Proposte strutturali per il Consiglio di Stato

Il Canton Ticino sta affrontando la più impegnativa crisi sanitaria della nostra generazione, crisi che però rischia di non essere del tutto alle nostre spalle, soprattutto a livello economico. La Cc-Ti ha condiviso con le altre parti sociali e con l’ente pubblico questa fase iniziale molto critica, reagendo in modo compatto all’imprevedibile evoluzione della situazione da marzo in poi.

In quest’ottica, lavorando insieme, è stato possibile dare risposte rapide, pragmatiche, condivise e modulate in base alle sempre nuove forme che questa insidiosa sfida assumeva, giorno dopo giorno. Il lavoro di squadra ha permesso di andare avanti, senza polemiche di parte, guardando tutti insieme al bene comune del nostro Cantone.

Terminata la fase acuta della crisi abbiamo immediatamente coinvolto il nostro Consiglio economico, gremio composto da ben 44 associazioni di categoria, in un esercizio coordinato per individuare e discutere le criticità della ripartenza dopo questo inaspettato terremoto. Su tali basi sono state individuate delle proposte strutturali che abbiamo sottoposto al Consiglio di Stato in tre lettere distinte.

Innanzitutto, come entrata in materia abbiamo ribadito al governo ticinese che il partenariato positivamente messo in atto durante la fase iniziale della crisi va continuato, nel senso che l’amministrazione pubblica, riconoscendo la particolare situazione in cui versa l’economia cantonale, abbandoni posizioni di incomprensibile rigidità in talune procedure e assicuri per contro un maggior sostegno alle aziende e un’applicazione delle norme che tenga conto dell’evidente buon senso attualmente necessario. Economia e amministrazione pubblica non devono per forza essere in contrapposizione. Anzi, mai come oggi ci rendiamo conto che sono entrambe sulla proverbiale “stessa barca”.

In secondo luogo il dialogo continuo durato circa un mese con il Consiglio economico ha permesso di individuare una serie di misure fiscali, anch’esse portate a conoscenza del Consiglio di Stato. Tra le proposte avanzate troviamo l’aumento della percentuale per gli ammortamenti accelerati per gli anni 2020 e 2021, la defiscalizzazione investimenti produttivi, la sospensione dell’imposta di bollo cantonale e sostegno all’iniziativa che ne chiede l’abolizione a livello federale, l’introduzione di accantonamenti Covid per l’anno fiscale 2019, e altre ancora.

Infine, nella terza lettera inviata al Consiglio di Stato sono state evidenziate misure di natura non fiscale ma comunque di grande importanza per il nostro territorio.  Le principali proposte messe sul tavolo sono state il potenziamento delle reti telematiche (5G) per favorire telelavoro e un’amministrazione efficiente in tempo di crisi, l’introduzione di incentivi per gli approvvigionamenti indigeni, il sostegno alle misure già chieste dalla Società svizzera degli impresari costruttori per l’edilizia cantonale, l’avvio di una profonda riflessione sul tema degli spazi commerciali che in futuro rischiano di rimanere vuoti a causa del telelavoro, una maggior flessibilità degli orari di lavoro, come peraltro chiesto dalla nostra Vicepresidente Cristina Maderni con la mozione parlamentare del 18.05.2020.

“Per salvare i posti di lavoro occorre flessibilità”, un maggior sostegno ai lavoratori indipendenti e alle persone che occupano una posizione analoga a quella del datore di lavoro, l’avvio di una vera promozione territoriale per attrarre nuove aziende e residenti nel nostro Cantone in un momento in cui la Svizzera a livello internazionale ha saputo dimostrare il suo valore agli occhi di tutti, e, non da ultimo, la pratica di una vera cultura dell’accoglienza nei confronti di tali persone, senza la quale i nostri tentativi di promozione rischiano purtroppo di rimanere lettera morta.

L’esercizio condotto con il Consiglio economico della Cc-Ti coordinato dall’Avv. Michele Rossi, ha permesso in circa un mese di giungere alla formulazione di proposte molto concrete che, si spera, raccolgano la dovuta attenzione da parte del Governo cantonale con il quale è stato pure chiesto un incontro.

Aperture e chiusure, un equilibrio

L’opinione del Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino Luca Albertoni

Si può definire eterno il dilemma che accompagna le politiche in ambito economico (ma non solo), fra tentazioni protezionistiche, legittima difesa degli interessi nazionali o locali e necessaria apertura verso i mercati esteri per disporre dei beni, dei servizi e della manodopera indispensabile al funzionamento del sistema di ogni Paese. Tutte le posizioni sono decisamente legittime e a volte è il mix delle stesse a creare le varianti più interessanti, sebbene, sul lungo termine, sia quasi sempre l’apertura a delineare i migliori risultati. Lo dicono i fatti e i numeri. Anche se a volte si ha l’impressione che la chiusura possa rappresentare la soluzione preferibile, spesso si tratta di un’illusione di breve durata. Come sempre, è questione di equilibrio.

Un equilibrio essenziale quando si tratta di prendere decisioni importanti che devono tenere conto dell’interesse generale, delle persone e delle cose e lungimiranti, anche quando nell’immediato il particolarismo vorrebbe prevalere e appare più allettante.

Un equilibrio che la Svizzera e il Ticino hanno dimostrato di avere anche durante gli ultimi difficili mesi. Non tutto è filato liscio e perfetto, ma come avrebbe potuto in una situazione così estrema e nuova in tutti i suoi aspetti? L’economia ha giocato la sua parte fino in fondo, accettando dolenti e amare restrizioni per il bene di tutti e di tutto un paese coinvolto nel vortice di una tempesta virologica inaspettata e sconosciuta. Le aziende hanno dimostrato un alto senso di responsabilità, accettando e sottoscrivendo le tante nuove regole e limitazioni, e durante il periodo di chiusura quasi totale delle attività, i servizi essenziali e le industrie autorizzate a lavorare non hanno conosciuto «riposo» attivandosi, riorganizzandosi e vigilando in primis sulla salute. I fatti hanno premiato questi sforzi promuovendole nell’operato per aver tutelato salute e mercato.

La nuova consapevolezza oggi di questo «scomodo compagno di viaggio» orienta le nostre realtà aziendali a lavorare più serenamente e con strumenti più efficaci per scongiurare qualsiasi richiusura.

I fatti recenti dimostrerebbero che sono gli assembramenti casuali che restano problematici e proprio su questi occorre focalizzare maggiormente l’attenzione. Abbiamo maturato esperienze importanti che ci hanno dato tutte le indicazioni utili (igiene, distanza sociale, protezioni, tracciabilità, ecc.) per intervenire in futuro, solo laddove necessario, senza imporre un blocco a tutti e tutto. L’economia ha dimostrato di avere coscienza, mezzi e strumenti per continuare il proprio buon lavoro a favore di tutti. Anche qui una questione di equilibrio.

Importante riconoscimento del lavoro delle Camere di commercio e dell’industria (CCI) svizzere

Le CCI svizzere (Ticino compreso) nel sistema di accreditamento dei certificati d’origine (CO) gestito dalla Federazione mondiale delle Camere (WCF).

Lo scorso 19 maggio l’International Chamber of Commerce di Parigi (ICC), ha ammesso tutte le Camere svizzere (compresa la Cc-Ti) come membri a pieno titolo del sistema di accreditamento dei certificati d’origine, rilasciati dalle Camere in tutto il mondo. Il sistema svizzero è particolarmente apprezzato, tanto da essere considerato “benchmark” a livello mondiale in termini di qualità e rapidità dell’esame e del rilascio dei relativi documenti, essenziali per le aziende esportatrici.

Questa certificazione ottenuta rappresenta un ulteriore sicurezza per le banche, le autorità doganali e gli operatori economici; i certificati d’origine vengono rilasciati tenendo conto dei più recenti e rigorosi standard di qualità, basati sulle direttive dei certificati internazionali emanati dall’ICC e dalla World Chambers’ Federation (WCF).

Crediti vs Debiti

L’opinione del Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino Luca Albertoni

Fra le molte misure disposte in particolare dalla Confederazione per tutelare il funzionamento del sistema economico elvetico, fortemente colpito dal Coronavirus, una delle più straordinarie è senza dubbio quella che ha permesso un accesso rapidissimo ai crediti garantiti dalla Confederazione. 40 miliardi di franchi per scongiurare il pericolo di un grave blocco delle liquidità aziendali. Finora ne sono stati utilizzati circa 15 miliardi, il che ha portato taluni osservatori superficiali a concludere in modo frettoloso che, tutto sommato, la crisi economica non è poi così grave, visto che non sono stati richiesti tutti i miliardi. Comunque 15 miliardi di franchi non sono noccioline, per prima cosa, e la realtà è ben più complessa di quanto potrebbe apparire a prima vista.

In effetti, i motivi che hanno fatto sì che le aziende svizzere non abbiano espresso richieste maggiori sono molteplici. Avantutto l’apprezzato orientamento alla prudenza della stragrande maggioranza degli imprenditori, poco propensi a indebitarsi e tendenzialmente portati a “stringere i denti”, facendo capo in primo luogo alle proprie riserve. E questo è quello che sta accadendo in questo momento. Scelta più che comprensibile e che evita fondatamente di esporsi a debiti. Purtroppo sussiste evidentemente l’insidia che, in taluni casi, questo atteggiamento prudente limiterà la capacità d’investimento futura e quindi una certa competitività. Non esiste una ricetta vincente per tutte le realtà; in un sistema “imperfetto”, ogni imprenditore farà le sue valutazioni sulla base dei parametri della propria azienda, calzanti la propria realtà.
Il livello generalmente buono di auto-finanziamento delle aziende svizzere e ticinesi ha determinato questo contesto determinandone sicuramente la portata e le mosse. Questo dato emerge regolarmente da anni dalla nostra puntuale inchiesta congiunturale, malgrado una certa flessione registrata quest’anno. I livelli restano comunque di tutto rispetto, anche comparati all’auto-finanziamento delle aziende in altri paesi europei.

L’orientamento dimostrato verso i crediti legati al Coronavirus conferma che molte aziende, pur nelle gravi e innegabili difficoltà di questa situazione quasi surreale, hanno trovato propri margini di manovra. Certo non infiniti e comunque, forse, non sufficienti per mettersi per sempre al riparo dalle inevitabili conseguenze negative che potranno presentarsi. È innegabile che in questo contesto abbiano aiutato anche le altre misure messe a disposizione, come ad esempio il rafforzamento del lavoro ridotto che ha permesso di mantenere tanti posti di lavoro, affrontando al contempo i costi urgenti alla voce “stipendi” per le aziende. Infine, la mancata corsa sfrenata alla concessione di crediti garantiti dalla Confederazione ha anche una spiegazione legata alle diverse esigenze dei settori economici. Tutti colpiti, quasi senza distinzione, ma in modi e tempi differenti. Fra chi è stato obbligato a chiudere, chi ha scelto una chiusura più o meno volontaria e chi invece ha continuato a lavorare, seppure a ritmo ridotto, vi sono spesso grandi differenze. Non tanto o comunque non solo per dimensioni aziendali, ma proprio per ramo di attività. Proprio questa differenziazione presente sul nostro territorio ha fatto in modo che le esigenze e i mezzi di “reazione” non fossero omogenei e pericolanti allo stesso modo. Swissmem ha sottolineato come i settori industriali che essa rappresenta temono di dover affrontare grandi difficoltà soprattutto a partire dal secondo semestre del 2020 e nel 2021. Questo per vari motivi, in primis ovviamente l’andamento dei mercati più importanti rappresentati da paesi che probabilmente faranno più fatica a ripartire.

È quindi legittimo ritenere che vi potrebbe essere una seconda ondata di richieste di credito, quando altri settori rispetto a quelli chiusi per decreto andranno a loro volta in difficoltà. Non a caso, vi è la legittima attesa che il termine per chiedere la concessione di crediti Coronavirus venga spostato dal 31 luglio 2020 almeno fino a dicembre 2020. Se vi sono legittime ragioni di essere soddisfatti della capacità reattiva delle aziende svizzere e ticinesi, l’attenzione deve restare alta, vigile e propositiva. Ci auguriamo che il peggio stia oltrepassando il nostro quotidiano, ma “prudenza” resta la parola d’ordine per la salute e gli affari.

Certificazione eduQua:2012

La Cc-Ti ha ottenuto il rinnovo della certificazione eduQua per la propria formazione continua.

Nell’ambito dell’erogazione di formazione puntuale e di lunga durata con la Scuola manageriale, alla Cc-Ti è stata rinnovata la certificazione eduQua:2012.
Abbiamo pertanto ricevuto un attestato dalla SQS – Associazione Svizzera per Sistemi di Qualità e di Management di Berna, il quale sancisce che la Cc-Ti dispone di un sistema di gestione conforme ai requisiti della base normativa eduQua:2012.

Una conferma per la nostra associazione, che ottiene il ‘marchio’ di qualità della formazione continua.

eduQua è il primo label di qualità fatto su misura per le istituzioni che operano nel campo della formazione continua. Questa certificazione promuove la trasparenza e il confronto nella formazione continua e contribuisce a garantire la qualità nelle offerte di formazione continua in Svizzera.


NUOVA EDIZIONE DELLA SCUOLA MANAGERIALE Cc-Ti 2020
Dal 7 settembre 2020 (data da confermare) partirà la nuova edizione del corso di lunga durata “Specialista della gestione PMI” con attestato federale. A dipendenza della situazione sanitaria verrà valutata la modalità dei corsi (virtuale e/o in aula), a tutela dei partecipanti. Maggiori dettagli: Gianluca Pagani, pagani@cc-ti.ch

Tutti assieme facciamo un grande lavoro

Come imprenditore e Presidente della Camera di commercio e dell’industria Glauco Martinetti ha vissuto molto intensamente questi mesi, con un carico di lavoro e di responsabilità più accentuato.

«Da un giorno all’altro è successo quello che nessuno era disposto a credere – spiega-. Con la
Cc-Ti abbiamo dato un notevole supporto alle aziende e agli imprenditori che logicamente erano smarriti. Nel contempo abbiamo avuto contatti molto stretti con le autorità politiche, le associazioni di categoria e i sindacati. Desidero, perciò, ringraziare tutti e in particolare i collaboratori della Cc-Ti, le autorità cantonali e federali e ben inteso tutte le nostre imprese. Abbiamo fatto un gran lavoro assieme: GRAZIE».

Da Presidente del Governo, il Direttore del DFE Christian Vitta ha invitato tutti ad un ‘Patto di Paese’ per superare l’emergenza economica. Ci sono oggi le premesse per un impegno comune delle parti sociali, della politica e della società civile in questa direzione?

«In questi mesi di emergenza si è visto chiaramente come nella crisi tutti sono molto più coesi e orientati su un unico obiettivo e, difatti, la bagarre politica e partitica si è quasi annullata. Basteranno due settimane di ‘calma’ per riprendere la solita litigiosità ticinese: le brutte abitudini sono le prime a tornare».

Quali sono attualmente e quali saranno anche nei mesi a venire le difficoltà maggiori per i nostri imprenditori?

«Il problema principale sarà la ripresa dei consumi. Riprendere le attività produttive non è e non sarà il problema ma senza consumi sarà inutile. La fiducia dei consumatori è al minimo storico, c’è un’impennata della disoccupazione e del lavoro ridotto, quindi minor disponibilità di spesa, gli investimenti sono in caduta libera.Ci aspettano un paio d’anni impegnativi».

Ripetutamente, e non da sola, la Cc-Ti ha insistito sulla necessità di aiuti a fondo perso per l’economia, una proposta che ha registrato parecchi consensi ma non ancora decisioni concrete. Pensa che si riuscirà ad ottenere qualcosa?

«Credo che dipenda molto da quanto velocemente la domanda e quindi l’economia si riprenderanno. Far indebitare le aziende può aiutare a corto termine ma non a medio termine: è molto pericoloso. Credo che il Consiglio federale ne sia cosciente ma non possa oggi ancora decidere un parziale condono di questi crediti. Noi non molliamo la presa e continueremo a chiederlo».

Si è avviata la Fase 2 e con la riapertura ci potrebbe essere il rischio di un ritorno del contagio. Non teme che, in questo malaugurato caso, si possa rimproverare al mondo economico una fretta inopportuna per aver sollecitato la ripresa delle attività produttive?

«L’aumento dei contagi è sicuro. Penso però che i contagi non avverranno sul posto di lavoro che è molto controllato, monitorato e protetto. Credo che facilmente la società tornerà a contatti più ravvicinati (il genere umano è un animale sociale) ed è in quel momento che avverranno i contagi. Morire di fame sani non può però essere la soluzione».

Orientamento incerto

L’opinione del Direttore della Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino Luca Albertoni

Impossibile a oggi fornire dati certi e attendibili sulle conseguenze economiche a breve, medio e lungo termine del ciclone Coronavirus che ci ha investiti. Ci vorrà molto tempo per stilare bilanci e comprendere quali impatti strutturali e non solo congiunturali vi sono stati e vi saranno. Alcune indicazioni interessanti emergono dai colleghi della Camera di commercio e dell’industria vodese, i cui membri, nel contesto di un sondaggio, hanno segnalato quasi all’unisono un impatto forte praticamente trasversale a tutti i settori economici. Infatti, il 90% delle imprese associate alla Camera vodese si attendono forti impatti negativi sulla liquidità nei prossimi tre mesi, anche dopo la ripresa dell’attività. Quattro imprese su cinque si aspettano effetti negativi anche sugli impieghi a tempo pieno, soprattutto se la crisi dovesse durare tre mesi o più.

Calo della domanda, perdita di clienti, licenziamenti, fallimenti, problemi di approvvigionamento sono i timori condivisi da praticamente tutte le imprese, fatto non sorprendente, tenendo conto degli effetti a catena dati da un’economia in cui quasi tutti i settori sono in qualche modo legati fra di loro. Se ad esempio una grande azienda limita le proprie attività, patiscono i fornitori diretti, ma anche gli artigiani come gli elettricisti, gli idraulici o i falegnami, oppure gli esercizi pubblici di ristorazione, ecc.. In questo senso è sempre stato importante preservare nel limite del possibile, la filiera delle nostre imprese. I dati vodesi sono ovviamente da prendere con le pinze, perché comunque sommari, senza precedenti di paragone, ma costituiscono comunque un indicatore di una certa rilevanza anche per il Ticino, visto che l’inchiesta congiunturale che conduciamo ogni anno presso i nostri associati ricalca praticamente sempre le tendenze generali del canton Vaud in particolare.

Speriamo tutti ovviamente di essere smentiti dai fatti e lo verificheremo nelle prossime settimane o mesi. Non è escluso, fortunatamente, che il buon andamento generale dell’economia rilevato negli scorsi anni e ad esempio il grado di autofinanziamento delle aziende, possano permetterci di limitare qualche danno. Per finire su una nota di ottimismo, i primi rilevamenti effettuati dai colleghi vodesi indicano comunque che una buona metà delle aziende confida che questa situazione così estrema acceleri i processi di trasformazione digitale e dei modelli di business, stimoli la creatività e permetta di eliminare talune procedure burocratiche eccessivamente penalizzanti. Gli imprenditori sono pronti a rimettersi in gioco, a rivedere e attualizzare i propri meccanismi aziendali. Caratteristiche che nel nostro cantone e nazione non sono mai mancate e che, ora più che mai, sono risorse essenziali nelle quali credere per un rilancio.

Un impegno comune nell’interesse di tutti

L’appello della Camera di commercio e dell’industria per scongiurare i rischi di una lunga e grave recessione

«Un Patto di Paese» per affrontare la crisi economica dopo l’emergenza sanitaria. È l’auspicio formulato come Presidente del Governo, nei giorni più cruciali dell’epidemia del coronavirus, dal Direttore del DFE Christian Vitta. Un appello che è il miglior antidoto alla contrapposizione artificiosa tra ragioni della salute pubblica e ragioni dell’economia che si è creata in Ticino con l’allentamento del lockdown. Salute ed economia non sono termini antitetici: se non si è in salute non si può lavorare e produrre, ma se l’economia non funziona non si crea neanche la ricchezza necessaria a finanziare la tutela della salute dei cittadini. L’alternativa non è, dunque, tra presunti «egoisti», interessati solo a contare i soldi, e presunti «altruisti » che non vogliono più contare morti e contagi. Ma tra il rischio concreto di veder crollare il sistema produttivo, con tutto ciò che ne consegue in termini di disoccupazione e impoverimento collettivo, e uno sforzo comune, invece, per ripristinare, in tutta sicurezza, le condizioni economiche in grado di garantire un buon livello di benessere alla società. È questo il significato del «Patto di Paese».

Come Camera di commercio, dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino siamo convinti che oggi sia urgente serrare le file tutti assieme, parti sociali, partiti, governo e società civile, mettendo da parte divisioni politiche e ideologiche. C’è in gioco non la sorte di qualche imprenditore, ma la tenuta complessiva del nostro sistema economico e sociale, che va sostenuto, come chiediamo da tempo, anche con aiuti mirati a fondo perduto. Siamo solo agli inizi di una temibile recessione la cui durata ed esiti sono imprevedibili. Dopo due mesi di blocco quasi totale delle attività produttive, sorprende perciò sentire da alcuni politici i soliti, vecchi discorsi intrisi di rivendicazioni, richieste di nuovi vincoli per le imprese e intenti dirigisti, come se tornassero da una lunga vacanza senza aver vissuto le terribili settimane che hanno incubato la più grave crisi degli ultimi 70 anni. Come se il virus, passata la concordia per l’allarme sanitario, legittimasse ora una battaglia per la supremazia politica nel governare una delicata fase di transizione. Sarebbero, invece, necessari più che mai un impegno congiunto e un condiviso senso di responsabilità per ridare fiducia e sicurezza al Paese. Per riavviare i motori dell’economia non basta premere un pulsante, ci vorranno mesi e mesi prima che essi riprendano a girare a pieno regime. La nostra industria dell’export dovrà lavorare duramente per mantenere le posizioni su mercati internazionali che funzioneranno a singhiozzo per chissà quanto tempo, con una contrazione della domanda e una concorrenza ancora più feroce. Le imprese orientate sul mercato interno saranno confrontate invece con un calo della domanda provocato dalla generale incertezza. Tutti assieme abbiamo la grande responsabilità di salvaguardare la nostra economia, i posti di lavoro e i redditi dei cittadini. Ma serve un nuovo e coraggioso approccio per uscire dai vecchi schemi della politica, mettendo da parte pregiudizi ideologici e interessi elettorali, e lavorare uniti per il futuro del Ticino.

L’apprendistato una realtà da sostenere

L’opinione di Cristina Maderni, Vice Presidente Cc-Ti, Presidente Ordine dei Commercialisti del Cantone Ticino e Presidente FTAF

La pressione sui conti economici che le imprese ticinesi si trovano ad affrontare in conseguenza del COVID-19 comporterà inevitabilmente tagli nei budget di spesa e di investimento. È di conseguenza urgente intervenire per introdurre meccanismi capaci di rendere sostenibile per i datori di lavoro il mantenimento dell’offerta di posti di apprendistato. La formazione duale è, infatti, un elemento caratterizzante del sistema svizzero, che viene osservato e ammirato con interesse da tanti altri paesi. Un programma che funziona e dà opportunità ai nostri giovani, che va preservato per le generazioni future. Assicurare continuità soprattutto in un momento di crisi presuppone però l’attuazione di provvedimenti capaci di rendere il processo meno gravoso e quindi maggiormente accessibile per le imprese. Non stiamo qui necessariamente parlando di sussidi: un primo contributo significativo potrà, infatti, derivare dalla semplificazione di quegli oneri organizzativi e amministrativi che da sempre gravano su chi offre posti di apprendistato, che maggiormente pesano nelle imprese più piccole.

La società potrà imparare molto da questa crisi. Cambieranno il modo di lavorare e di conseguenza la domanda di lavoro. Il trend di digitalizzazione dei processi aziendali che da tempo è in atto non potrà che accelerare con forza, comprimendo le opportunità per le professioni impiegatizie a favore di quelle tecniche, anche in virtù della circostanza che, oggigiorno, una formazione professionale non preclude in alcun modo la possibilità di accedere agli studi superiori. Su questi aspetti il mondo economico lavora da tempo, proprio per assicurarsi nuove leve per i molti mestieri che hanno prospettive di sviluppo, oltre che per rafforzare uno strumento competitivo sul mercato del lavoro. Ad esempio, si sta insistendo sulla via della formazione professionale e non della scuola a tempo pieno per le professioni legate alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), che rappresentano un settore di grandissime prospettive anche per il Ticino. Operazione non semplice perché in questo campo, come in altri, l’impegno richiesto alle aziende nella formazione di apprendisti è molto grande e per un tessuto economico costituito essenzialmente da piccole imprese non sempre vi è la disponibilità a farsene carico. Si tratta di ostacoli concreti, come ha evidenziato l’inchiesta congiunturale annuale della Camera di commercio e dell’industria ticinese di un paio d’anni fa. Come rimediare? Sensibilizzare in generale da una parte, ma anche diffondere informazioni precise ad esempio sul fatto che le basi legali permettono una gestione comune di un apprendista fra più aziende, ripartendosi così i vari oneri. Oppure rafforzando le esistenti reti di aziende formatrici, oggi sostenute dall’associazione ARAF, che si occupa della gestione amministrativa degli apprendisti, togliendo questo impegno all’azienda che potrà quindi concentrarsi sulla formazione in senso stretto. Uno strumento che va ulteriormente promosso e ampliato, perché oggi limitato a commercio e vendita.

Difendere l’offerta di posti di apprendistato sostenendo l’occupazione giovanile in una congiuntura di crisi è possibile oltre che doveroso. Di questo sono ben coscienti le parti sociali. Lo sono per prime le imprese, al cui senso di responsabilità i sindacati si sono di recente appellati. Di fatto, gli strumenti a disposizione per rendere l’apprendistato meno macchinoso per le aziende e quindi maggiormente accessibile anche alle piccole e medie imprese già esistono. Vanno condivisi, affinati ed utilizzati. In questo percorso, sarà importante il sostegno proveniente dalle associazioni economiche, e la disponibilità dello Stato ad assecondarne il lavoro. A noi tutti la responsabilità di implementare quello che già oggi è possibile, rispondendo con un atto concreto all’emergenza sul lavoro creata dal COVID-19.

Servono anche aiuti a fondo perso per salvare aziende e occupazione

L’impegno della Camera di commercio e dell’industria per sostenere le imprese e limitare i rischi di una grave recessione

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L’inchiesta congiunturale condotta dalla Camera di commercio e dell’industria presentata nel mese di gennaio, aveva messo in evidenza, in tempi non sospetti, una certa flessione degli investimenti da parte delle aziende. Il drammatico momento sociale ed economico che stiamo vivendo frenerà purtroppo ulteriormente la capacità di investimento, con riflessi negativi su tutto il sistema economico. In questo contesto è significativa l’affermazione di qualche giorno fa del direttore del KOF, Jan-Egbert Sturm, secondo il quale «Tutto ciò che non viene fatto oggi, costerà più caro domani». Secondo il professor Sturm, per contrastare l’impatto dell’emergenza Coronavirus sull’economia, la Confederazione dovrebbe valutare una misura più marcata e mirata, non solo quella dei prestiti garantiti, ma anche quella dei contributi a fondo perso. «Se molte aziende saranno eccessivamente indebitate dopo la crisi – ha spiegato – non investiranno negli anni a venire. Non si disporrà di denaro per l’innovazione.

L’economia crescerà con meno forza e le imprese svizzere saranno inevitabilmente meno competitive di quelle estere». Malgrado ciò il buon livello di autofinanziamento rilevato in generale in Svizzera e anche in Ticino, come emerso regolarmente in questi anni dai nostri rilevamenti effettuati presso le nostre aziende. Chiaro però che situazioni estreme come quella attuale scombinino tutti i parametri. Ragione per la quale, a tutela del sistema economico e dell’occupazione, riteniamo che anche gli aiuti a fondo perso possano essere una risposta importante, ovviamente con interventi mirati. Del resto, lo stesso Consigliere federale Maurer non ha escluso a priori tale possibilità. Ha infatti menzionato il fatto che già attualmente determinati casi considerati di rigore saranno trattati in modo particolare e che, a bocce ferme dopo la fase acuta di crisi, si procederà a una valutazione delle varie situazioni ed eventuali soluzioni a fondo perso non sono escluse. Un’apertura importante, sebbene non immediata. Il problema è che nel breve termine, nonostante le grandi difficoltà già marcatamente palpabili, moltissime piccole e medie aziende non ricorreranno ai crediti messi sino a questo momento a disposizione, per la legittima paura di indebitarsi eccessivamente, quindi l’argomento del fondo perso potrebbe arrivare troppo tardi. Di fronte al pericolo di una devastante recessione globale, un ulteriore autorevole appello per una manovra decisa della politica di sostegno all’economia è arrivato da Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario Internazionale: «… servono aiuti diretti a fondo perso». Sulla stessa linea di pensiero di Sturm e Blanchard, ci sono tanti altri economisti, scuole differenti, dei nostri Politecnici federali, tutti allineati sul fatto che in una situazione di profonda incertezza economica, molte aziende, soprattutto le piccole imprese, difficilmente attingeranno ai crediti garantiti dallo Stato.

È infatti più che comprensibile e legittimo il timore di assumersi un debito, seppure iniziale interesse zero e rimborsabile in cinque anni, che dovrà comunque essere restituito, senza nessuna certezza di ripresa a corto- medio termine dei propri affari. Per migliaia di aziende, anche quelle che non avevano alcun problema finanziario, le perdite accumulate durante il fermo o il rallentamento dell’attività produttiva, sommate all’onere di un nuovo debito e agli insufficienti guadagni, nel futuro corso di un lento ritorno alla normalità, rappresentano una miscela esplosiva che potrebbe far «saltare» i bilanci. In poco meno di un mese e mezzo in Svizzera la produzione è crollata del 25% e l’orario ridotto coinvolge già oltre un milione di dipendenti. Gli scenari delineati in un recente intervento del Consigliere Federale Guy Parmelin sono inquietanti: una possibile contrazione del PIL del 10% e un aumento della disoccupazione sino al 7%. Percentuali che potrebbero tradursi in una devastante instabilità dell’economia svizzera e ticinese. Riconoscere dei contributi a fondo perso alle aziende in difficoltà, come si è fatto in passato con diverse attività pubbliche o para pubbliche, non significa fare dei regali agli imprenditori, ma molto più concretamente mirare a salvare centinaia di aziende e migliaia di posti di lavoro. Resta inteso che ci vogliono grandi cautele e riflessioni ponderate per evitare l’eventuale dispendio di denaro a favore di aziende senza prospettive. Siamo comunque convinti che esistano gli strumenti necessari per stabilire e utilizzare criteri sufficientemente attendibili per un’attribuzione oculata degli aiuti a fondo perso. Del resto, come detto in precedenza, lo stesso Consiglio federale ha lasciato intravvedere qualche considerazione in questa direzione, parlando di «attenzione» sul tema delle modalità di restituzione dei prestiti erogati. Riflessioni e considerazioni dei tempi che verranno.