Oltre gli slogan

L’opinione di Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

L’estate sta volgendo al termine, ma come, prevedibile, il clima politico resta rovente. Anche il relativo torpore dei mesi più caldi non è servito a rasserenare gli animi per tentare di abbozzare qualche discussione costruttiva e non basata su continue polemiche.

Gli esempi non mancano, dalle ormai inevitabili e mensili risse verbali sui dati della disoccupazione, alle difficoltà di applicazione di leggi imposte frettolosamente e senza le necessarie verifiche di applicabilità, per giungere ai dibattiti (si fa per dire…) sugli oggetti in votazione a livello federale e cantonale il prossimo 25 settembre. Lungi da me voler rilanciare questioni polemiche, perché vi sono già abbastanza attori che operano in tal senso e continuo a prediligere la discussione anche dura ma che sia basata su fatti reali e non solo su slogan o attacchi personali. Mi rendo conto che si tratta oggi probabilmente di un atteggiamento desueto, ma provo comunque a dare qualche stimolo di riflessione in tal senso.

Sulle cifre riguardanti la disoccupazione rilevo ad esempio che, se queste sono taroccate, ciò riguarda tutta la Svizzera e non solo il Ticino, visto che vengono stabilite a livello nazionale. Inoltre, i dati SECO e ILO sono per natura differenti perché poggiano non solo su sistemi di rilevamento ma anche su parametri diversi, quindi non sono paragonabili direttamente. Che le percentuali siano diverse è quindi ovvio, ma questo vale appunto a livello nazionale. Anche la percezione che vi sia un travaso diretto fra disoccupazione e assistenza pubblica ha qualche innegabile fondamento, tuttavia è un tema che non può essere affrontato in modo superficiale perché i due strumenti poggiano su premesse molto diverse, a partire dalla definizione anche quantitativa dei beneficiari. Queste cose vanno dette, ai fini di una discussione costruttiva, senza assolutamente negare che vi siano situazioni molto difficili, che vanno affrontate e risolte perché ogni caso di disoccupazione o assistenza è di troppo. E anche l’economia vuole fare la sua parte, perché non è nell’interesse della stragrande maggioranza degli imprenditori creare tensioni sociali che costano in termini finanziari e che creano un clima generale ostile al fare impresa. Sarebbe autolesionistico.
Detto questo, lascio valutazioni più tecniche agli esperti, ma il fatto che non ci si confronti con gli elementi citati dimostra quanto nel nostro cantone sia diventato difficile ammettere che, dal punto di vista economico generale, seguiamo l’andamento del resto della Svizzera. Al di là delle cifre sulla disoccupazione, i vari indicatori da diversi anni confermano puntualmente che il Ticino ha un’economia dinamica che è appunto in linea con quanto avviene a livello nazionale. Poi è ovvio che vi siano cantoni con i quali in termini assoluti non possiamo competere per ovvie ragioni, ma non possiamo lamentarci più di altri. Ne deduco quindi semplicemente che è più pagante dire che tutto va male. Peccato. Perché questo poi origina anche l’adozione di misure come la tassa di collegamento o la LIA senza valutarne in modo approfondito la portata e si rischia di creare danni, senza risolvere quelli che sono ritenuti i problemi alla base delle nuove disposizioni legali.
A scanso di equivoci, non mi interessa molto se nello specifico delle leggi citate le responsabilità siano del parlamento, del governo o di chi altro. Rilevo solo che l’adozione frettolosa di strumenti poco idonei non è priva di conseguenze e di questo andrebbe tenuto conto, anche nell’ottica delle prossime votazioni di settembre e di quelle che seguiranno.