Cc-Ti e OATI affrontano insieme la sfida del coronavirus

Comunicato stampa della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino e dell’Ordine degli Avvocati del Canton Ticino di venerdì 20 marzo 2020

In data odierna, 20.3.2020, la Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino (Cc-Ti) e l’Ordine degli Avvocati del Canton Ticino (OATI) hanno deciso di iniziare un dialogo strutturato al fine di affrontare in modo coordinato l’emergenza coronavirus.

A tale scopo procederanno ad individuare le criticità per le aziende dovute alla situazione attuale e proporre soluzioni a carattere giuridico nel breve e nel medio termine.

Concretamente si tratta di individuare strumenti legali già a disposizione, proporre la modifica di norme esistenti ma non adatte alla situazione straordinaria, e adottare nuove norme che possano aiutare le aziende in quest’emergenza così come sul medio termine.

Le persone di riferimento per le due organizzazioni sono l’Avv. Michele Rossi (Cc-Ti) e l’Avv. Sascha Schlub (OATI).

Le Camere di commercio e dell’industria svizzere unite nella lotta al Coronavirus

Comunicato stampa Cc-Ti/SHIK – Due ulteriori misure a sostegno dell’economia di tutti i Cantoni

La Camera di commercio e dell’industria del Cantone Ticino (Cc-Ti), di cui Direttore Luca Albertoni presiede l’Associazione delle Camere di commercio e dell’industria svizzere (SIHK-CCIS), si è fatta promotrice di alcune ulteriori misure auspicabili in tutti i Cantoni.

In questa fase è infatti fondamentale garantire la liquidità delle aziende ed evitare danni irreparabili.  Tutte le Camere di commercio e dell’industria svizzere, ognuna nelle rispettive regioni, chiederanno le seguenti misure, in aggiunta a quelle già anticipate dalla Cc-Ti negli scorsi giorni.

  • La creazione di aiuti speciali a fondo perso per la copertura dei costi fissi aziendali, che non sono coperti dalle indennità di lavoro ridotto e che non riguardano gli stipendi.
    Si tratta in particolare dei costi di locazione, di leasing, ipotecari, ecc.  Tale misura volge a completare le richieste da noi precedentemente formulate, di estendere le indennità per lavoro ridotto agli indipendenti.  

  • Le Camere di commercio e dell’industria svizzere invitano i rispettivi governi cantonali a sospendere con effetto immediato ogni procedura di incasso dello Stato. I governi cantonali sono invitati a chiedere alle autorità competenti di applicare tale principio anche per quanto riguarda l’AVS e l’IVA.
    Tutte le richieste di acconto pendenti devono essere annullate.

La Cc-Ti, quale associazione-mantello dell’economia ticinese, ribadisce e sostiene le varie proposte espresse in questi giorni dalle associazioni di categoria.

Invitiamo le aziende a utilizzare solo i canali d’informazione ufficiali delle autorità cantonali e federali, ed a osservare scrupolosamente i divieti vigenti e le limitazioni alle attività essenziali (di norma limitate a servizi di picchetto).

Sono al vaglio ulteriori misure che verranno presentate a breve.

Due misure immediate a sostegno dell’economia

Comunicato stampa di domenica 15.3.2020: per la Cc-Ti è urgente adottare ulteriori provvedimenti

La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino, che rappresenta tutti i settori economici dell’economia cantonale, segue ovviamente ora per ora la situazione che si è creata a causa del Coronavirus e opera sette giorni su sette a sostegno dei propri associati confrontati con una situazione straordinaria, imprevista e drammatica.

Considerate le prime misure disposte dal cantone relative alle attività economiche, esprimiamo soddisfazione per il fatto che alcune nostre proposte espresse negli scorsi giorni siano già state riprese, come la richiesta di estensione del lavoro ridotto agli indipendenti e la rinuncia agli interessi di mora sugli acconti fiscali.

Ovviamente la tutela della liquidità richiede ulteriori importanti misure a breve, medio e lungo termine. Tenuto conto delle misure entrate in vigore oggi che vietano per legittimi motivi sanitari talune attività economiche, a nostro giudizio è urgente adottare queste ulteriori misure:

  1. Presunzione del diritto alle indennità per lavoro ridotto per quelle attività chiuse per ordine statale. Ciò significa in concreto che per le aziende di questi settori le indennità devono essere erogate senza la necessità di presentare particolari documenti, perché l’azzeramento del fatturato è un fatto incontestabile che non necessita di ulteriori dimostrazioni.
  2. Preso atto che determinate attività dello Stato sono state giustamente sospese, chiediamo che le forze lavoro così liberate vengano destinate, previa adeguata e rapida formazione, all’evasione delle urgenti e crescenti pratiche a sostegno dell’economia.

La Cc-Ti sta elaborando ulteriori richieste più strutturate che verranno presentate nei prossimi giorni, d’intesa con tutti i settori economici.

Ringraziamo il Governo cantonale che, pur richiedendo sacrifici importanti, sta cercando di tutelare la salute pubblica e, congiuntamente e nel limite del possibile, l’economia. Ringraziamo al contempo tutte le imprenditrici e tutti gli imprenditori che in questo momento, con grande senso di responsabilità, stanno compiendo sforzi molto importanti nell’interesse della collettività.

Aziende ticinesi fra apprensione per la salute e conseguenze pesanti per l’economia

La Cc-Ti, associazione-mantello dell’economia ticinese, condivide le preoccupazioni della popolazione ticinese per i pericoli rappresentati dal Coronavirus

Le aziende ticinesi hanno finora dimostrato grande senso di responsabilità, seguendo in maniera molto scrupolosa le raccomandazioni delle autorità. Da un punto di vista economico, le conseguenze in alcuni ambiti sono già molto presenti e la durata dell’emergenza sanitaria avrà un peso decisivo per le proporzioni degli impatti negativi.

L’associazione-mantello dell’economia ticinese, in rappresentanza dei suoi 1’000 soci individuali e delle 45 associazioni di categoria, è vicina alla popolazione ticinese nella difficile battaglia che tutti insieme dobbiamo affrontare per limitare i danni alla salute causati dal Coronavirus. A torto si accusano spesso le aziende di scarsa sensibilità verso il territorio, dimenticando che esse sono composte da donne e uomini, cittadine e cittadini. In queste prime settimane difficili le aziende hanno del resto dimostrato grande senso di responsabilità, ponendo quale priorità la tutela della salute dei propri dipendenti e attuando, senza riserve, le misure raccomandate dalle autorità cantonali e federali. Cercando quindi di svolgere il ruolo di “sentinelle” sul territorio, in grado di individuare e isolare tempestivamente collaboratrici e collaboratori malati, contribuendo quindi in modo fattivo alla limitazione della diffusione del virus. Per quanto riguarda il personale, sono state prese molte misure per gestire la situazione (telelavoro laddove possibile, vacanze anticipate, ecc.), ma nessuno ha considerato l’ipotesi di licenziamenti a breve.

La Cc-Ti ha da subito assicurato alle autorità la massima disponibilità e collaborazione, mantenendo costantemente aperto il canale comunicativo con gli esperti e seguendone le istruzioni. La parte essenziale del nostro lavoro è quindi stata dedicata in queste prime fasi ai contatti con le autorità e alle relative informazioni puntuali, costanti e dirette agli associati, per contribuire a sostenere quanto indicato dalle persone competenti. Volutamente abbiamo limitato la comunicazione pubblica al di fuori della cerchia degli associati, per non creare confusione o tensioni con informazioni che nulla avrebbero aggiunto alle informazioni fondamentali e ufficiali per le cittadine e i cittadini.

Dopo questa prima difficile fase, è già il momento di segnalare le prime importanti difficoltà riscontrate dall’economia ticinese. Ciò non significa voler mettere l’economia davanti alla salute, come taluni superficiali osservatori tentano polemicamente di attribuire alle parti, ma semplicemente di sottolineare quelle che sono le situazioni economiche che necessitano di attenzione, perché in assenza di attività produttive diventa anche difficile poter finanziare le essenziali misure a protezione della salute di tutti.

Il delicatissimo momento colpisce un’economia che, pur essendo solida grazie a un tessuto economico diversificato, è toccata in maniera trasversale, nessun settore escluso. Il che è molto preoccupante e costituisce una realtà molto diversa dalle ultime grandi crisi conosciute, che di regola si concentravano su alcuni settori specifici.
Con effetti a cascata anche su altri, ma nessuna situazione recente è paragonabile a quella che stiamo affrontando in termini di velocità, intensità e, appunto, trasversalità. Questo elemento è gravissimo, perché si tratta di una crisi che può colpire e indebolire tutto il sistema economico, senza eccezioni e in poco tempo.
Oltretutto viene a inserirsi in un contesto in cui le aziende, come abbiamo ravvisato nella nostra inchiesta congiunturale presentata a gennaio, lavorano da tempo con margini ridotti a causa della forza del franco. La frenata degli investimenti era stata una prima conseguenza, ora questa situazione che colpisce con violenza e rapidità la liquidità delle aziende, con molte che si sono fermate da un giorno all’altro, ha già conseguenze economiche estremamente pesanti.

Preoccupa in modo particolare la situazione di molte piccole imprese legate ad esempio all’eventistica che, come nel resto della Svizzera, si trovano nell’impossibilità di lavorare a causa dell’annullamento improvviso di quasi tutte le manifestazioni pubbliche e private. Ma tutti i settori vivono momenti difficili o anche drammatici. Il commercio al dettaglio, escludendo gli alimentari che beneficiano parzialmente del recupero di molte clienti che non si recano più in Italia per gli acquisti, conosce un crollo quasi totale per la parte non legata ai beni di prima necessità. Le difficoltà per il settore turistico in senso ampio (alberghi, ristoranti, turismo in genere) è sotto gli occhi di tutti, come del resto tutto l’ampio ed eterogeneo mondo dei servizi. Per l’industria, che in alcuni ambiti aveva già subito un rallentamento nei mesi scorsi e che è molto confrontata al franco forte, la situazione è analogamente delicata. Per talune realtà aziendali, già colpite dalla situazione di stallo in Cina per questioni produttive e di approvvigionamento, si prospettano blocchi di attività totali dai costi elevatissimi, solo difficilmente recuperabili. Edilizia e artigianato sono di fatto fermi.

Facile comprendere che le conseguenze economiche sono già molto importanti e lo saranno ancora di più, tanto più lunga sarà la durata di questa situazione eccezionale. Quanto a possibili rimedi, non vi sono ricette facili perché, dal punto di vista della nostra associazione-mantello, occorrerebbe individuare soluzioni rapide, di facile attuazione e che valgano per tutti i settori (le rivendicazioni settoriali sono compito delle associazioni di categoria e da posticipare).
A parte l’indiscutibile utilità del lavoro ridotto, servono soprattutto sostegni alla liquidità, che è il problema più urgente. Le aziende si sono già mosse ad esempio per negoziare con le banche eventuali dilazioni per i pagamenti di leasing e ipoteche. Alla stessa stregua si devono ipotizzare dilazioni anche da parte dello Stato. Per quanto riguarda la realtà cantonale, chiediamo che vengano azzerati gli interessi passivi sul ritardato pagamento degli acconti fiscali e ci attiveremo presso la Confederazione affinché questo avvenga anche sugli acconti dell’AVS e i versamenti dell’IVA in caso di dilazioni di pagamento. Non certo per non ottemperare agli obblighi legali, ma per ovviare a una situazione eccezionale che richiede misure eccezionali. Concessioni che però non stravolgano il sistema, né costituiscano per lo Stato perdite troppo consistenti e che, con una certa tolleranza, possano essere introdotte in maniera rapida e senza troppe formalità.

Gli attuali sforzi di tutti serviranno a recuperare in fretta quello che abbiamo costruito in Ticino e che sarà una base  importante per una pronta ripartenza in un futuro che speriamo molto prossimo.

Mantenendo fede alla nostra linea di comunicare in maniera strutturata e solo quando vi sono informazioni da condividere, evitiamo di intasare i media con prese di posizione prive di contenuti a voi utili. Anche in questo modo pensiamo di contribuire a facilitare il già delicato lavoro delle Autorità, esposte a continue sollecitazioni in questo momento storico davvero arduo. Ribadiamo la nostra completa fiducia nell’operato delle Autorità cantonali e federali e l’invito a seguire solo i canali di informazione ufficiali.

Obiettivi ideali e realizzabili

Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti, parla della ‘Responsabilità sociale delle imprese’.

La Giornata dell’economia dedicata alla responsabilità sociale delle aziende (CSR) ha fornito spunti interessanti e che meritano di essere sviluppati e approfonditi, tenuto conto che le nostre aziende, nel contesto nazionale, hanno dimostrato di essere su buoni livelli e certamente non inferiori a quelli delle altre regioni elvetiche. Al di là degli obiettivi e dei buoni propositi, vi sono però alcuni trabocchetti da considerare per non vanificare i principi, spesso realizzati inconsapevolmente nell’attività quotidiana anche da chi sembra apparentemente essere distante dal tema. Prima insidia da evitare è l’abuso del termine “azienda virtuosa”, perché l’associazione mentale secondo cui gli altri sono automaticamente non virtuosi (e quindi magari criminali) incombe sempre. In altre parole, per essere concreti, è certamente virtuoso chi crea la palestra per i propri dipendenti, ma chi non ce l’ha non deve per forza essere “messo alla gogna”. Forse semplicemente perché non può o sarebbe una pratica che non rispecchia le esigenze della propria realtà, oppure pratica la CSR in altro modo, a esempio, banalmente, gestendo con grande flessibilità assenze dovute a visite mediche, impegni familiari, ecc..
È in questo contesto che il virtuoso non rende gli altri automaticamente poco virtuosi. Nello specifico il virtuoso applica misure che vanno oltre  gli obblighi legali, che meritano la meritata attenzione. Ma chi si “limita” a rispecchiare le leggi o sceglie altre misure meno spettacolari, spesso perché non ha altra scelta, deve avere il suo giusto riconoscimento. Anche l’applicazione pratica di talune misure spacciate genericamente come semplici e virtuosissime, va comunque valutata con attenzione. Prendiamo il telelavoro, osannato come panacea, per esempio, contro l’aumento del traffico. Tutto giusto, ma teniamo in considerazione che molte aziende non possono applicarlo. Difficile, malgrado il progresso tecnologico, immaginare il telelavoro per opere di cantiere, ma non per questo edilizia e artigianato sono nello specifico meno bravi di altri. Pure in ambiti in cui il telelavoro è tecnicamente fattibile, esso implica comunque molti risvolti, fra cui quelli giuridici concernenti la sicurezza degli impianti in azienda e al domicilio del dipendente, la protezione dei dati, il rilevamento del tempo di lavoro e delle pause, ecc.. Aspetti questi sempre da regolamentare e che non sono sempre di facile applicazione. Questo non significa che non si possa fare, ma è bene essere coscienti della “realtà” dietro a talune ricette che sembrano semplici. Soprattutto quando si parla di responsabilità sociale e la tentazione di dividere in buoni e cattivi è
particolarmente allettante.

La Cc-Ti dedica un evento al tema della CSR, il prossimo 2 marzo a Mendrisio. Informazioni e iscrizioni direttamente sul nostro sito.

Dati attesi e non disattesi!

Vi proponiamo l’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti sul tema CSR – aziende ticinesi.

Sono spesso coinvolto nelle riflessioni di persone che mi comunicano la loro impressione di aziende non attente o non rispettose del nostro territorio, pensando che il solo progetto imprenditoriale oggigiorno sia finalizzato unicamente e sempre alla resa finanziaria. La vita di ogni settore, congiuntamente a quella dei propri attori, può incorrere, a volte loro malgrado, in comportamenti non costruttivi, non corretti e quindi anche sanzionabili. Ma per la maggior parte, questo non è ciò che rileviamo.

Più utile e propositivo sarebbe, quindi, ravvisare le tante condotte (sono la maggioranza) davvero degne di nota. Non è un caso che dai dati raccolti unitamente alle altre Camere di commercio e dell’industria svizzere, le aziende ticinesi sono ben posizionate in termini di responsabilità sociale delle aziende (CSR). Questo potrebbe sorprendere coloro che, ma solo loro, non sono stati attenti a quanto accaduto nel tempo nelle nostre realtà. È incontestabile riconoscere quanto viene già fatto nell’ottica delle misure che, nel contesto dell’attività economica, hanno un impatto sociale e ambientale di rilievo. In un quadro oggettivamente difficile, contraddistinto da un contesto internazionale nervoso, da protezionismi crescenti, da cambiamenti epocali dei modelli di business imposti soprattutto da una rapidissima evoluzione tecnologica, il fatto che gli investimenti legati alla CSR siano su livelli di assoluto rispetto è un risultato accertato e assolutamente positivo.

Non dimentichiamo il fatto che, da un punto di vista generale, assistiamo a una certa contrazione degli investimenti, legati alle difficoltà summenzionate, ma anche, inevitabilmente, all’erosione dei margini di utile in atto da diversi anni e che regolarmente abbiamo segnalato. Questa diminuzione ha ridotto i margini d’azione aziendali, ma ciò non ha impedito alle imprese di applicarsi nei propri compiti e adoperarsi anche e soprattutto nell’ambito ambientale. È comprensibile che per le aziende con dimensioni più grandi, i mezzi a disposizione siano maggiori e le possibilità di disporre misure di tipo ambientale o sociale abbiano un’opportunità di realizzazione più concreta. Dobbiamo però stare molto attenti a non dimenticare l’importanza del ruolo delle piccole e medie imprese. Queste realtà imprenditoriali contribuiscono attivamente con misure, magari meno spettacolari ma altrettanto importanti, al benessere del territorio offrendo, ad esempio, “semplicemente” posti di lavoro in tante località, anche discoste, del nostro Cantone.

Il dibattito attorno al tema della CSR è certamente molto importante e legittimo quando volge a tenere alta l’attenzione e la sensibilità sul tema. È un argomento molto differenziato che offre spunti e soluzioni davvero puntuali per ogni esigenza. Rinchiuderlo in una sola definizione lo svilisce e può accadere, senza ragione, di lavorare d’accetta (come purtroppo è spesso costume fare) criminalizzando chi magari, sul piano teorico, non rientra esattamente in taluni schemi (per altro sovente molto soggettivi).

Spesso, come diceva Voltaire, “il meglio è nemico del bene”, per cui l’illusoria ricerca della perfezione per tutti e a ogni costo può causare danni maggiori dei presunti mali da curare. Ogni passo di ogni singolo per il bene comune è da valorizzare al massimo, specialmente in un’epoca dove è già molto difficoltoso “camminare”.

La Cc-Ti incontra la Console generale svizzera a Milano, Sabrina Dellafior

La Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino, insieme ad altri rappresentanti del mondo economico cantonale, ha ricevuto oggi la Console generale svizzera a Milano.

Da sin. Chiara Crivelli, Michele Rossi, Sabrina Dellafior e Sandra Caluori .

Sabrina Dellafior, è succeduta a Félix Baumann lo scorso agosto 2019. La Console era accompagnata dalla Console generale aggiunta, Sandra Caluori. L’incontro conoscitivo ha permesso la discussione su temi d’attualità d’interesse reciproco per le relazioni economiche tra il Ticino e il Nord Italia. All’incontro hanno partecipato l’Associazione Bancaria Ticinese (ABT), l’Associazione Industrie Ticinesi (AITI), la Camera Ticinese Economia Fondiaria (CATEF), l’Associazione dei grandi distributori ticinesi (DISTI), economiesuisse, la Società Svizzera Impresari Costruttori Sezione Ticino (SSIC TI) e l’Unione svizzera degli imprenditori (USI). La Console Dellafior ha sottolineato l’importanza della comunicazione e dei rapporti tra il Consolato svizzero e gli operatori economici ticinesi.

Prodotti svizzeri e investimenti stranieri: quale equilibrio?

Quando si parla di “Swissness”o “Swiss Made” (sulle differenze tecniche fra queste espressioni non ci dilunghiamo in questa sede) inevitabilmente si pensa soprattutto ai prodotti elvetici conosciuti in tutto il mondo e che sono garanti di qualità.

Non solo per il prodotto stesso, ma anche e soprattutto per quanto vi è alla base, in termini di capacità imprenditoriale, serietà, qualità, puntualità, sensibilità sociale, ecc… È il caso di alcuni marchi storici, come Ricola, Läderach e Victorinox, saldamente in mano svizzera, ma vale anche per prodotti meno noti al pubblico, ma fortemente legati al nostro sistema elvetico, come componenti industriali che vengono inseriti in prodotti finali. Ad esempio i motori che hanno permesso le missioni americane alla volta di Marte, grazie a sofisticati meccanismi che hanno elementi fondamentali prodotti proprio in Ticino.

Poi vi è tutta una serie di marchi storici elvetici che, forse molti lo ignorano, sono passati in mani estere, senza però perdere le peculiarità elvetiche, perché le imprese internazionali si guardano bene dal recidere il legame con il nostro paese, identificazione ed espressione di qualità. La mitica Ovomaltina è in mani britanniche, l’altrettanto mitico Toblerone appartiene a un’azienda americana, mentre la Feldschlösschen è danese e la Valser è di proprietà della Coca-Cola. Senza dimenticare un pezzo di cultura svizzera come l’Aromat che è di proprietà olandese. È cambiato qualcosa per il godimento di questi prodotti in termini di qualità? Chiaramente no. Il fatto è che all’estero riconoscono la qualità dei nostri prodotti e del nostro modo di lavorare e ovviamente non hanno alcun interesse commerciale a ribaltare questa realtà.
Tenendo conto di questo contesto è pertanto giusto chiedersi se si giustificano controlli sugli investimenti esteri a tutela dell’identità svizzera?

Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le richieste politiche per l’introduzione di controlli a tappeto di questo genere. Da un’interessante analisi condotta da AvenirSuisse emerge chiaramente che le imprese elvetiche non devono essere ulteriormente protette da acquisizioni da parte di ditte estere. Il nodo di queste situazioni sembra infatti essere non tanto la minaccia della sicurezza nazionale, quanto piuttosto la limitazione della concorrenza, per la quale si ritiene, vi siano però già strumenti legali utilizzabili.

In un contesto generale caratterizzato dal protezionismo, anche gli investimenti diretti esteri sono visti con sempre maggiore scetticismo, per cui, in nome della sicurezza nazionale si vorrebbe prevedere che le aziende elvetiche, prima di poter decidere dei loro destini, debbano dipendere dalle decisioni di autorità preposte a questa vigilanza.

Inutile nascondersi, il timore principale è quello di finire vittime della furia acquisitiva della Cina. Finora però risulta che gli investimenti diretti nelle nostre aziende sono stati operati dall’Europa occidentale (60%), dagli Stati Uniti e dal Canada (24%), mentre dall’Asia è giunto il 12% degli investimenti, di cui solo il 3% dalla Cina. In altre cifre, nel nostro Paese gli investimenti diretti esteri ammontano attualmente a diversi miliardi di franchi, pari a circa 450’000 posti di lavoro. Una realtà non da poco. E nello stesso contesto non va dimenticato il movimento inverso degli investimenti, cioè dalla Svizzera verso l’estero, perché la Svizzera esporta non soltanto beni industriali e servizi, ma anche importanti quantità di capitali, soprattutto sotto forma di investimenti diretti. Secondo la Banca Nazionale Svizzera, il valore statistico degli investimenti diretti, realizzati da operatori residenti in Svizzera in sedi estere di produzione, distribuzione e ricerca nel solo 2018 è ammontato a circa 61 miliardi di franchi, prevalentemente in Europa. Non si tratta soltanto di grandi gruppi: tra questi operatori vi sono anche diverse migliaia di piccole e medie imprese (PMI), che complessivamente occupano quasi 2 milioni di persone all’estero. Numeri che contribuiscono alla crescita delle nostre aziende e quindi di grande beneficio per il nostro territorio.

Introdurre ulteriori controlli sugli investimenti esteri è di un’efficacia dubbia, in termini di complessità e tempistica di intervento. Ad esempio fra il 2016 e il 2017 in Svizzera avrebbero dovuto essere controllate circa 180 acquisizioni estere, con un evidente freno alla dinamica dell’economia.

Ribadiamo che sono già previsti solidi elementi di salvaguardia, visto che lo Stato può in qualsiasi momento far valere un diritto di espropriazione per ragioni di sicurezza nazionale. Non dimentichiamo le leggi puntuali come la LAFE – Legge federale sull’acquisto di fondi da parte di persone all’estero (comunemente chiamata Lex Koller) che, per il suo carattere restrittivo, ha già pochi eguali sul piano internazionale.

Anche gli investimenti diretti esteri sono componenti essenziali per una concreta costruzione del nostro benessere. Molto spesso questi investimenti dall’estero irrobustiscono aziende svizzere innovative, essi contribuiscono in larga misura a permettere un incremento della produttività, dell’occupazione e, non da ultimo, permettono di consolidare il gettito fiscale. Considerato che il flusso di capitali, tecnologie e imprenditorialità al di là dei confini nazionali e un elemento imprescindibile del nostro ordinamento economico, bisognerebbe favorire e non reprimere, con la dovuta cautela che ci appartiene, l’apertura del nostro Paese verso gli investitori stranieri.

La Svizzera figura al quarto posto come piazza d’investimento dei Paesi dell’OCSE. I pericoli conseguenti allo spionaggio industriale e alla violazione della proprietà intellettuale non possono ovviamente essere ignorati o sottovalutati, ma non vanno risolti con un blocco degli investimenti. La nazionalità degli investitori è inoltre un fattore troppo “impreciso” di minaccia, per cui regole più severe di quelle già oggi esistenti, almeno per il momento, non si giustificano.

Aziende caute, ma propositive

Vi proponiamo un’intervista con il Presidente Cc-Ti  Glauco Martinetti. 

Dall’inchiesta congiunturale Cc-Ti emergono dati sostanzialmente positivi. La flessione negli investimenti però la preoccupa?

Con una battuta potrei dire che finalmente possiamo dare qualche indicazione non positiva, visto che siamo spesso accusati, in maniera tendenziosa e ingenerosa, di propagandare solo “false” notizie positive. Battute a parte, l’indicatore sugli investimenti va sicuramente osservato con attenzione. È indubbio che le tensioni internazionali e le modifiche strutturali in atto anche in Svizzera, pensiamo per esempio alle riforme fiscali, hanno forse frenato un po’ gli investimenti. Il timore è però che fra le cause principali vi sia l’erosione dei margini di utile delle aziende, in atto da diversi anni e che abbiamo sempre rilevato. Ora potrebbero esservi effetti come quello di meno mezzi a disposizione da reinvestire nelle attività aziendali, con rischio di perdita di competitività e quindi con effetti negativi anche sull’occupazione.

Come rimediare a questo rischio?

È molto difficile, perché l’erosione dei margini è un fenomeno che ha caratteristiche molto diverse per i vari settori. Il commercio al dettaglio soffre per motivi diversi rispetto all’industria, così come l’artigianato subisce pressioni che non sono direttamente paragonabili con quelle alle quali sono esposti i servizi. Vi sono quindi da una parte elementi derivanti dal contesto internazionale sui quali non abbiamo alcuna influenza,
mentre sul piano interno, non è sempre facile ipotizzare misure che possano andare a favore di tutti i settori indistintamente. Credo che la  migliore ricetta sia sostanzialmente quella tradizionale della Svizzera, cioè favorire nel miglior modo possibile la libertà imprenditoriale.

La sorprendono i dati sulla responsabilità sociale d’impresa (CSR)?

No, possono sorprendere solo chi ritiene, sbagliando, che le imprese non hanno alcuna sensibilità verso il territorio. I dati dicono chiaramente  altro e l’analisi effettuata dalle ricercatrici della SUPSI attesta che siamo su buoni livelli. È evidente che le aziende più grandi hanno maggiori mezzi a disposizione per disporre misure con impatto ambientale e sociale, ma attenzione a non sottovalutare l’importanza del ruolo delle  piccole imprese. Ad esempio, esse contribuiscono spesso con misure meno spettacolari ma altrettanto importanti al benessere del territorio, offrendo “semplicemente” posti di lavoro. Che è poi comunque la prima e principale missione delle aziende. Quindi bene la CSR, ma attenzione alla sua definizione ed evitiamo di criminalizzare chi apparentemente non rientra esattamente in taluni schemi. 

La Cc-Ti raccomanda di respingere l’iniziativa “più abitazioni a prezzi accessibili”

La nostra presa di posizione sulla votazione federale del 9 febbraio 2020.

L’iniziativa propone di introdurre una quota fissa ed obbligatoria del 10% di costruzioni di pubblica utilità in tutta la Svizzera. Anche se il titolo dell’iniziativa è apparentemente e teoricamente allettante, la proposta in votazione cela un approccio molto pericoloso e contrario al nostro collaudato sistema svizzero, che poggia invece sul pragmatismo e sulla sussidiarietà.
Una percentuale di costruzioni di pubblica utilità fissa ed identica in tutto il paese ha infatti poco senso, tenuto conto che la situazione a Zurigo o a Ginevra non è minimamente paragonabile a quella ticinese o ad altre zone nelle quali gli spazi sfitti hanno ormai raggiunto un livello preoccupante.

Non va inoltre dimenticato che nessun investitore privato avrà alcun interesse a realizzare questo tipo di alloggi, la cui costruzione e gestione verrebbero quindi integralmente demandate agli enti pubblici. Ciò provocherebbe un importante aumento della burocrazia e delle spese pubbliche. Saremo quindi tutti noi a dover sopportare l’onere finanziario (stimato a 120 milioni di franchi all’anno) di questa proposta che, come detto, non tiene conto delle reali necessità territoriali e non contribuisce quindi a risolvere alcun problema.
Infine occorre sottolineare come questa iniziativa rischia di bloccare ogni iniziativa privata laddove la quota del 10% di costruzioni di pubblica utilità non sarebbe ancora raggiunta. Si tratta quindi di un’ingerenza eccessiva dell’ente pubblico che penalizzerebbe in modo intollerabile l’attività privata.

Per queste ragioni raccomandiamo di respingere l’iniziativa “più abitazioni a prezzi accessibili”.

Maggiori informazioni sul sito della campagna “No all’iniziativa più abitazioni a prezzi accessibili”