La conoscenza è il motore della crescita

di Glauco Martinetti, Presidente Cc-Ti

“Nelle vecchie fabbriche fordiste si lavorava con il corpo, nelle fabbriche di oggi e di domani si lavorerà sempre più con la mente” ha scritto un acuto studioso del mondo del lavoro. Un’osservazione che esprime tutto il senso dell’economia digitale e dell’industria 4.0.

La grande trasformazione tecnologica che ha come materia prima la conoscenza, in un sistema produttivo ormai basato sulla cooperazione intelligente tra uomo e macchina e  sull’interconnessione di una molteplicità di dispositivi informatici. A differenza dei fattori classici della produzione, il capitale e il lavoro, la conoscenza, come ricorda Paul Romer, premio Nobel dell’economia nel 2018, è un bene che si usa e si condivide senza che si consumi, e che si può incrementare a livello individuale. È dalla conoscenza, nelle sue diverse applicazioni, che nasce l’innovazione e, dunque, la crescita economica. Ma per creare, sviluppare e diffondere la conoscenza servono, in particolare, due condizioni imprescindibili: un’adeguata formazione e una società aperta. Sono i requisiti fondamentali su cui come Cc-Ti ci battiamo da anni, perché anche da essi dipende il futuro del nostro Paese. Una formazione che trasmetta innanzitutto la consapevolezza che l’apprendimento e il sapere sono necessariamente un processo continuo dove niente è acquisito e vale per sempre. Che predisponga all’acquisizione progressiva di nuove capacità cognitive e abilità digitali. Una formazione che ad ogni livello infonda anche una diversa cultura del lavoro che oggi richiede propositività e partecipazione, creatività e flessibilità, polivalenza e responsabilità. La conoscenza, invece, non può alimentarsi e diffondersi in un sistema chiuso da muri e barriere protezionistiche, cresce e si sviluppa solo in una società aperta ai grandi flussi internazionali del sapere, allo scambio di esperienze, competenze e intelligenze. Valorizzando il confronto delle idee e la cooperazione creativa. In fondo, non è sempre stato così?

Articolo apparso sul Corriere del Ticino il 7.1.2019