto importanti, cioè le consultazioni popolari rinviate nei mesi scorsi e che prevedono, a livello federale, ben cinque oggetti in votazione. In ordine sparso e non d’importanza, la modifica della legge federale sulla caccia, il decreto federale concernente l’acquisto di nuovi aerei da combattimento, la modifica della legge federale sull’imposta federale diretta concernente le deduzioni per i figli, la modifica della legge sull’indennità di perdita di guadagno per l’introduzione di un congedo paternità e, dulcis in fundo, l’iniziativa popolare “Per un’immigrazione moderata (iniziativa per la limitazione). A parte la modifica della legge federale sulla caccia, sulla quale la Cc-Ti non si esprime, per gli altri oggetti vi sono risvolti che richiedono una posizione chiara e le relative puntuali spiegazioni.

Decreto federale concernente l’acquisto di nuovi aerei da combattimento

Il mondo economico si è sempre espresso a favore di tale acquisto, visto che il rinnovo della flotta per la protezione aerea del territorio è indispensabile, tenuto conto che gli aerei attuali non saranno più utilizzabili dopo il 2030. Qualche anno fa il popolo ha respinto il credito per l’acquisto dei Gripen, forse considerati non adatti e troppo costosi nel rapporto qualità-prezzo.

Questa volta la situazione è diversa. L’aereo più adatto deve essere ancora scelto perché gli esperti stanno testando diverse varianti, per cui si tratta di votare sul credito di 6 miliardi, che costituirà il limite messo a disposizione della Confederazione per l’acquisto. Il Consiglio federale dovrà poi determinare quale tipo di velivolo e quanti modelli potranno essere acquistati con questo budget. La decisione necessiterà comunque ancora dell’approvazione del Parlamento, supplementare garanzia di equilibrio nella scelta.

Un elemento da non trascurare per l’economia è ovviamente quello delle commesse che saranno attribuite alle aziende elvetiche (comprese le PMI). Il 60% del prezzo d’acquisto andrà infatti in mandati a imprese del nostro territorio, con il 5% destinato al Ticino.

Un contributo importante per una ripresa che si preannuncia molto difficile in questi tempi di incertezze e le aziende ticinesi in particolare hanno molte carte da giocare sul terreno dello sviluppo tecnologico, essenziale per questo genere di affari di compensazione (detti anche “offset”). I grandi gruppi produttori degli aerei che hanno visitato le nostre aziende in questi anni per capirne le potenzialità, hanno tutti unanimemente sottolineato la qualità e l’idoneità delle nostre imprese, che sono quindi pronte a raccogliere questa sfida.

Tutti motivi che inducono la Cc-Ti a esprimere un chiaro SÌ al decreto federale che prevede lo stanziamento dei 6 miliardi e che va visto quale investimento nella crescita futura dell’industria svizzera e quindi a salvaguardia dei nostri posti di lavoro.

Modifica della legge federale sull’imposta federale diretta concernente le deduzioni per i figli

La modifica mira ad aumentare la deduzione massima per l’imposta federale diretta da 10’000 franchi a 25’000 per figlio in caso di custudia da parti di terzi.

L’intento è di permettere la conciliabilità tra famiglia e il lavoro, di adeguare la deduzione fiscale alla spesa reale che comporta la custodia dei figli da parte di terzi e di assicurare la presenza sul mercato di personale qualificato, in gran parte femminile (spesso costretto a ridurre la percentuale o smettere di lavorare, scoraggiato da motivi fiscali) a vantaggio dell’economia nazionale. Anche la deduzione generale per i figli passerebbe da 6’500 a 10’000 franchi, così da sgravare le famiglie a prescindere dalle modalità di cura dei figli. La critica, secondo la quale questa riforma andrebbe a beneficio dei redditi medio-alti non regge. Seppur vero che a trarre beneficio dall’aumento delle deduzioni sono le famiglie che pagano l’imposta federale diretta, vale a dire circa sei famiglie su dieci, sono proprio quelle che sono maggiormente “provate” fiscalmente, per cui un alleggerimento è giustificato. L’IDF è calcolata sulla base del reddito. Attualmente circa il 60% delle famiglie paga l’IFD e beneficerà dunque della deduzione. Il restante 40% continuerà a non pagarla.

La Cc-Ti sostiene quindi il SÌ alla modifica della legge federale sull’imposta federale diretta.

Modifica della legge federale sull’indennità di perdita di guadagno

Questa modifica prevede l’introduzione di un congedo paternità retribuito di due settimane da prendere entro sei mesi dalla nascita del figlio. Questa flessibilità sul periodo è volta a non svantaggiare le strutture aziendali piccole, confrontate con maggiori difficoltà organizzative rispetto a strutture più grandi. La perdita di guadagno legata al congedo di paternità è indennizzata analogamente a quanto previsto nei casi di maternità e corrisponde all’80% del reddito medio conseguito prima della nascita del figlio, ma al massimo a 196 franchi al giorno. Come il congedo di maternità, il congedo di paternità è finanziato mediante le indennità di perdita di guadagno (IPG) e quindi prevalentemente con i contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Il testo sottoposto a votazione è un controprogetto rivolto a un’iniziativa popolare che chiede quattro settimane di congedo-paternità. Si tratta quindi di un compromesso sostenibile, per cui la Cc-Ti invita a votare SÌ alla modifica della legge federale sull’indennità di perdita di guadagno.

È evidente, tenendo conto dei tempi che stiamo vivendo, che sorgono molti interrogativi legittimi quanto all’opportunità di sobbarcare sulle finanze pubbliche e sulle aziende (per l’IPG) ulteriori spese. Soffermandosi e dando risalto in prevalenza agli aspetti che prevedono un ulteriore investimento è importante considerare che sarebbe davvero peccato e sbagliato non investire sul futuro, anche se al momento gli importi possono sconcertare.

È chiaro che, nel contesto conciliabilità lavoro-famiglia, sarebbe preferibile operare piuttosto con riforme strutturali (come l’introduzione della imposizione fiscale individuale che faciliterebbe in modo consistente l’impiego anche femminile) anziché continuamente ricercare nuovi strumenti considerati “sociali”.

Ma per i due oggetti menzionati si può considerare che siano proporzionati, se ci si limiterà a questi.

Iniziativa popolare “Per un’immigrazione moderata (Iniziativa per la limitazione)

Come detto, dulcis in fundo, l’iniziativa che vuole soppprimere la libera circolazione delle persone con l’Unione Europea e quindi tutto il primo pacchetto degli Accordi bilaterali che sono vitali per l’economia svizzera. La caduta di tutti gli Accordi è una conseguenza diretta e inevitabile della “clausola ghigliottina” di cui taluni si ostinano a negare l’esistenza. E dato che la libera circolazione è un pilastro fondamentale anche degli Accordi di Schengen e Dublino, è evidente che anche questi cadrebbero con buona pace di chi, paradossalmente, chiede più sicurezza in generale e una gestione più ferrea nella politica d’asilo.

La posizione dell’economia è sempre stata chiara e si può qui solo ribadirla, cioè che con il nostro partner commerciale più importante occorrono rapporti stabili e chi oggi vuole scioglierli non propone alternative credibili e facilmente attuabili, se non un generico “rinegoziare”, facile sulla carta ma molto difficile nella realtà.

Ciò non significa che l’attuale costrutto contrattuale non possa o debba essere migliorato, anche per tenere conto, nella misura del possibile, delle diverse e diversificate realtà regionali, come la nostra. Ma vanificare tutto senza avere un progetto costruttivo di come procedere, sarebbe un errore.

Quindi la Cc-Ti ribadisce il NO all’iniziativa popolare per la limitazione.

Proposte strutturali per il Consiglio di Stato

Il Canton Ticino sta affrontando la più impegnativa crisi sanitaria della nostra generazione, crisi che però rischia di non essere del tutto alle nostre spalle, soprattutto a livello economico. La Cc-Ti ha condiviso con le altre parti sociali e con l’ente pubblico questa fase iniziale molto critica, reagendo in modo compatto all’imprevedibile evoluzione della situazione da marzo in poi.

In quest’ottica, lavorando insieme, è stato possibile dare risposte rapide, pragmatiche, condivise e modulate in base alle sempre nuove forme che questa insidiosa sfida assumeva, giorno dopo giorno. Il lavoro di squadra ha permesso di andare avanti, senza polemiche di parte, guardando tutti insieme al bene comune del nostro Cantone.

Terminata la fase acuta della crisi abbiamo immediatamente coinvolto il nostro Consiglio economico, gremio composto da ben 44 associazioni di categoria, in un esercizio coordinato per individuare e discutere le criticità della ripartenza dopo questo inaspettato terremoto. Su tali basi sono state individuate delle proposte strutturali che abbiamo sottoposto al Consiglio di Stato in tre lettere distinte.

Innanzitutto, come entrata in materia abbiamo ribadito al governo ticinese che il partenariato positivamente messo in atto durante la fase iniziale della crisi va continuato, nel senso che l’amministrazione pubblica, riconoscendo la particolare situazione in cui versa l’economia cantonale, abbandoni posizioni di incomprensibile rigidità in talune procedure e assicuri per contro un maggior sostegno alle aziende e un’applicazione delle norme che tenga conto dell’evidente buon senso attualmente necessario. Economia e amministrazione pubblica non devono per forza essere in contrapposizione. Anzi, mai come oggi ci rendiamo conto che sono entrambe sulla proverbiale “stessa barca”.

In secondo luogo il dialogo continuo durato circa un mese con il Consiglio economico ha permesso di individuare una serie di misure fiscali, anch’esse portate a conoscenza del Consiglio di Stato. Tra le proposte avanzate troviamo l’aumento della percentuale per gli ammortamenti accelerati per gli anni 2020 e 2021, la defiscalizzazione investimenti produttivi, la sospensione dell’imposta di bollo cantonale e sostegno all’iniziativa che ne chiede l’abolizione a livello federale, l’introduzione di accantonamenti Covid per l’anno fiscale 2019, e altre ancora.

Infine, nella terza lettera inviata al Consiglio di Stato sono state evidenziate misure di natura non fiscale ma comunque di grande importanza per il nostro territorio.  Le principali proposte messe sul tavolo sono state il potenziamento delle reti telematiche (5G) per favorire telelavoro e un’amministrazione efficiente in tempo di crisi, l’introduzione di incentivi per gli approvvigionamenti indigeni, il sostegno alle misure già chieste dalla Società svizzera degli impresari costruttori per l’edilizia cantonale, l’avvio di una profonda riflessione sul tema degli spazi commerciali che in futuro rischiano di rimanere vuoti a causa del telelavoro, una maggior flessibilità degli orari di lavoro, come peraltro chiesto dalla nostra Vicepresidente Cristina Maderni con la mozione parlamentare del 18.05.2020.

“Per salvare i posti di lavoro occorre flessibilità”, un maggior sostegno ai lavoratori indipendenti e alle persone che occupano una posizione analoga a quella del datore di lavoro, l’avvio di una vera promozione territoriale per attrarre nuove aziende e residenti nel nostro Cantone in un momento in cui la Svizzera a livello internazionale ha saputo dimostrare il suo valore agli occhi di tutti, e, non da ultimo, la pratica di una vera cultura dell’accoglienza nei confronti di tali persone, senza la quale i nostri tentativi di promozione rischiano purtroppo di rimanere lettera morta.

L’esercizio condotto con il Consiglio economico della Cc-Ti coordinato dall’Avv. Michele Rossi, ha permesso in circa un mese di giungere alla formulazione di proposte molto concrete che, si spera, raccolgano la dovuta attenzione da parte del Governo cantonale con il quale è stato pure chiesto un incontro.

Aperture e chiusure, un equilibrio

L’opinione del Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino Luca Albertoni

Si può definire eterno il dilemma che accompagna le politiche in ambito economico (ma non solo), fra tentazioni protezionistiche, legittima difesa degli interessi nazionali o locali e necessaria apertura verso i mercati esteri per disporre dei beni, dei servizi e della manodopera indispensabile al funzionamento del sistema di ogni Paese. Tutte le posizioni sono decisamente legittime e a volte è il mix delle stesse a creare le varianti più interessanti, sebbene, sul lungo termine, sia quasi sempre l’apertura a delineare i migliori risultati. Lo dicono i fatti e i numeri. Anche se a volte si ha l’impressione che la chiusura possa rappresentare la soluzione preferibile, spesso si tratta di un’illusione di breve durata. Come sempre, è questione di equilibrio.

Un equilibrio essenziale quando si tratta di prendere decisioni importanti che devono tenere conto dell’interesse generale, delle persone e delle cose e lungimiranti, anche quando nell’immediato il particolarismo vorrebbe prevalere e appare più allettante.

Un equilibrio che la Svizzera e il Ticino hanno dimostrato di avere anche durante gli ultimi difficili mesi. Non tutto è filato liscio e perfetto, ma come avrebbe potuto in una situazione così estrema e nuova in tutti i suoi aspetti? L’economia ha giocato la sua parte fino in fondo, accettando dolenti e amare restrizioni per il bene di tutti e di tutto un paese coinvolto nel vortice di una tempesta virologica inaspettata e sconosciuta. Le aziende hanno dimostrato un alto senso di responsabilità, accettando e sottoscrivendo le tante nuove regole e limitazioni, e durante il periodo di chiusura quasi totale delle attività, i servizi essenziali e le industrie autorizzate a lavorare non hanno conosciuto «riposo» attivandosi, riorganizzandosi e vigilando in primis sulla salute. I fatti hanno premiato questi sforzi promuovendole nell’operato per aver tutelato salute e mercato.

La nuova consapevolezza oggi di questo «scomodo compagno di viaggio» orienta le nostre realtà aziendali a lavorare più serenamente e con strumenti più efficaci per scongiurare qualsiasi richiusura.

I fatti recenti dimostrerebbero che sono gli assembramenti casuali che restano problematici e proprio su questi occorre focalizzare maggiormente l’attenzione. Abbiamo maturato esperienze importanti che ci hanno dato tutte le indicazioni utili (igiene, distanza sociale, protezioni, tracciabilità, ecc.) per intervenire in futuro, solo laddove necessario, senza imporre un blocco a tutti e tutto. L’economia ha dimostrato di avere coscienza, mezzi e strumenti per continuare il proprio buon lavoro a favore di tutti. Anche qui una questione di equilibrio.