“Previdenza 2020”: occorrerebbe correggere gli squilibri – dossier tematico

a cura di Alessio Del Grande

Che riforma è una riforma che discrimina tra i pensionati di oggi e quelli di domani, che non distingue tra chi ha veramente bisogno e chi no, che impone anche ai giovani di pagare di più senza la garanzia di benefici futuri? Che senso ha tentare di salvare provvisoriamente le casse dell’AVS, per ritrovarsi tra un decennio con un deficit di sette miliardi di franchi all’anno? Quale logica di risanamento c’è nel risparmiare 1,2 miliardi portando a 65 anni l’età di pensionamento delle donne, ma spendendo 1,4 miliardi in più con l’aumento di 70 franchi dell’AVS?

Ecco perché “Previdenza 2020” non è una vera revisione del sistema previdenziale, ma solo una “riforma farsa”. Approfondiamo dunque il tema in questo testo. Potremo avere un quadro completo sulla tematica trattata, in votazione il prossimo 24 settembre.

Una storia tormentata

Settant’ anni di vita e ben 11 revisioni. L’ultima, nel 2004, è stata bocciata dal popolo. Un altro tentativo si è arenato in Parlamento nel 2010, mentre nell’autunno scorso è stata respinta dal voto popolare l’iniziativa AVSplus. Storia tormentata e irrisolta quella dell’Assicurazione per la vecchiaia e il prossimo 24 settembre si tornerà ancora alle urne per “Previdenza 2020”, la riforma del Consigliere federale socialista Alain Berset. Con un doppio voto: sul previsto aumento dell’IVA (referendum obbligatorio) e sull’insieme della nuova legge contro cui è stato lanciato un altro referendum. Di fatto, si voterà due volte sullo stesso tema. Quando nel 1948 entrò in vigore l’AVS si contavano 6,5 persone attive per ogni pensionato, oggi sono soltanto 3,4. Stando agli attuali trend demografici, tra trent’anni il numero dei pensionati svizzeri passerà da 1,5 milioni a circa 2,6 milioni e ci saranno soltanto due lavoratori attivi per un pensionato. Detto altrimenti, saranno sempre meno le persone attive che dovranno sostenere il finanziamento delle rendite pensionistiche. Secondo un recente studio di UBS, nel 2060 il numero degli over 64 sarà raddoppiato e i costi dell’AVS, assieme a quelli dell’assistenza sanitaria, saranno, al netto dell’inflazione, più che duplicati. Di fronte a queste previsioni e considerando anche altri due preoccupanti fattori, ossia i giovani che arrivano sempre più tardi sul mercato del lavoro, rispetto a quanto avveniva con le precedenti generazioni, e la discontinuità contributiva, si profilano grosse incognite per un sistema previdenziale, che nei tempi d’oro di alta congiuntura e del baby boom aveva spesso registrato buone eccedenze. I primi segnali di allarme per l’AVS ci sono stati con la recessione economica degli anni ‘70, quando cominciò a farsi sentire anche in Svizzera il calo della nascite e l’aumento degli anziani. Da allora la situazione è andata peggiorando e oggi, con la forte crescita degli ultrasessantenni e il pensionamento della generazione dei “babyboomer”, il finanziamento del primo e del secondo pilastro non è più assicurato. Che sia necessaria una revisione radicale è, quindi, fuor di dubbio, ma certamente non secondo il modello messo a punto da Berset.

Cosa prevede “Previdenza 2020”?

In sintesi i punti principali della riforma Berset, che tocca sia il primo pilastro come la previdenza professionale, sono:

  • l’aumento a 65 anni dell’età di pensionamento per le donne;
  • il pensionamento flessibile tra i 62 e i 70 anni;
  • la riduzione dal 6,8 al 6,0% del tasso di conversione con cui si calcolano le rendite del secondo pilastro;
  • l’aumento di 0,3 punti dei prelievi salariali;
  • l’incremento dell’IVA di 0,6 punti per finanziare l’AVS;
  • 70 franchi in più al mese di rendita AVS per compensare la riduzione del tasso di conversione del secondo pilastro;
  • l’aumento del tetto massimo per i coniugi dal 150% al 155%.

Di queste due ultime misure beneficeranno, però, soltanto coloro che andranno in pensione a partire dal prossimo anno.

Ci si dovrebbe confrontare con i problemi strutturali del sistema, non rinviare le soluzioni.

La revisione si propone di garantire l’equilibrio finanziario dell’AVS sino alla fine del prossimo decennio. Ma in buona sostanza si tratta di una “pseudo riforma”, come è stata definita, perché non affronta i veri nodi della previdenza e rappresenta, inoltre, una cambiale in bianco per i lavoratori più giovani, chiamati alla cassa per saldare il conto di un meccanismo di finanziamento che non garantisce né stabilità né sicurezza per il futuro. Una revisione, quindi, che invece di misurarsi con i problemi strutturali del sistema ne rinvia solo la soluzione. Ma, intanto, ne crea di altri.

Perché NO a questa riforma?

Approvata nel marzo scorso dal Parlamento con una maggioranza risicata, grazie ad un’alleanza di centrosinistra, “Previdenza 2020” potrà offrire solo una boccata di ossigeno alle casse dell’AVS, rischiando però di compromettere, col suo meccanismo espansivo e la logica dell’innaffiatoio, tutto il sistema previdenziale. Infatti, nonostante l’apporto di nuova liquidità per miliardi di franchi tramite l’aumento dell’IVA e dei prelievi sui salari, tra dieci anni l’AVS sarà di nuovo in rosso. Si stima che a partire dal 2035 mancheranno ogni anno circa sette miliardi. Per scongiurare questa voragine bisognerà, dunque, intervenire prima. Ma come? Semplice, davanti alla nuova emergenza finanziaria la sola scelta possibile sarà di portare a 67 anni, per tutti, l’età del pensionamento oppure di aumentare di altri due punti percentuali l’IVA. Intanto i cittadini sopporteranno gli effetti di una revisione iniqua che non risolve nulla, ma che penalizza in particolare i giovani che lavorano e gli attuali pensionati. I primi saranno costretti a pagare un prezzo molto alto con maggiori contributi salariali e il rincaro dell’IVA, senza avere la garanzia di poter poi godere a loro volta della previdenza per la vecchiaia. Il che rappresenta una grave lesione di quel patto tra generazioni sui cui si fonda il nostro sistema assicurativo. I secondi si troveranno di fronte ad un’AVS a due velocità. Chi oggi è già è pensionato non riceverà, infatti, i 70 franchi di aumento previsti da “Previdenza 2020” soltanto per coloro che andranno in pensione dal 2018. Una discriminazione bella e buona che viola uno dei principi fondanti dell’Assicurazione vecchiaia e superstiti, secondo cui tutti devono essere trattati allo stesso modo. Gli attuali pensionati saranno di fatto beffati: dovranno pagare un’IVA più cara per finanziare una riforma che a loro non riconosce nessun aumento, subendo, perciò, un’erosione del potere di acquisto. E ci rimetteranno pure i beneficiari delle prestazioni complementari, da cui sarà detratto ogni franco in più che riceveranno dall’AVS. Inoltre, se le prestazioni complementari sono esentasse, su quanto riceveranno in più con la rendita vecchiaia dovranno, invece, pagare le imposte. Per i socialisti e i verdi questa riforma è una rivincita dopo la sonora bocciatura popolare di AVSplus, su cui è stata ricalcata “Previdenza 2020”. Ma è anche un nuovo tentativo di fare dell’AVS una leva di quel sistema redistributivo che da sempre ispira la politica della sinistra. Un’impostazione ideologica di cui faranno le spese i pensionati di oggi e di domani.

Se la “Previdenza 2020” venisse accettata in votazione il prossimo 24 settembre, assisteremmo ad una lesione del patto generazionale su cui si fonda il nostro sistema assicurativo.

Il dossier sulla Riforma 2020 è pubblicato sull’edizione di luglio+agosto di Ticino Business.
Esso si compone di tre articoli:

“Previdenza 2020”: occorrerebbe correggere gli squilibri
Previdenza vecchiaia: non sacrifichiamo la solidarietà tra generazioni
Età di pensionamento flessibile: basta con i tabù