L’incertezza giuridica è una minaccia per il futuro delle nostre imprese

Opinioni dalla Cc-Ti

Nel mondo delle imprese si è creata una situazione d’incertezza che è puro veleno.

È cominciato il carosello degli incontri del Consiglio di Stato con i partiti, con Berna e la Regione Lombardia, per l’applicazione dell’iniziativa “Prima i nostri”. Un’altra quadratura del cerchio. Altra legna verde sulle braci di quel 9 febbraio 2014 che ha cacciato la Svizzera in un vicolo cieco nei rapporti con l’UE e il futuro degli accordi bilaterali. Per chi lavora e produce, per il mondo delle imprese in pochi anni è venuto meno un quadro giuridico- istituzionale chiaro e affidabile. Si è creata una situazione d’incertezza che per l’economia è puro veleno.

Quanta e quale manodopera estera, e a che condizioni, si potrà assumere? Come si evolveranno le relazioni con l’Europa, il nostro partner commerciale più importante con un mercato che assorbe il 62 % dell’export elvetico? Cosa resterà dei sette accordi bilaterali? Che ne sarà dell’innovazione e della forza competitiva della nostra industria, se dovessimo essere tagliati fuori dai grandi programmi europei di ricerca? Sono queste le domande che si fanno gli imprenditori. Ogni impresa per poter pianificare la sua attività, gli investimenti e le strategie di crescita deve poter contare su un quadro giuridico chiaro e definito, sia per le regole del mercato interno sia per le relazioni commerciali con gli altri Paesi. Oggi purtroppo non è più così. Si resta in attesa degli eventi, per vedere come, e a quale prezzo, la politica riuscirà a concretizzare la volontà popolare.

Qui non si mette assolutamente in dubbio la volontà del popolo, espressa attraverso quella democrazia diretta che tanti altri Paesi giustamente ci invidiano. Si critica, semmai, l’abuso che ormai da troppo tempo si fa, da destra e da sinistra, dell’iniziativa popolare e referendum come mezzi per una campagna elettorale permanente, chiamando i cittadini al voto su problemi ad alto impatto emotivo. Dalla politica fiscale a quella salariale, dalla tutela dell’ambiente e del territorio ai temi che interferiscono con importanti accordi internazionali firmati dalla Svizzera. Un esercizio strumentale della democrazia diretta che, oltre ad erodere il principio di rappresentatività del Parlamento e il potere decisionale del Consiglio federale, ha provocato profonde distorsioni e vuoti preoccupanti nel sistema dei principi giuridici-istituzionali che reggono il nostro Paese.

Una deriva che negli ultimi anni ha conosciuto in Ticino un’allarmante escalation, di cui l’iniziativa “Prima i nostri” è solo l’ultima tappa. Qui, nel tempo triste di una politica in cui prevale la retorica emozionale contro i lavoratori d’oltre confine e le imprese che li assumono, per alimentare paure e risentimenti popolari, l’incertezza del diritto è diventata prassi legislativa e di governo. Regola abituale, con le semplificazioni brutali della cosiddetta “politica dei segnali” da mandare a Berna o con l’uso ricorrente di “leggi a tempo”, due o tre anni, tanto per vedere l’effetto che fanno. Il più delle volte si tratta di norme e provvedimenti che dal profilo giuridico si rivelano incompatibili col diritto federale o con trattati internazionali sottoscritti dalla Svizzera. Utili, però, per mostrare i muscoli agli elettori.

Lo si è visto con la tassa sui posteggi, i certificati penali per i dimoranti e frontalieri, l’albo anti padroncini e altre misure estemporanee, che hanno risucchiato il Cantone nella politica delle decisioni umorali e a corto termine, precipitando le imprese nel limbo di un’incertezza giuridica che ne condiziona pesantemente attività e progetti di sviluppo.