Reverse mentoring

Ai collaboratori è richiesto un continuo aggiornamento personale per poter far fronte alle richieste di un mercato lavorativo sempre più puntuale ed esigente. Proprio a questo scopo assistiamo a un ampliamento e una rivisitazione costante dell’offerta formativa disponibile sul mercato. Solo un ambito non può essere coperto da nessun altro, se non dall’individuo stesso: l’esperienza.

Viene, sempre più, largamente rivalutato il concetto di mentoring.

I primi giorni, le prime settimane in azienda sono costituiti dai momenti di istruzione e di adattamento al nuovo ambiente lavorativo. Sarebbe buona regola affiancare il nuovo collaboratore a una figura di riferimento a fini formativi ed informativi. La figura di mentore è tanto necessaria quanto la formazione stessa all’apprendimento delle attività e dei dinamismi dell’occupazione. L’iniziale inesperienza comincia, in questo modo, ad essere colmata con un passaggio di conoscenze e di esperienza che un mentoring trasmette con il proprio bagaglio.
Quanto descritto è la definizione classica di “mentoring”. Figura che funge da ala durante l’accompagnamento all’inizio di un percorso professionale all’interno di un’azienda.

Nello stesso momento che questa “educazione” ha inizio, prende avvio anche il “reverse mentoring”. Fondamentale per entrambe le figure e molto arricchente. Proprio perché strettamente personale, estremamente variegato e, a volte, con contenuti inaspettati, questo scambio di informazioni diventa un valore aggiunto per i collaboratori stessi, il datore di lavoro, quindi per l’azienda.
Il numero di collaboratrici e collaboratori si differenzia da azienda ad azienda, così come la combinazione, più o meno eterogenea in senso generazionale. Tutte le imprese si ritrovano con un mix generazionale.
Il concetto è simile, ma a doppio senso, a quello di mentore. “Reverse mentoring” è il passaggio di conoscenze, spesso legate, per esempio, al mondo della tecnologia, da parte dei più giovani in azienda, verso coloro che hanno meno famigliarità con questo mondo infinito di nozioni.

Sul tema del gap intergenerazionale è stata interessante una riflessione del CEO della Bank of New York Mellon Corporation. Mark Tibergien osservò come i millennials fossero meno interessanti a lavorare nell’ambito dei servizi finanziari, e di come il turnover dei giovani avesse quindi un tasso molto alto rispetto a quello dei collaboratori senior.
Alle medesime conclusioni arrivarono i dipartimenti HR di molti altri istituti bancari e intermediari finanziari.

Fu così che vennero concepiti i primi programmi di “reverse mentoring”, dove i senior venivano abbinati ai giovani impiegati per condividere, discutere e sostenere decisioni strategiche in modo intelligentemente innovativo.
Il “reverse mentoring” è attuabile nelle grandi realtà come nelle minori. Interessante il fatto che non si attua nessuna concorrenza tra le due figure aziendali, fiducia e rispetto, senza gerarchia conducono a una produttività alla pari con risultati ottimali.

I benefici del “reverse mentoring” sono soggettivi e legati alla natura economica dell’azienda, ma spesso possiamo suddividerli su quattro assi principali.

  • Calo del tasso di rotazione delle nuove leve
    Offrendo ai giovani la possibilità di mostrare le loro conoscenze, di applicarsi in programmi di insegnamento e condivisione delle proprie competenze, nonché di avere degli spazi dove poter essere riconosciuti per le proprie capacità; vi è una crescita dell’interesse e del coinvolgimento dei millennials. Questi programmi di “reverse mentoring” assicurano un ruolo attivo per i giovani, i quali sviluppano un senso di appartenenza e di responsabilità verso l’azienda.
  • Condivisione delle competenze tecnologiche
    Con il progresso digitale, non tutti i passaggi d’informazione e formazione, soprattutto sull’uso interno dei mezzi di comunicazione, avviene rapidamente e facilmente per tutte le figure aziendali. Quanto rilevato è stato un avvicinamento alle nuove tecnologie, soprattutto all’uso dei social e dei mezzi di comunicazione, grazie al coinvolgimento da parte dei giovani, ben più avvezzi all’uso delle piattaforme social.
  • Riorientamento della cultura aziendale
    Un programma di leadership dove non solo le idee possono venire condivise, ma anche analizzate da diversi punti di vista, egualmente validi, e messe in azione da parte dei vari gruppi di discussione; uno scambio coinvolgente di diverse abilità, creatività e dinamismi in più ambiti, dalla strategia finanziaria al marketing.

    Quando l’azienda Estée Lauder ritenne di avere un momento nel quale le proprie forze innovative sembravano essersi arenate, decise di mettere in agenda un programma di “reverse mentoring”, il quale prese il nome di “Dreamspace”. Al suo interno i millennials potevano scambiare le loro ingegnosità e le loro percezioni riguardo i social media e il mondo degli influencer. “Dreamspace” fu un successo.
  • Promozione della diversità
    I benefici di un dialogo aperto e dell’implementazione di un programma di “reverse mentoring” sono molti, sia per l’individuo che funge da mentore sia per colui che viene accompagnato nell’apprendimento di nuove padronanze.

Per poter garantire un successo di questi programmi sono essenziali sei aspetti:

  • L’empatia
    La compatibilità tra mentore e candidato è cruciale perché il processo di “reverse mentoring” sia efficiente. La personalità di entrambi i collaboratori è il perno centrale; abbinare due personalità simili, per esempio due persone introverse, non è sempre una coppia vincente, in quanto, è l’uscita dalla zona di comfort che permette un dialogo ed una crescita personale. In aggiunta, è importante consultare le persone da affiancare prima di decidere la loro collaborazione. L’accettazione deve essere bivalente e pari per entrambi i collaboratori.  
  • Trasparenza e fiducia
    Un programma di “reverse mentoring” è uno specchio laddove si è confrontati in primis con il proprio manco di conoscenze in individuati ambiti. Questa vulnerabilità, ed esposizione, non è per tutti semplice da gestire, soprattutto quando si tratta di due posizioni dissimili a livello di anzianità professionale. I primi scambi di mediazione devono essere aperti, fondati sulla fiducia, e trasparenza delle informazioni condivise, solo così un programma di “reverse mentoring” trionfa.
  • Professionalismo
    Il professionalismo da parte di entrambi i collaboratori va oltre le conoscenze pratiche e tecniche dei temi che si vogliono percorrere durante il programma di “reverse mentoring”. Dietro il termine professionalismo vi sono aspetti come l’empatia, la capacità di comunicare, la comprensione della persona e dell’identità, l’abilità diplomatica nel conversare e nel gestire la mediazione tra più parti.
  • Coinvolgimento top-down
    Il coinvolgimento e la popolarità dei programmi di mentoring devono includere tutto il personale. Il problema che spesso molte aziende riscontrano con iniziative simili è quella di saper coinvolgere e di invitare alla partecipazione il proprio personale. La regola di successo per avere un tasso di partecipazione più alto, soprattutto quando si tratta di convincere i senior, è quella di dare il buon esempio, iniziando con i collaboratori di direzione. Un approccio top-down è in questo caso una carta vincente.
  • Attitudine proattiva e positiva
    Non solo il coinvolgimento è un aspetto importante, ma l’attitudine alla cooperazione, e il volersi mettere in gioco, per poter ampliare le proprie conoscenze. Anche in questo caso, avere una parte della direzione o dei top managers ad avviare questi progetti è un modo per trasmettere un messaggio anche al resto del resto personale. Una propensione di apertura non è sempre facile da conseguire, particolarmente perché i conflitti generazionali sono un fenomeno che si vive nella vita privata, e sul posto di lavoro si possono riscontrare le stesse difficoltà e le stesse barriere di dialogo. Per questi motivi, diventa cruciale la presenza delle risorse umane per agevolare la comunicazione.
  • Procedura
    Il programma in sé deve essere mappato, con inizio e fine, obiettivi e scadenze regolari. Per quanto sia creativo, chiaro e dinamico, un programma “reverse mentoring” deve essere sostanzialmente preparato e pianificato, con un fil rouge operativo. Una buona organizzazione, sia dei candidati, che del programma stesso, sono un base per una buona riuscita e di esito positivo dell’intero approccio di mentoring.

Un programma di “reverse mentoring” richiede un grado di allestimento, di coinvolgimento e di compartecipazione attiva tutto il lungo del processo. Senza questa propensione e risolutezza di dovere, di sostegno e di collaborazione, è difficile riuscire a concludere con risultato positivo. I benefici di questo concetto sono molteplici e su ampia scala, ma non bisogna sottovalutarne gli impegni e i doveri che esso esige. Ogni azienda è unica nel suo genere, e ogni collaboratore porta con sé un bagaglio di esperienze e di padronanze, di idee e di creatività che possono estendere le probabilità di successo interno e poi verso l’esterno. Il valore aggiunto dell’applicazione di questo concetto è tutto potenziale di cui poter avvalersi, sta nella determinazione del gruppo ad avvantaggiarsene pienamente.