L’orgoglio delle imprese per un’economia che cresce

L’orgoglio di ogni vero imprenditore è nel vedere crescere la propria azienda, nel riuscire a superare anche i momenti più difficili. È sapere motivare i dipendenti verso un traguardo comune, continuare a garantire loro un impiego e i meritati riconoscimenti retributivi. La soddisfazione di chi fa impresa è il gusto del rischio nel raccogliere le sfide di un’economia sempre più competitiva. È il legame profondo col territorio, anche se si opera su mercati internazionali, perché esso rappresenta un capitale sociale di vitale importanza per ogni attività produttiva. È questa la filosofia imprenditoriale che ha permesso all’economia ticinese di svilupparsi, lasciandosi alle spalle i pesanti contraccolpi delle ricorrenti crisi.

L’ultima inchiesta congiunturale della Cc-Ti per il 2017-2018 ha confermato la solidità di un sistema produttivo che in questi anni si è diversificato e internazionalizzato, mettendo a segno risultati spesso al di sopra della media nazionale. Una solidità che ispira fiducia anche per il futuro. Sebbene l’esperienza insegni a non sottovalutare mai i rischi che possono nascere da contesti economici ormai mondializzati e, perciò, strettamente interdipendenti e ancora di più concorrenziali.

Tutti gli indicatori della nostra indagine, andamento degli affari, autofinanziamento delle imprese, investimenti e occupazione, sono più che soddisfacenti. Un quadro positivo già messo in luce da altre importanti ricerche congiunturali che hanno evidenziato l’allargamento della base occupazionale del cantone, la diminuzione della disoccupazione, sia che la si misuri con i dati della SECO che con quelli dell’ILO, e dal 2008 una crescita che Avenir Suisse ha stimato dell’1,5% superiore a quella della media nazionale (ritrovate qui la nostra intervista a Marco Salvi, Senior Fellow presso Avenir Suisse). C’è di che andare fieri.

Eppure in Ticino si continua ad alimentare una rappresentazione falsata e strumentale della nostra realtà economica. Si spaccia per precariato diffuso e sottoccupazione l’aumento del lavoro a tempo parziale, quando sino a qualche anno fa si rimproverava alle aziende di usare poco il part time per conciliare meglio gli impegni famigliari e professionali; casi circoscritti di dumping salariale vengono presentati come fenomeni generalizzati e sistemici di un mercato del lavoro allo sbando; in un cantone che conta decine e decine di migliaia d’imprese, pochi imprenditori scorretti sono raffigurati come l’emblema di una categoria avida e spregiudicata che pensa solo al portafoglio; il profitto è considerato un furto e non come il giusto guadagno di chi fa impresa e la risorsa cruciale per investire e garantire l’occupazione; i frontalieri, il cui apporto è stato fondamentale per la nostra crescita, sono ormai visti come la causa di ogni male, senza però chiedersi come reggerebbe il sistema produttivo senza quei 30-40mila lavoratori d’oltre confine che si vorrebbe non avere più.

Oggi con la disoccupazione in netto calo, per continuare a fomentare un clima di emergenza sociale si fa leva sull’ aumento dei casi di assistenza, tacendo il fatto che la maggior parte dei beneficiari dell’aiuto pubblico sono persone senza un’adeguata formazione e genitori di famiglie monoparentali, difficilmente ricollocabili. È su questo che, invece, bisognerebbe riflettere per trovare delle possibili soluzioni.

Nessun vuol negare che ci possano essere abusi e distorsioni sul mercato del lavoro, anomalie dovute anche alle discontinuità della crescita e alle radicali trasformazioni di un’economia che ha cambiato pelle. Ma questi guasti si combattono con quel dialogo tra le parti sociali, senza pregiudizi e spirito di contrapposizione, che come Cc-Ti abbiamo sempre promosso e sostenuto. Con un lavoro comune per rimuoverne le cause e non attizzando l’ostilità verso le imprese, perché alla fine a rimetterci è tutto il Paese.