Il fattore Z

Non si può prevedere precisamente quando una crisi come una pandemia finirà, la storia non racconta di tempi brevi, ma di riprese forti ed importanti. Per cui, come si suol dire, chi la dura la vince.

Una ripartenza, passo dopo passo, scalino dopo scalino, verso nuovi orizzonti.

Primo Levi scrisse “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre!”. La storia si ripete, sempre.

In data 11 marzo 2020, l’Organizzazione mondiale della salute ha classificato il Covid-19 come pandemia. Il primo segnale di allerta era arrivato a fine dicembre a Wuhan, dove l’apparizione di più casi di polmonite avevano insospettito il corpo medico-sanitario cinese. Virus che in poco tempo ha oltrepassato frontiere contagiando migliaia di persone, e troncando vite in tutto il mondo.

Cicli e ricicli storici

La storia ci insegna che quando si tratta di pandemie, malattie virali e influenza, le frontiere nazionali e continentali non conoscono ragioni. Dalla peste nera al Covid-19, passando per l’influenza spagnola del 1918, la SARS, la ‘suina’ o l’‘aviaria’, queste malattie hanno e stanno segnando la storia dell’umanità con modifiche demografiche, umanitarie e sociali importanti. Diverse sono state le epidemie e pandemie che hanno messo a dura prova i sistemi sanitari, la responsabilità del singolo individuo e dei Governi, per cercare di contrastare gli esiti devastanti che queste malattie causano alla società.

Nonostante gli sforzi e gli studi scientifici, non è facile trovare un vaccino. L’igiene rimane la prima arma di prevenzione contro i virus, per proteggersi dai germi e dalla diffusione dei batteri.

Parlando di economia, crescita e ripresa occorre calcolare il fattore “tempo”, ma ci si rialza sempre. A dipendenza della durata di una pandemia, dove i Paesi sono costretti a misure di contenimento e di chiusura totale per proteggere la popolazione, si osserva una perturbazione ed un rallentamento significativo dell’economia. Le imprese e i commerci subiscono forti ripercussioni, al punto da faticare nella gestione della sopravvivenza dell’impresa stessa.
Colpite maggiormente sono le aziende che già prima della diffusione della malattia riportavano delle perdite, aziende in difficoltà ante la presa di misure eccezionali e straordinarie da parte dei Governi. Una ditta sana, che deve, per cause di forza maggiore, far fronte ad un avvenimento tale quale una pandemia, può essere preoccupata di quello che riserverà il futuro, ma se prima della crisi la situazione era positiva in termini di “fattore Z”, saranno maggiori le probabilità di rifiorire.

Cos’è il fattore Z?

Così denominato dall’economista statunitense Edward I. Altman nel 1968, si tratta di un modello sviluppato al fine di prevedere, attraverso un calcolo con un’accuratezza del 95%, quali società abbiano una probabilità di fallimento alta o bassa.
Il modello prende in conto diverse variabili, tra cui le vendite nette, le attività correnti, le passività totali, il valore di mercato, ecc.. La formula matematica rappresenta un indice di analisi sufficientemente attendibile, anche se non in maniera del 100%. Questo indice permette di calcolare la probabilità di fallimento di un’azienda già un anno prima che avvenga un evento imprevedibile e di grande impatto sociale ed economico come una pandemia.

Senza entrare nel dettaglio delle variabili matematiche e non di questo indice, di seguito, alcuni esempi che hanno confermato la validità del fattore Z:

  • Leclanché: azienda attiva nell’approvvigionamento di energia, fondata nel 1909 a Yverdon. Nel 2018, sull’azienda pesavano forti perdite, per un totale di 50 milioni di franchi con in controbilancio 20 milioni di capitale proprio. Nell’arco di un anno Leclanché perse la metà del suo valore.
  • Meyer Burger: azienda che divenne presto star dei mercati borsistici, attiva nel campo dell’energia solare, ebbe una fama che durò poco tempo. Nel 2012 dei competitors cinesi copiarono la tecnologia della Meyer Burger, e così, da quel momento l’azienda registrò continue perdite, fino ad arrivare al 2018 quando l’ammontare di queste raggiunse i 60 milioni. Un anno dopo l’azienda perse due terzi del suo valore di mercato.
  • Farmaceutica di Basilea: azienda specialista nel campo della ricerca contro il cancro, a causa della forte concorrenza da parte di gradi gruppi farmaceutici, annunciò innumerevoli perdite. Negli ultimi dodici mesi, il valore borsistico delle azioni di Basilea hanno perso il 17% del loro valore.
  • MCH Group: azienda specialista nell’organizzazione di fiere in tutta la Svizzera. Tra le tante, Baselworld e Art Basel. La natura delle attività di MCH Group è fortemente toccata dagli effetti del Covid-19, portando all’annullamento degli eventi e ad un mancato guadagno. Il prezzo delle azioni è passato da 29,60 franchi nel novembre 2019, a 18,50 franchi a marzo 2020.

L’aiuto da parte dello Stato che si è mosso al fine di garantire in primis la salute della popolazione e aiutare l’economia nel superare questo momento difficoltoso, è fondamentale per non lasciare cadere un Paese in uno stato d’insolvenza.
L’economia ha giocato la sua parte fino in fondo, accettando dolenti e amare restrizioni per il bene di tutti e di tutto un paese coinvolto nel vortice di una tempesta virologica inaspettata e sconosciuta. Le aziende hanno dimostrato un alto senso di responsabilità, accettando e sottoscrivendo le tante nuove regole e limitazioni, e durante il periodo di chiusura quasi totale delle attività, i servizi essenziali e le industrie autorizzate a lavorare non hanno conosciuto «riposo» attivandosi, riorganizzandosi e vigilando in primis sulla salute. I fatti hanno premiato questi sforzi promuovendole nell’operato per aver tutelato salute e mercato.

Non si può prevedere precisamente quando una crisi come una pandemia finirà, la storia non racconta di tempi brevi, ma di riprese forti ed importanti. Per cui, come si suol dire, chi la dura la vince.